Parla lo showman e attore: dal suo esordio alla regia al rapporto con Palermo e la Sicilia
PALERMO – Ha scelto la Sicilia e in particolare il capoluogo isolano Claudio Bisio per raccontare anche nella nostra regione “L’ultima volta che siamo stati bambini”, prima opera da regista del noto showman e attore tratta dall’omonimo libro di Fabio Bartolomei. Un film sulla Shoah – uscito nelle sale in occasione degli ottant’anni dal rastrellamento del Ghetto di Roma avvenuto il 16 ottobre 1943 – realizzato con l’urgenza di condividere pensieri, riflessioni, emozioni. E farne memoria.
Il film è stato presentato nei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo ma Claudio Bisio tornerà in Sicilia anche nel prossimo febbraio con lo spettacolo dal titolo “La mia vita raccontata male” per la regia di Giorgio Gallione. Un testo, dall’enorme e variegato patrimonio letterario di Francesco Piccolo, attraverso la cui messa in scena intraprende un viaggio agrodolce tra vita pubblica e privata, reale e romanzata. Un segnale di un rapporto, quello tra Bisio e l’Isola, che parte da lontano e continua a mantenersi nel tempo. “Nelle splendide zone di Marzamemi – racconta – ho girato un bellissimo film, che era ‘Sud’ di Gabriele Salvatores. In Sicilia, negli anni, ci sono tornato spesso, recitando anche a Catania e a Palermo. E, proprio Palermo, qualche settimana fa, sono riuscito finalmente a visitarla da turista, regalandomi l’ultimo bagno della stagione estiva”.
Il 14 maggio 2022 hai battuto il tuo primo ciak da regista. Che tipo di esperienza è stata?
“Entusiasmante, lunga, un po’ faticosa. Un processo articolato che è durato quasi cinque anni, nei quali il momento in cui ho girato il film è stato quello più gioioso in assoluto”.
“L’ultima volta che siamo stati bambini” racconta un’Italia lacerata dalla Seconda Guerra mondiale…
“L’idea era di realizzare un film sulla memoria, per non dimenticare quegli orrori e non ripeterli mai più. Fortunatamente in Italia, da allora, non ci sono state più guerre, permettendoci così di vivere ottant’anni di pace. In Europa, invece, continuiamo ad assistere a tragici conflitti come quello nei Balcani, in Ucraina, in Israele. Non pensavamo di realizzare un film strettamente legato all’attualità, come purtroppo si sta rivelando”.
Quando la leggerezza va in profondità. Si potrebbe sintetizzare così il tuo lavoro?
“Questa è la vera scommessa. Cercare leggerezza di racconto, di dialoghi e di recitazione in un contesto tragico come quello della Seconda Guerra mondiale, in un’Italia ormai occupata dai nazisti, con i soldati italiani allo sbando e con i treni carichi di ebrei e dissidenti che partono verso Nord”.
La storia di un’amicizia che inizia sotto le bombe. Fino a quale consapevolezza?
“È un road movie che racconta l’amicizia, quella dell’infanzia, intesa quale momento della vita in cui si creano legami indissolubili. Una storia che li farà crescere molto, troppo in fretta, fino a fargli tristemente realizzare che quei tre giorni sono stati davvero l’ultima volta che sono stati bambini. Il cuore del racconto è rappresentato dai bambini, dal loro agire, dalle loro parole e pensieri che imprimono alla storia un tono leggero e ironico. Buffo, malgrado tutto, perché in realtà loro sono serissimi”.
Nel 2003 raccontavi in teatro che i bambini sono di sinistra. A distanza di vent’anni è ancora così?
“Era un gioco che parodiava il pezzo di Gaber ‘Qualcuno era comunista’. Sono di sinistra perché ingenui, perché credono in Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Se per sinistra intendiamo quel tipo di ingenuità, di candore, talvolta anche di incapacità a diventare adulti, allora i bambini lo sono ancora”.
Continua a risuonare nelle orecchie il jingle ‘Claudio Bisio, che simpatico umorista’. Non ti sembra un po’ riduttivo?
“È una sigletta che ha composto Rocco Tanica (degli Elio e le Storie Tese, nda) per scherzare e prendermi un po’ in giro. E io l’ho accettata volentieri, l’ho anche adottata. È un pezzo di me, che ancora esiste, ma che oggi risulta riduttivo a descrivermi”.
Un altro pezzo è sicuramente quello televisivo. Esordisci con ‘Zanzibar’ nel 1988, per diventare l’anima di ‘Zelig’ che tornerà anche per l’edizione 2023 sempre con Vanessa Incontrada. Come sono cambiati la risata e il modo di far ridere?
“Continuo a pensare che la risata e il modo di far ridere non siano cambiati più di tanto. Ci sono semplicemente dei cicli che ritornano. Oggi c’è questa moda della stand-up comedy americana, quando noi quarant’anni fa ci chiamavamo monologhisti. E come allora c’erano e continuano ad esserci i vari stili: quello che fa lo sketch, quello che parla di sé, quello più trasgressivo. La comicità non morirà mai”.