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Chi ha competenze trova occupazione

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sabato 10 Giugno 2023

Amare il proprio lavoro

La libertà è il bene immateriale più agognato da ogni persona vivente. Ma non tutti pensano che essa si conquisti anche attraverso la libertà economica. Per cui, non dipendendo da terzi, si è nelle condizioni di poter esprimere liberamente il proprio pensiero e di indirizzarlo secondo la propria mentalità e la propria cultura.

Non solo, ma essere autosufficienti economicamente mette in condizione ciascun soggetto di agire anche come cittadino/a, cioè come componente di una comunità, e quindi di tentare come una goccia di orientare il mare delle istituzioni, anche attraverso il voto, che, come ricordiamo, è un dovere-diritto.
Per raggiungere la libertà economica bisogna saper lavorare, cioè conoscere i processi dell’attività che si svolge. Ma non è a tutti chiaro questo percorso. Non è a tutti chiara la necessità di dover raggiungere certi livelli di conoscenza necessari per potere funzionare bene in tale attività.

Non sempre il lavoro che facciamo ci piace. Solo i/le più fortunati/e lo amano. Ciò non significa che non lo si debba svolgere ugualmente con attenzione, puntualità e professionalità.
L’importante è avere la consapevolezza che – come dicevano gli antichi – “chi più sa, più vale”. Non si tratta solo di un valore teorico, ma anche economico, perché chi ha più competenze viene pagato di più e meglio. Dal che si deduce che è interesse di ciascuno di noi allargare le proprie conoscenze, imparare meglio i processi lavorativi di ogni genere, sia nel settore pubblico che in quello privato, in modo da rendere più appetibile la nostra competenza da parte di chi ne ha bisogno, che, conseguentemente, la “compera”.
In questo quadro, hanno un ruolo importante la tecnologia, la digitalizzazione dei processi e, per ultima ma non ultima, l’intelligenza artificiale, oggetto di altro editoriale.

Chi è disoccupato/a oggi non lo è perché mancano le opportunità lavorative, ma perché mancano le competenze professionali. Bisogna smettere di stendere veli pietosi su coloro che non hanno voglia di apprendere e aiutare, invece, coloro che vogliono, ma che non ne hanno le possibilità.
Che gli immigrati possano supplire la manodopera che manca è una bugia colossale, perché più andiamo avanti nel tempo e più sono necessarie persone dotate tecnologicamente.

Non siamo più ai tempi dei telai né a quelli della divisione del lavoro secondo la teoria tayloriana e neanche ai tempi degli amanuensi o dei ragionieri che facevano le contabilità a mano. Oggi siamo in presenza di enormi calcolatori che hanno una potenza incredibile, nonostante la loro piccola taglia.
Quindi, l’intelligenza umana viene utilizzata sempre meno per le operazioni manuali e sempre più per inventare software che servono alle macchine, le quali sono strumenti importanti, ma restano strumenti.
Ecco perché è una bufala quella secondo cui gli immigrati possano costituire una massa di persone utili al progresso del nostro Paese in termini di manodopera. È ovvio, però, che se venissero meglio integrati al loro arrivo, potrebbero offrire molte competenze.

Abbiamo più volte scritto che i libri sono la migliore medicina o, se volete, il miglior nutrimento del cervello. Ovviamente non ci riferiamo solo a quelli di carta, ma anche ai manuali digitali e in genere a tutte quelle forme che consentono di apprendere la conoscenza nel modo più efficace possibile.
Aumentare la propria potenzialità significa posizionarsi in modo da dettare le condizioni di un qualunque rapporto di lavoro o, ancor meglio, fondare le start up o aziende innovative, le quali possono diventare grandi imprese, come sono state Apple, Google, Microsoft e altre.
Per capire se una persona è capace e dotata professionalmente, non bisogna fargli domande sulle singole questioni, ma cercare di capire se di fronte a un problema ha un metodo per trovarvi la soluzione. Non tutti, infatti, sono preparati a risolvere i problemi. Molti ritengono, erroneamente, che basti conoscere una o più materie perché si sia acquisita una conoscenza.
Non è così. Purtroppo le nostre Scuola e Università abituano gli/le allievi/e a imparare, bene o male, il contenuto delle materie, ma non a sapere risolvere i problemi.

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