Comuni, la crisi finanziaria è nella riscossione: i municipi siciliani fra i peggiori in Italia - QdS

Comuni, la crisi finanziaria è nella riscossione: i municipi siciliani fra i peggiori in Italia

Paola Giordano

Comuni, la crisi finanziaria è nella riscossione: i municipi siciliani fra i peggiori in Italia

sabato 31 Agosto 2024

Corte dei Conti: i Municipi siciliani fra i peggiori d’Italia. Così i morosi fanno festa e gli onesti pagano per tutti

PALERMO – Continuiamo ad analizzare lo stato di salute dei Comuni italiani, focalizzandoci in particolare, questa volta, su quelli del Mezzogiorno. Eravamo partiti, nell’inchiesta pubblicata lo scorso 6 agosto, da due considerazioni scontate: la prima era quella che un bilancio è fatto di entrate e uscite, la seconda che, parlando sempre di bilanci, per essere in equilibrio la differenza tra entrate e uscite deve essere pari a zero.

L’efficientamento del sistema delle riscossioni non è più rinviabile

Avevamo analizzato quanto emergeva dalla “Relazione sulla gestione finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane per gli esercizi 2021-2023” – approvata dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti con delibera n. 13/SEZAUT/2024/FRG – in merito alle due voci che costituiscono i bilanci degli Enti locali italiani per capire il loro stato di salute e avevamo constatato – Relazione alla mano – che un efficientamento del sistema delle riscossioni non era più rinviabile perché se, archiviata l’emergenza sanitaria, le finanze comunali nel triennio 2021-2023 hanno intrapreso un lento cammino di ripresa che ha permesso di riportare il sostegno statale quasi ai livelli pre-pandemici, continua a persistere una divergenza tra l’andamento del gettito teorico e quello effettivamente incassato.

Mezzogiorno in sofferenza

Una divergenza che in Sicilia – sono i magistrati contabili a certificarlo – raggiunge livelli di certo non invidiabili. Insieme a Lazio, Campania e Calabria, l’Isola presenta infatti “un netto divario (sempre superiore a euro 200) fra i tributi accertati e quelli riscossi in termini pro-capite”: a fronte dei 556 euro di entrate correnti di natura tributaria, contributiva e perequativa accertate per abitante nel 2022, sono 312 gli euro riscossi. Ciò vuol dire che all’appello mancano ben 244 euro pro-capite.

“Andando a suddividere i Comuni per fascia demografica, si nota – rileva inoltre la Corte – come il descritto gap cresca proporzionalmente all’aumento della popolazione, a conferma delle maggiori difficoltà che incontrano i grandi Enti nel processo di riscossione”. Negli Enti locali di fascia 8 (quelli cioè con oltre 250.000 abitanti) la differenza pro capite tra l’accertato e il riscosso aumenta infatti di 10 euro (arrivando in media a 254 euro ad abitante).

Se la matematica non è un’opinione, prendendo il totale delle entrate accertate in Sicilia (2,2 miliardi di euro) e confrontandolo con l’importo effettivamente incassato (1,2 miliardi, ovvero il 54,5%) viene fuori un ammanco di entrate pari a un miliardo.

La grande distanza fra teoria e pratica

Vale la pena aprire una parentesi sulle entrate connesse all’Imu che, come confermato dai magistrati contabili, è “il perno della fiscalità propria comunale”. Sono gli stessi magistrati a segnalare che dal confronto “fra i dati pubblicati dal Mef in merito agli accertamenti del tributo a livello nazionale e i dati delle riscossioni presenti in Siope emerge come nel triennio 2021-2023 il gettito teorico (ossia gli accertamenti) dell’Imu sia in costante aumento, mentre quello effettivo (ossia gli incassi) non presenta un pari andamento. Infatti, a fronte di un accertato pari a circa 17,7 mld nel 2021, circa 17,9 mld nel 2022 e circa 18 mld nel 2023, le somme effettivamente incassate dai Comuni sono state pari a circa 14,8 mld nel 2021, circa 15,05 mld nel 2022 e circa 14,3 mld nel 2023”.

Persiste quindi un significativo divario fra il gettito teorico e quello effettivo che a livello regionale varia dal 40 per cento del gettito teorico in Calabria al 10,9 per cento in Emilia-Romagna e che presenta valori più elevati nelle Regioni meridionali. La Sicilia, naturalmente, non fa eccezione: registra infatti un tax gap pari al 33,3 per cento del gettito teorico.

Il punto è sempre lo stesso: “I crediti non prontamente riscossi, oltre a non tradursi in un flusso di cassa, appesantiscono i bilanci per via del necessario accantonamento a Fcde (Fondo crediti di dubbia esigibilità, nda)”. E la soluzione è anch’essa sempre uguale: migliorare i processi di riscossione “anche attraverso il recupero di ambiti di evasione”.

Guardando alle entrate extratributarie, la situazione siciliana non è la peggiore ma neanche la migliore: tra l’accertato e il riscosso si perdono per strada quasi 100 euro (98 per la precisione), un importo superiore alla media italiana, che si ferma a 86 euro pro-capite. Dei 173 euro di entrate extratributarie accertate sono il 43 per cento viene realmente incamerato. Peggio di noi, in termini percentuali, fa solo la Calabria che riesce a riscuotere solo il 35 per cento di quanto rilevato.

Nonostante abbiano registrato in Sicilia l’incremento più alto in termini di accertamento (+26,6 per cento dal 2021 al 2022) e tra i più cospicui in relazione alla riscossione (+24,4 per cento), le entrate extratributarie “offrono un limitato sostegno ai bilanci comunali, sia per il loro più modesto importo sia per le difficoltà di riscossione”.

Anche in questo caso, infatti, guardando ai valori assoluti a fronte di 687 milioni di euro di entrate extratributarie accertate nell’anno 2022, solo 297 milioni risultano arrivati a destinazione. Per conseguenza non risultano pervenuti 390 milioni che, sommati al miliardo relativo alle entrate tributarie, diventano 1,4 miliardi di euro.

Coerentemente con la dinamica delle riscossioni, l’Isola presenta tassi di smaltimento degli impegni inferiori al dato medio: 73,5 per cento contro 76,8.

Un destino inevitabile

Le conseguenze sono facili da intuire: i Comuni siciliani, insieme a quelli delle altre regioni meridionali, faticano a trovare una loro effettiva autonomia finanziaria: “Nel biennio 2021-2022 – rileva la Corte dei conti – un buon grado di autonomia finanziaria si evidenzia per i Comuni del Nord (ove l’indice di autonomia è superiore, nel biennio, al 70%) e del Centro Italia, particolarmente per quelli toscani (dove il grado di autonomia finanziaria è intorno all’80%). L’analisi dei dati di bilancio di parte corrente dei Comuni del Molise, della Basilicata e delle zone meridionali evidenzia una scarsa auto-sufficienza finanziaria, con indici di autonomia che si attestano intorno al 60% o soglie inferiori”. Con il suo 58,9 per cento, l’Isola rientra proprio in quest’ultima casistica.

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