Da dove deriva, in Italia, l'attribuzione del cognome paterno ai figli? Come fare per assegnare quello della mamma? Tutto quello che c'è da sapere e il dibattito ancora aperto
“Mater semper certa est, pater numquam”, la famosa locuzione latina prende atto che, grazie al parto, è assolutamente inequivocabile la provenienza di un figlio dalla propria madre. Per il padre, invece, si può parlare di “presunzione di paternità”. Nonostante questo, ancora in Italia non è possibile attribuire ai piccoli in primis il cognome materno, fatta eccezione per coloro che un padre non ce l’hanno.
L’origine patriarcale del cognome
Il nome completo costituisce la prima basilare essenza dell’idenitità e l’appartenza a uno specifico nucelo familiare. Ma l’attribuzione del cognome paterno ai nuovi nati risale alla tradizione romanistica, ovvero alla cosiddetta “potestà maritale”, malgrado nel nostro ordinamento non esista alcuna specifica disposizione che ne attribuisca la preferenza.
La potestà maritale è quell’istituzione che prevedeva che l’uomo assumesse in famiglia – e anche nel resto della società – un ruolo predominante rispetto a quello della moglie. A esso era strettamente connessa, nell’antichità, l’autorizzazione maritale. Istituita con il Codice napoleonico nel 1804, la norma prevedeva che la donna domandasse al capofamiglia l’autorizzazione per comparire in giudizio, per il compimento di atti di disposizione patrimoniale quindi donare, ipotecare o alienare beni immobili, contrarre mutui, etc.
Nonostante la sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo nel 1815, tali prescrizioni vennero introdotte nel Codice civile del 1865 del Regno d’Italia. In esso sanciva addirittura che la patria potestà dei figli – anche questo, termine androcentrico – fosse esercitata esclusivamente dal padre di famiglia.
Nel 1919 la legge Sacchi introdusse la parziale parità tra i sessi, escludendo comunque il gentilsesso dagli incarichi “giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato”.
Il diritto di voto delle donne italiane si raggiunse soltanto nel 1946 e la parificazione del loro ruolo all’interno del nucleo familiare nel 1975.
Oggi i cognomi italiani sono più di 350 mila e le loro radici etimologiche derivano principalmente dal luogo o paese d’origine, dalla natalità degli antenati, con riferimento quasi esclusivo agli uomini.
Assegnazione del cognome alla nascita, cosa dice la legge italiana
Premesso che ormai nel nostro ordinamento i figli nati fuori dal matrimonio (naturali) sono equiparati a quelli legittimi (nati all’interno del matrimonio) e agli adottati, l’articolo 262 del Codice civile stabilisce che “il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre. Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata [269 ss.], o riconosciuta [250] successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre”.
Un’imposizione inequivocabile che lascia ben poco spazio alla volontà della madre nella determinazione del cognome dei propri figli.
L’incostituzionalità dell’articolo 262
Il tribunale di Bolzano nel 2016 si è dovuto pronunciare davanti al caso di una famiglia italo-brasiliana che chiedeva che fosse dato il cognome della madre insieme a quello del padre a un bambino nato fuori dal matrimonio. Un caso che ha fatto discutere, ma in cui c’era la consensualità tra le parti. Il tribunale ha permesso allora il doppio cognome, costituendo anche il precedente per altri bimbi nati o adottati dopo il 21 dicembre del 2016.
Dopo l’ordinanza depositata nel 2019, lo stesso tribunale ha sollevato la presunta incostituzionalità dell’art. 262.
Nella sentenza 282 presentata sulla Gazzetta Ufficiale, la Consulta ha fugato ogni dubbio sull’origine della norma: se la Corte costituzionale ha ritenuto di non potersi sostituire ovviamente al legislatore, lasciando esattamente le cose come stavano, “l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna”, come suffraga la sentenza n. 61 del 2006. E poco dopo, con un nuovo intervento, la stessa Corte ha stabilito l’incostituzionalità dell’art. 262.
L’opzione del doppio cognome invisibile sul codice fiscale
La questione ha piuttosto a che fare, dunque, con la tanto agognata parità di genere e con la mancanza di solerzia del legislatore nell’eliminazione dei frutti del retaggio patriarcale.
Può dunque, di fatto, una mamma attribuire il proprio cognome al suo bambino? In Italia solo in questi specifici casi, come definito dal Ministero degli Interni:
- insieme a quello paterno, ma dopo quest’ultimo;
- se non sa chi sia il padre biologico del piccolo;
- se, nel caso di un cognome composto, non è riconosciuto dal padre. Perché non è possibile attribuire più di due cognomi.
La scelta, tra l’altro, avviene una tantum e viene applicata persino a tutti i figli nati o addottati successivamente. In assenza di un accordo tra i genitori, la Corte può decidere di intervenire per dare al piccolo il doppio cognome.
A prescindere, però, nessuna ripercussione sul codice fiscale, in cui le prime tre lettere del cognome appartengono a quello paterno, perché precedente.
Va da sé che i figli mai riconosciuti dal padre acquisiscano esclusivamente il cognome materno. Quelli che vengono da questo riconosciuti in un secondo momento, vedono applicato il doppio cognome con precedenza per quello paterno oppure la cancellazione del cognome materno in favore dell’altro.
La trasmissione del cognome alle generazioni successive e la legge ad hoc ancora bloccata in Senato
Non essendo stata introdotta nessuna specifica legge che regolamenti la questione in maniera sistematica, si pone pure il problema della trasmissione dell’eventuale doppio cognome alle generazioni successive.
Essendo possibile trasferire un massimo di due cognomi, se i figli con cognome materno e paterno si sposano e diventano genitori, devono scegliere quale cognome trasmettere al bambino, tenendo conto di dover comunque associare quello del padre.
Esiste un disegno di legge, il n. 1628 approvato dalla Camera a settembre del 2014, a firma di Laura Garavini di Italia Viva che prevede che il cognome possa essere attribuito dai genitori secondo le loro preferenze, potendo eventualmente optare per il doppio cognome nell’ordine concordato. Peccato, però, che sia rimasto bloccato in Senato da ormai sette anni e che la questione sia rimasta ancora in sospeso.