Cibo e borghi, fiere e sagre per far crescere pernottamenti e visite - QdS

Cibo e borghi, fiere e sagre per far crescere pernottamenti e visite

Adriano Agatino Zuccaro

Cibo e borghi, fiere e sagre per far crescere pernottamenti e visite

sabato 11 Luglio 2020

In Sicilia 64 prodotti tra Dop, Igp, Stg ma un impatto economico di soli seicento milioni contro i due miliardi della Lombardia. Nell’Isola anche 829 borghi, molti dei quali nel Club dei “Più belli d’Italia”

Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte totalizzano da sole il 65% del comparto nazionale delle Indicazioni geografiche nelle produzioni agroalimentari e vitivinicole. I dati del 2018 confermano il trend dell’anno precedente. Lo certifica il Rapporto 2019 Ismea-Qualivita sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane Dop, Igp e Stg. Si tratta di un mercato che vale oltre 16,2 miliardi alla produzione nel 2018 (+6% sul 2017). In tale contesto la nostra Isola pur vantando 64 prodotti Dop e Igp tra food e wine nel 2018 si colloca solo al nono posto tra le regioni italiane per impatto economico: 583 milioni il valore della produzione che rappresenta il 3,6% del peso sul totale italiano. I borghi isolani, con il loro connubio di tradizioni e arte culinaria, potrebbero ripartire dal turismo enogastronomico di qualità e dallo slow food.

A fine 2019 l’Italia conferma il primato mondiale con 824 DOP, IGP, STG nei comparti Food e Wine su 3.071 totali: oltre un prodotto su quattro registrato come DOP, IGP, STG nel mondo è italiano.

Con la registrazione dell’Olio di Puglia IGP, nel 2019 l’Italia raggiunge la soglia 300 prodotti agroalimentari DOP, IGP, STG: anche questo un primato mondiale (il secondo Paese è la Francia con 251 prodotti Food IG).

Dal 2008 l’export dell’agroalimentare DOP IGP ha registrato ogni anno una crescita in valore (+1,2% sul 2017); un terzo delle esportazioni in valore è verso Paesi Extra Ue (33%); i mercati principali si confermano Germania (20%), Usa (18%) e Francia (15%). Leader nella classifica dei prodotti con più valore alla produzione sono i formaggi con 4,1 miliardi, dove svettano Parmigiano Reggiano e Grana Padano, seguono Prosciutto di Parma, Mozzarella di Bufala Campana e Aceto Balsamico di Modena Igp e Gorgonzola Dop. Treviso, Parma e Verona guidano la classifica provinciale con valori superiori al miliardo di euro. Ma se nel Food si affermano città dell’Emilia-Romagna e della Lombardia in compagnia anche di Udine, Caserta e Bolzano, nel Vino trainano Treviso e Verona, seguite da Cuneo e Siena (in calo).

Nella classifica delle prime 20 province per impatto economico prodotti DOP IGP STG (Food e Wine) al quattordicesimo posto troviamo una siciliana: Trapani con 287 milioni di euro; ben distante dai 1763 milioni di euro dalla capofila Treviso ma comunque ben piazzata grazie al vino.

Nei borghi isolani il rapporto col cibo e col vino è legato ad antiche tradizioni: si pensi alla Sagra del Maiorchino a Novara di Sicilia (Me) durante la quale il tipico formaggio pecorino del luogo si trasforma da squisita prelibatezza culinaria a vero e proprio “oggetto rotolante” per le vie del borgo con annesso torneo (solo per fare un esempio).

L’emergenza sanitaria ha costretto molte amministrazioni a sospendere diverse iniziative ma il percorso in direzione dello slow food è intrapreso e i servizi di ristorazione aperti offrono esperienze da non perdere.

Salvatore Bartolotta, coordinatore regionale del club “I borghi più belli d’Italia” in Sicilia, dichiara al QdS che “il tema della slow food è stato ripreso con grande attenzione dagli addetti ai lavori siciliani da circa un anno a questa parte e si continua a progettare per tradurre in iniziative concrete quanto è stato messo su carta”.

Cibo e borghi, dunque, per saziare la fame di turisti partendo dalla qualità dei prodotti che nell’Isola non manca, “mancano” gli incassi e molto andrebbe fatto sul fronte della promozione e valorizzazione delle iniziative e degli eventi.

I dati suddivisi per regione provenienti dal Rapporto 2018 Ismea-Qualivita sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane Dop, Igp e Stg mostrano risultati davvero notevoli in merito al valore alla produzione che appaiono straordinari nel caso delle regioni leader italiane: Veneto (3,9 miliardi di euro), Emilia-Romagna (3,4), Lombardia (1,9) e Piemonte (1,2). Quattro regioni, dunque, totalizzano da sole il 65% del comparto nazionale delle Indicazioni geografiche nelle produzioni agroalimentari e vitivinicole e “nei territori del nord Italia si concentra la gran parte dei distretti più rilevanti economicamente”.

Ancora una volta un’Italia a due velocità in cui, ad esempio, una regione come la Lombardia con 78 prodotti Dop e Igp tra food e wine totalizza un impatto economico triplo (1,9 miliardi di euro) rispetto alla Sicilia che totalizza 0,6 miliardi di euro con 64 prodotti all’attivo. Non si tratta, dunque, di una questione solo numerica da attribuire al basso numero di prodotti di qualità: sono 14 i prodotti lombardi registrati in più nel 2018 rispetto alla nostra Isola ma di un tessuto produttivo che deve imparare ad esaltare al massimo le proprie potenzialità.

Un percorso che la Sicilia sembra aver intrapreso riuscendo a migliorare nel 2018 il proprio impatto economico territoriale sui prodotti Dop, Igp ed Stg del 21,7% rispetto all’anno 2017. Le percentuali migliori si riscontrano in Puglia (+56,3% sul 2017), Sardegna (+32,5%), Basilicata (+25,1%). Peggioramenti significativi, invece, per il Molise (-36,9% sul 2017) e Valle d’Aosta (-13,2%).

Rosa Giovanna Castagna, presidente della Confederazione Italiana Agricoltori della Sicilia (Cia) evidenzia potenzialità e criticità delle nostre risorse

Dal Rapporto Ismea – Qualivita 2019, l’indagine annuale che analizza i valori economici e produttivi della qualità delle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP IGP STG la Sicilia ha 64 prodotti all’attivo ed è ricercatissima per turismo enogastronomico. Quali sono le ragioni di tale appeal?
“Le ragioni di tale appeal le possiamo individuare nell’intreccio che si crea in Sicilia tra il clima, il fascino e l’eterogeneità dei paesaggi agricoli, la ricchezza dell’immenso patrimonio artistico e culturale e la straordinaria eccellenza enogastronomica che l’isola può vantare: i nostri prodotti DOP IGP e STG hanno caratteristiche uniche sia per la capacità dei produttori di garantire alti standard qualitativi sia per l’unicità del clima e delle peculiarità dell’isola, si pensi al ruolo dell’Etna per l’arancia rossa”.

Dal Rapporto viene però fuori ancora una volta un’Italia a due velocità in cui, ad esempio, una regione come la Lombardia con 91 prodotti Dop e Igp tra food e wine totalizza un impatto economico triplo (2 miliardi di euro) rispetto alla Sicilia che totalizza 0,6 miliardi di euro con 64 prodotti all’attivo. Per dirla in termini semplici: perché nell’Isola la tavola è ricca ma il piatto piange? Quali le ragioni della crescita del 21% sul 2017del valore alla produzione?
“Le ragioni sono certamente molteplici, ma credo che la più rilevante sia l’insufficienza che ancora si registra nella nostra capacità di fare sistema ed offrire il nostro prodotto all’estero in maniera più concentrata; a ciò si aggiunge il fatto che, rispetto al resto del mondo, in Italia il cibo si compra molto poco online; su tutto il fatturato e-commerce, solo il 2,7% riguarda l’alimentare. L’online fa pochi passi avanti in Sicilia, soprattutto per quanto concerne il prodotto fresco poiché non riusciamo a garantire consegne rapide a causa anche della nostra rete viaria fatiscente (soprattutto nelle zone interne) ed una rete ferroviaria del tutto sottopotenziata rispetto alle esigenze. Purtroppo quel salto di qualità che le nostre eccellenze meritano ancora non siamo riusciti a farlo. L’aumento di produzione probabilmente si può attribuire al fatto che la Sicilia su tutto il territorio ha avuto un’impennata di investimenti (anche esteri) per i prodotti a marchio IGP e DOP; soprattutto sui vini notevole è stato l’incremento di richiesta di prodotti a denominazione di origine proventi dall’Etna”.

Quali strategie dovrebbero intraprendere gli imprenditori siciliani dei settori menzionati per ridurre il gap con Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte che totalizzano da sole una grossa fetta del comparto nazionale delle Indicazioni geografiche nelle produzioni agroalimentari e vitivinicole?
“Oltre ad una più efficiente organizzazione all’interno della filiera, uno strumento che può svolgere un ruolo strategico nello sviluppo e nella promozione territoriale, sia per quanto concerne la salvaguardia del paesaggio rurale sia per favorire l’integrazione tra le diverse attività agricole e agroalimentari di qualità, è il “distretto del cibo”.
In Sicilia ne sono stati riconosciuti sette: i distretti del cibo bio slow pane e olio, del cibo del sud-est siciliano, del cibo del sud est Sicilia Etna Val di Noto, delle filiere e dei territori di Sicilia in rete, del cibo Ats Sikania Bio-Mediterraneo, del cibo dei Nebrodi Valdemone, del cibo Born in Sicily Routes – Val di Mazara”.
“Importante sarebbe anche recuperare il gap derivante dall’insularità, infatti in parte la mancata continuità territoriale comporta non poche difficoltà e aumenti dei costi nel processo di circolazione delle merci e delle persone”.

La sua associazione ha pensato o pensa di chiedere in gestione i beni confiscati alle mafie per destinarli alle colture idroponiche?
“La nostra associazione non gestisce direttamente aziende, ma sarebbe certamente una buona pratica destinare alle coltivazioni fuori campo questi beni e incoraggiare questo tipo di innovazioni in campo agricolo, considerando la notevole quantità di acqua e di suolo che consente di risparmiare ed il minor utilizzo di fertilizzanti, seppure l’investimento iniziale risulta più impegnativo e la conoscenza tecnica degli operatori più specifica, soprattutto per le colture aeroponiche”.

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