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Chi è il mio padrone? Lo smartphone

Chi è il mio padrone? Lo smartphone
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Molti/e bambini/e ormai si addormentano usando lo smartphone, che ritrovano il mattino seguente tra le mani. I genitori che consentono questo comportamento – dannoso per la salute e per il sonno – non si rendono conto che stanno educando (si fa per dire) i propri figli e figlie a diventare schiavi/e. Di chi? Del nuovo padrone, che è lo smartphone.

Se, da un canto, quello che vi raccontiamo sui i/le bambini/e ed i/le ragazzi/e è da addebitarsi ai genitori, per gli adulti non si può dire la stessa cosa in quanto essi dovrebbero essere responsabili, padroni del proprio destino e del proprio futuro.

Quale futuro ha una persona che dipende da uno strumento, seppure avanzato, quale lo smartphone o il pc o altro apparecchio simile?
Apparentemente lo schermo che risponde alle domande è un pozzo di notizie senza fondo e quindi dovrebbe riuscire ad allargare la mente dell’interrogante ma, se scaviamo un poco, ci accorgiamo che così non è.

Così non è per il semplice motivo che lo smartphone risponde alle domande in modo lapidario, anche se successivamente l’interrogante può continuare a scavare per ottenere ulteriori risposte. Ma, la questione ricorrente, se l’interrogante non possiede un software nel suo cervello – cioè l’insieme delle conoscenze atte a comprendere il significato delle sue risposte e a collegarle con ciò che già esiste nel serbatoio cerebrale – ebbene quella risposta ha un valore talmente risibile e modesto che non consente di allargare le proprie conoscenze.

Ecco perché riteniamo che oltre a esercitare un dominio, lo smartphone è portatore di ignoranza, la quale non è smaltita da risposte estremamente sintetiche, bensì da concetti collegabili uno all’altro come anelli di una stessa catena, perché è poi la stessa catena che dà risposte complessive. Senza il legame che unisce un anello all’altro, tali risposte complessive non possono arrivare.
È l’eterna lotta fra la conoscenza e l’ignoranza. Purtroppo nel nostro mondo vince quasi sempre quest’ultima, legata a una ricca dose di pigrizia, presunzione e prosopopea.
Cosa serve per sconfiggerle? L’abbiamo scritto più volte: la pazienza di apprendere, apprendere e apprendere leggendo molto, informandosi continuamente, ascoltando podcast, assistendo a conferenze e così via.

Qualcuno obietterà subito che oggi, finalmente, è arrivata l’intelligenza artificiale. Ed è infatti vero che se si interroga Chat Gpt, questo dà risposte ampie ed esaurienti. Ma torniamo, come nel gioco dell’oca, al punto da cui siamo partiti: qualunque risposta, seppur ampia ed esauriente, non fa crescere la nostra sapienza perché non è imparando quella risposta che essa aumenta, bensì sommando o moltiplicando centinaia e centinaia di questioni che poniamo con le centinaia di risposte che otteniamo.
Che tali risposte provengano da intelligenze artificiali o da libri, se non abbiamo acquisito l’abitudine e la competenza di mettere insieme le cose che leggiamo, quanto viene sottoposto alla nostra attenzione non ha alcun valore.

Torniamo alla questione in rassegna. Possiamo tollerare di avere un padrone, peraltro molto desiderato e da cui quindi non ci difendiamo perché non abbiamo l’impressione che esso lo sia? Ebbene, accade alla stragrande maggioranza degli esseri umani, che ormai non vivono più senza quel feticcio, dal quale fondamentalmente dipendono.

Intendiamoci, non diciamo che esso non sia utile, tutt’altro; lo smartphone è molto utile a condizione che si usi a tempo e a luogo, con misura e con la capacità di apprendere informazioni che si collocano in quell’enorme bagaglio che si trova nel nostro cervello, dove i neuroni (che sono oltre ottanta miliardi) poi fanno il loro lavoro.

Dovremmo sapere che, come dice il filosofo: “Non sono gli occhi a vedere le informazioni, bensì i nostri circuiti neuronali, che producono le immagini e che incamerano i suoni ed il loro significato”.
Forse non è di facile accesso quanto scriviamo, però ci auguriamo che possa essere oggetto di meditazione.