Record negativo in Sicilia, Calabria e Campania. La Corte dei Conti: "Occorre rivedere le procedure di legge".
I Comuni italiani sono in crisi, lo abbiamo detto più volte e lo abbiamo evidenziato anche nei giorni scorsi con un approfondimento dedicato all’ennesimo rinvio della data per l’approvazione dei Bilanci di previsione 2023 al prossimo 15 settembre. Una situazione difficile ma, come sottolineato dalla Corte dei Conti – che nei giorni scorsi ha pubblicato la “Relazione sulla gestione finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane per gli esercizi 2020-2022” – comunque in lieve miglioramento rispetto agli anni difficili della pandemia.
Come evidenziato dai magistrati contabili, infatti, i numeri a livello nazionale “evidenziano una tenuta dei bilanci dei Comuni malgrado il calo dei finanziamenti, che restano elevati ma in discesa sul 2021. Il permanere dei trasferimenti correnti e il riavvio delle riscossioni determinano il miglioramento delle entrate tributarie, contributive e di natura perequativa, con un saldo positivo di cassa che conferma l’impulso alla ripresa”.
Eppure, non tutti riescono a mantenere la barra dritta in questo mare in tempesta e il fenomeno dei dissesti e dei Comuni che elaborano un Piano di rientro per evitare il default continua a manifestarsi: “Anche il 2022 – ha scritto la Corte dei Conti – registra una forte dinamica del fenomeno”.
Crisi dei Comuni e bilanci, 70 Comuni in dissesto
“Dall’1 gennaio al 31 dicembre – è stato evidenziato dai magistrati contabili – hanno deliberato la dichiarazione di dissesto o attivato una procedura di riequilibrio finanziario pluriennale 70 Comuni (44 nuovi riequilibri e 26 nuovi dissesti). In tre casi si è trattato di una ‘falsa partenza’: tre Comuni siciliani che, nel corso dell’anno avevano intrapreso la strada del riequilibrio finanziario non sono riusciti ad approvare il Piano, passando al dissesto. In un caso, in Emilia-Romagna, un Comune ha revocato in autotutela la procedura entro i novanta giorni in cui, dalla data di esecutività della delibera di attivazione, avrebbe dovuto approvare il Piano”.
In base ai dati raccolti dalla Corte dei Conti, su dissesti e Piani di riequilibrio “si registra una crescita nell’ultimo triennio, che non ha ancora raggiunto i livelli del 2019, anno precedente la pandemia. La tendenza alla crescita della criticità finanziaria potrebbe indicare, con l’esaurimento di questi effetti, un ritorno alla ‘normalità’. È cessata infatti (e si sono esaurite le code) l’erogazione straordinaria agli enti di prossimità per contrastare il fenomeno pandemico che, soprattutto nei Comuni con maggiori difficoltà, hanno svolto anche una funzione di ausilio al conseguimento degli equilibri di bilancio”.
Da dove nascono le criticità
Questa condizione, comunque, ha origini lontane e molto precise, secondo quanto si legge nella relazione: “La dinamica del fenomeno è diventata più sostenuta a partire dal 2012, anno di introduzione della procedura di riequilibrio nell’ordinamento, fattispecie individuata dal legislatore per limitare la ripresa dei dissesti finanziari di molti Comuni, alimentati dalla grande crisi finanziaria e dalle conseguenti manovre restrittive sul comparto che hanno caratterizzato la politica fiscale fino al 2017. Altro elemento che ha scoperto disequilibri finanziari è stata l’entrata a regime, nel 2015, della nuova contabilità armonizzata che, con i nuovi accantonamenti obbligatori, ha inciso significativamente le possibilità elusive del decisore locale e, richiedendo una serie di accantonamenti, ha messo in tensione i bilanci degli Enti”.
Comuni, la situazione economica non è omogenea
Ma la situazione non è omogenea in tutto il Paese: “La criticità finanziaria – hanno evidenziato i magistrati contabili – come è stato più volte rilevato nei precedenti referti, ha una forte connotazione territoriale. Si può affermare che in tre Regioni italiane, Sicilia, Calabria e Campania (la prima a statuto speciale e le altre due a statuto ordinario), il fenomeno presenta caratteristiche strutturali, che investono la tenuta stessa del sistema multilivello. In altre Regioni del Centro-Sud coinvolge molte Città e centri di grandi dimensioni. Nel resto del Paese è un fenomeno marginale”.
Le procedure attivate dal 1989, anno di istituzione del dissesto finanziario – solo nel 2012 però è stata introdotta la procedura di riequilibrio – sono, al 31 dicembre 2022, 1.243 (732 dissesti e 511 riequilibri), di cui 931 riguardano Comuni. Per quanto riguarda le tre regioni maggiormente in difficoltà, essi sono inoltre così distribuiti: 201 in Sicilia, 307 in Calabria e 266 in Campania. Il valore medio nazionale Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali 112 è del 12%, regioni in cui, come ha scritto la Corte dei Conti “la strutturalità emerge con evidenza: in Calabria il 51% dei Comuni ha attivato una delle due procedure contro lo squilibrio finanziario, in Campania il 36% e in Sicilia il 35%. Le altre quattro Regioni, in cui il fenomeno ha assunto un certo rilievo, sono la Puglia (28%), il Molise (24%), la Basilicata (23%) e il Lazio (21%), con una forte accelerazione dei casi di criticità finanziaria in quest’ultima Regione. Nel resto dei territori è un problema marginale”.
Ci sono dunque numerose e importanti città del Meridione interessate dal fenomeno. Come si legge nel dossier dei magistrati contabili, nel 2022 a un elenco già lungo si sono aggiunte “Potenza, in Basilicata che, da poco uscita da un lungo dissesto, proprio per il peso che la gestione liquidatoria ha trasferito sul Comune in bonis, è stata costretta ad attivare una procedura di riequilibrio (delibera n. 11 del 28/02/2022); Cosenza in Calabria che, in presenza di un dissesto ancora aperto ha attivato una procedura di riequilibrio (delibera n. 30 del 18/10/2022); Afragola in Campania, ha dichiarato il dissesto (delibera n. 62 del 14/06/2022); Cava dei Relazione sulla gestione finanziaria degli enti locali 113 Tirreni, in Campania, ha attivato la procedura di riequilibrio (delibera n. 11 del 21/04/2022); Aversa, in Campania, che ha attivato la procedura di riequilibrio (delibera n. 72 del 19/12/2022); e infine Vasto, in Abruzzo, che ha attivato una procedura di riequilibrio (delibera n. 11 del 28/02/2022)”.
Comuni in crisi e dissesto: il rapporto tra criticità e dimensione
“Permane – hanno aggiunto – il rapporto diretto tra criticità finanziaria e dimensione del Comune. Il numero dei piccoli Comuni coinvolti prevale in valore assoluto ma, se si rapporta il dato alla classe di popolazione di appartenenza, si può notare la maggiore incidenza della criticità finanziaria in quelli più grandi. Si va dal 7% per i Comuni al disotto dei 2mila abitanti al 10-12% per quelli al disotto dei 20mila, sino ad arrivare al 15-17% per le classi di popolazione superiore (dai 20mila abitanti in su). Pesa, sicuramente, la crescente complessità amministrativa e questo aspetto è molto rilevante, perché nella riorganizzazione dello strumentario normativo, le attenzioni maggiori vanno indirizzate proprio verso questa dimensione, mentre le criticità dei piccoli Comuni possono essere risolte con limitate risorse finanziarie e una tempestiva azione di affiancamento”.
Come invertire la rotta: si cercano soluzioni
Servono dunque soluzioni per cercare di invertire un fenomeno che, soprattutto nel Mezzogiorno, rischia di sfuggire di mano e diventare sempre più pericoloso per la finanza pubblica. Per la Corte dei Conti, “le considerazioni sviluppate e i dati forniti mostrano con evidenza la necessità di mettere a sistema le recenti innovazioni normative in una procedura di risanamento unificata, che preveda affiancamento e supporto, capace anche di condizionare le scelte dell’ente in difficoltà che riceve aiuto, per tutelare l’interesse della Comunità amministrata. Il ruolo del controllo esterno può incidere sulle condizioni di ingresso nel meccanismo di risanamento (indicando il Comune in difficoltà) e sulla garanzia del processo, attraverso l’analisi dei documenti di bilancio. La procedura del dissesto, risalente e oggetto di molteplici interventi di manutenzione, mostra i suoi limiti comportando un procedimento farraginoso e presentando vari aspetti critici quali: il dualismo tra Organismo straordinario di liquidazione (Osl) e decisore che resta in carica per gestire il bilancio riequilibrato, l’opacità dei confini tra Osl e amministrazione ordinaria (rispetto al tempo e alla ripartizione), l’aleatorietà della massa attiva (residui attivi inconsistenti), la rilevanza delle partite passive trasferite al Comune in bonis, che spesso lo fanno ripiombare nella criticità (il rendiconto di gestione rende il Comune nuovamente aggredibile). Altre incongruenze derivano dal fatto che la procedura mutuata sul fallimento viene applicata a Enti che non possono fallire, trascinando il percorso di risanamento in un periodo di durata eccessiva. Tutte queste vicende dimostrano l’esigenza di uno studio approfondito per rivedere e razionalizzare l’intera disciplina del Titolo VIII del Tuel, nell’intento di semplificare la complessa normativa oggetto di stratificazioni successive e di risolvere il tema di fondo della inefficacia delle procedure a fronte di situazioni di conclamata fragilità strutturale dell’Ente”.
Inoltre, come hanno scritto i magistrati contabili, “le norme di cui all’art, 268-bis del Tuel non hanno mai trovato applicazione nella prassi. Si tratta di norme di chiusura con un forte grado di indeterminatezza. Tant’è che si riscontrano, sebbene non numerosi, sia casi di doppio dissesto, sia casi di procedure di riequilibrio attivate in presenza di dissesto. È anche da considerare che l’intero Titolo VIII è antecedente alla introduzione della contabilità armonizzata (2015) che non è stata priva di effetti nel fare emergere situazioni di criticità. Oggi il disavanzo è dovuto in prevalenza ad accantonamenti e Fondi rischi, mentre le norme sul dissesto sono state pensate per debiti effettivi. Ciò comporta che gli Osl impostano il risanamento in termini di cassa, mentre il disavanzo da accantonamenti opera sul piano della competenza. Il risultato è, spesso, il rilascio di un avanzo calcolato con criteri di cassa, che corrisponde a un disavanzo in termini di contabilità armonizzata. L’attuazione della contabilità armonizzata ha fatto emergere nuove situazioni che vanno oltre il deficit di cassa che è presupposto del dissesto, in quanto la previsione di fondi prudenziali se da un lato ha messo in sicurezza i bilanci dall’altro ha creato maggiori esigenze di accantonamento, mettendo in crisi l’erogazione di spesa di competenza”.
“Tutto questo – ha concluso la Magistratura contabile – comporta, pertanto, la necessità di trovare un punto di equilibrio tra l’attuazione degli istituti dell’armonizzazione e le disposizioni che presidiano la criticità finanziaria. In questo modo si potrà spezzare l’attuale corto circuito e tutelare davvero il bene pubblico ‘bilancio’”.