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Cheratite da Acanthamoeba, rara infezione che può far perdere la vista, i sintomi

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Cheratite da Acanthamoeba, rara infezione che può far perdere la vista, i sintomi

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lunedì 22 Novembre 2021

Nessuna terapia specifica è disponibile ancora per trattare questa grave infezione. La difficoltà più grande resta quella di diagnosticarla tempestivamente.

Colpisce in Italia appena 100-150 pazienti l’anno ma è un’infezione molto dolorosa che può portare alla perdita della vista o al trapianto di cornea, ovvero la parte anteriore trasparente del bulbo oculare.

Cheratite da Acanthameoba, cos’è

Si tratta della cheratite da Acanthamoeba, una malattia ultra rara, difficile da diagnosticare e da trattare, per la quale però è in sviluppo un farmaco che potrebbe in un paio di anni arrivare ai pazienti. Circa l’85% dei casi di cheratite da Acanthamoeba è collegato a un utilizzo delle lenti a contatto poco attento all’igiene.

Si tratta, spiega Jelle Kleijn, Global Head of Acanthamoeba Keratitis della farmaceutica italiana SIFI, specializzata in oftalmologia, “di una malattia orfana di farmaci, che riguarda un’infezione della cornea dell’occhio. Colpisce 2-4 persone ogni milione per anno e si tratta di un’infezione grave che può essere molto dolorosa. Se non viene trattata per troppo tempo può causare serie conseguenze come la cecità, il trapianto di cornea e la perdita dell’occhio. Per questo va considerata come un’emergenza medica. Prima viene correttamente diagnosticata e trattata, migliore è la speranza di successo”.

I sintomi e la terapia

Purtroppo, però, molti pazienti ancora hanno un’errata diagnosi e questo è dovuto al fatto che nello stadio iniziale si presenta in modo molto simile ad altre più comuni infezioni degli occhi, come fastidio alla luce e bruciore. Questo è il motivo per cui è difficile da curare in modo appropriato. Normalmente si utilizzano off-label antibatterici e antinfiammatori ma attualmente in nessun paese esistono trattamenti registrati specifici per la cheratite da Acanthamoeba.

“C’è un forte bisogno clinico non soddisfatto – prosegue Jelle Kleijn – per chi in sfortunatamente vi si imbatte. E, a pesare sulla difficoltà di sviluppare farmaci per questa condizione, è anche proprio la sua rarità. Stiamo cercando di sviluppare un farmaco specifico per le persone che soffrono di questo problema. Abbiamo fatto dei progressi significativi negli studi clinici grazie a un lavoro che dura da 14 anni, che parla dell’impegno di SIFI e dei suoi collaboratori nel portare una soluzione a questa sfida”. (ANSA).

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