Cinema, Padrenostro, il lutto mai elaborato del piccolo Valerio - QdS

Cinema, Padrenostro, il lutto mai elaborato del piccolo Valerio

redazione

Cinema, Padrenostro, il lutto mai elaborato del piccolo Valerio

giovedì 01 Ottobre 2020

Spari e urla, un risveglio,, un’infinità di scale, poi la scena del crimine e il ritorno a letto, come si fosse trattato di un sogno. Nessun altro accenno alla tematica terroristica

Regia di Claudio Noce
con Pierfrancesco Favino (Alfonso), Barbara Ronchi (Gina), Mattia Garaci (Valerio), Francesco Gheghi (Christian)
Usa 2020, 120’.
Distribuzione: Vision Distribution

Spari e urla, un risveglio concitato, un’infinità di scale da discendere, poi la scena del crimine e infine il ritorno a letto, come a pretendere che si sia trattato di un sogno. Quella vista di un uomo agonizzante che muore sgranando gli occhi, però, è già un’ossessione. Così, con un uso ostentato della soggettiva libera indiretta e del ralenti, il regista Claudio Noce (“Good Morning Amam”, “La Foresta di ghiaccio”) trasfigura una pagina dolorosa della vita della propria famiglia, l’attentato dei Nuclei Armati Proletari nei confronti del padre vicequestore, nel 1976.

Nessun altro accenno alla tematica terroristica. La scrittura cinematografica, che privilegia il movimento di macchina e la ripresa dall’alto anche nelle inquadrature in interni, segue il piccolo Valerio Le Rose, 8 anni e un amico immaginario con cui giocare di nascosto al Subbuteo, in un percorso di formazione ed elaborazione del lutto che – tra frammenti di tg, telefonate origliate, silenzi oscuri della madre, pistole – mescola reale e irreale lasciando emergere uno stato di profonda solitudine, incomprensione, rabbia e alienazione.

Ad un accentuato formalismo della messa in scena fa da contrappunto un commento musicale che incrocia la solennità di celebri brani classici alla forza evocativa di pezzi pop di quegli anni, stabilendo un’indissolubile unione tra universale e particolare. La mente popolata di fantasmi, il bimbo trova sfogo ai propri sentimenti repressi grazie all’incontro con un ragazzo più grande, Christian, dai connotati alquanto misteriosi.

La scena della ricostruzione dell’attentato col gessetto sul manto stradale, posta perfettamente al centro di una sceneggiatura dalla struttura eccessivamente blindata (che non si fa mancare nemmeno una cornice ambientata in altra epoca, in realtà non necessaria), segna il rapido e inconsapevole avviarsi del protagonista verso una discesa agli inferi. Una discesa metaforica ma anche reale, fisica, geografica, da Roma a Riace, che già nel viaggio porta con sé un profondo senso di asfissia.

Le riprese calabresi sono contrassegnate da esasperati formalismi (citazioni pittoriche, soggettive impossibili, contrasti cromatici) e passaggi di trama al limite del plausibile (l’apparizione di Christian tra tutte, ma anche l’abbandono di Valerio in spiaggia da parte dei genitori e la visita medica da un guaritore dai tratti mistici) o comunque insoluti (senza scomodare il finale, citiamo il rapporto tra Valerio e la sorella minore, che non viene minimamente esplorato).

Lo scenario meridionale, però, regala ambientazioni esterne che ben si accompagnano allo stato mentale del piccolo protagonista, liberando – soprattutto quando il film riesce a proiettarsi oltre le praterie sconfinate dell’inconscio – spazi di rappresentazione intensi e vividi, e trasformando un’immagine illusoria in una ancora più insidiosa e perturbante come il doppio.

Notevole, in questo crescendo di paura e mistero, l’interpretazione degli attori giovani e adulti che danno vita a quel triangolo emotivo entro cui risiede probabilmente il senso ultimo del testo filmico e il vero lutto mai elaborato dal piccolo Valerio, l’assenza della figura paterna. Un tema richiamato dallo stesso titolo (e peraltro già associato in chiave sociologica e politica agli anni di piombo in percorsi autoriali decisamente distanti da quelli di Noce, per esempio Bertolucci e Bellocchio) che il regista decide di condividere esplicitamente con il pubblico con un intenso sguardo in macchina sul finale che riflette e riversa sul contesto attuale un’interessante riflessione identitaria sul corpo sociale italiano e occidentale contemporaneo.

Voto: ☺☺☺1/2☻

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