Torna al lungometraggio Sofia Loren con "La vita davanti a sé" - QdS

Torna al lungometraggio Sofia Loren con “La vita davanti a sé”

Torna al lungometraggio Sofia Loren con “La vita davanti a sé”

giovedì 26 Novembre 2020

La leggendaria attrice ha sposato il progetto di riadattamento cinematografico del romanzo di Romain Gary, ambientato a Bari e diretto dal figlio, Edoardo Ponti

LA VITA DAVANTI A SÉ
Regia di Edoardo Ponti, con Sophia Loren (Madame Rosa), Ibrahima Gueye (Momò), Renato Carpentieri (Dr. Cohen).
Italia 2020, 94’.
Distribuzione: Netflix

Per l’eccezionale ritorno al lungometraggio, Sophia Loren adotta il progetto di riadattamento cinematografico del romanzo omonimo del 1975 di Romain Gary, ambientato a Bari e diretto dal figlio Edoardo Ponti.

La sceneggiatura di Ugo Chiti (sodale di Nuti, Benvenuti e Veronesi sul versante della commedia, ma anche di Matteo Garrone da “Gomorra” in poi) la omaggia affidandole per la sua prima apparizione nel film un breve e intenso monologo in vernacolo, tutto nelle sue corde, che lei riproduce con il consueto innato magnetismo. D’altra parte il suo personaggio, Madame Rosa, sembra essere scritto apposta per lei: ex prostituta ormai troppo anziana e troppo oppressa dai fantasmi del passato per poter esercitare la professione, accoglie nella sua piccola soleggiata casa di periferia figli di colleghe più giovani e mantiene nello scantinato un luogo privatissimo in cui perdersi (o ritrovarsi) in un passato mai troppo distante.

La regia predilige riprese dall’alto soprattutto in apertura di scena, come a evocare nella verticalità la presenza di uno sguardo superiore, e trova nel montaggio delle sequenze di raccordo un ritmo accattivante, ma la gestione della messinscena, giustamente al servizio della Loren quando in campo, rimane estremamente convenzionale anche nei due momenti di ballo – dove dichiaratamente era richiesto osare – e non riesce in alcun modo a fotografare il mondo criminale in cui viene catapultato il piccolo Momò, bimbo senegalese affidato ai servizi sociali dopo la morte della madre.

Lo script trasuda buonismo. Se la scelta di una voce narrante rimarca pesantemente l’origine letteraria del film, i temi forti della memoria e dell’identità sono trattati con enormi semplificazioni, senza che nessuno dentro e fuori dal film possa ritenersi parte in causa dei misfatti e dei razzismi di ieri e di oggi, peraltro troppo distanti tra loro per essere ascrivibili allo stesso sentimento di paura e odio sociale.

Così, si accetta nel finale anche una redenzione senza conseguenze, mentre si continua a rimanere attoniti di fronte alla presenza scenica di un’icona senza età.

Voto: ☺☺☻☻☻

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