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Conte riduce l’Italia in miseria

Il Dpcm di domenica 26 aprile va visto in controluce, per cercare di capire il disegno politico che l’ha generato.
Apparentemente esso è dominato da grande prudenza, cioè da grande paura, inoculata da un insieme di scienziati che, se in buona fede, guardano mezza mela e ignorano totalmente l’altra mezza.
Il Governo, completamente appiattito su questi scienziati, sta creando un’epidemia più mortale, consistente nella diffusione della miseria nei ceti medi, atteso che già i poveri sono poveri.
La domanda è: come mai il Governo sta perseguendo questa linea che distrugge la parte più importante del Paese e cioè gli imprenditori piccoli e medi, ovvero i cinque milioni di partita Iva? Forse è talmente incompetente per cui risulta incolpevole? A noi non sembra.
Ci sembra piuttosto che il disegno politico sia quello di comunistizzare il Paese e cioè diffondere il principio che tutti, o la maggior parte dei suoi abitanti, hanno bisogno dello Stato e, per esso, del Governo in carica.
E qual è la motivazione? Recuperare consenso per il partito che ne ha perso tre quarti dalle ultime elezioni: M5S.

Dopo l’infausto reddito di cittadinanza, ora viene comunicato il provvedimento relativo al reddito di emergenza e poi ci sarà il reddito di povertà. In altre parole, i pentastellati vogliono tentare di recuperare dieci milioni di consensi dando assegni e prebende a dieci milioni di cittadini che in parte erano poveri e che con questi provvedimenti di clausura lo stanno diventando.
Quando ascoltavamo il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte – che nella sua comunicazione non è per nulla convincente perché esprime una sorta di paura nell’affermare le questioni che trasmette – abbiamo avuto la precisa sensazione che la sua preoccupazione fosse quella di rendersi credibile nel dire delle cose che in effetti ne nascondevano altre.
Appare del tutto ingiustificato, per esempio, procrastinare l’apertura del commercio, di bar, ristoranti, pizzerie, palestre e luoghi di riunione al prossimo primo giugno, cioè tra quasi quaranta giorni. Riteniamo che il Governo si renda conto che moltissimi esercenti non apriranno le saracinesche; quindi il disegno è fatto di proposito per fargliele tenere chiuse definitivamente ed avere bisogno di provvidenze.
Vi sono altri indizi di questo progetto di cui cerchiamo di individuare i contorni: il primo riguarda l’annuncio roboante dell’assunzione di sessanta mila nuovi professori, di cui la scuola non ha bisogno perché gli alunni sono in calo.
È vero che vi sono classi-pollaio, ma questo è frutto di una disorganizzazione e non della mancanza di insegnanti. Peraltro, cosa possiamo aspettarci da una pubblica istruzione che agisce con la stessa filosofia in assenza di merito e responsabilità, se non da un canto le suddette classi-pollaio e dall’altro classi con quattro/cinque alunni?
L’altro indizio di questo diabolico disegno, secondo noi in atto, riguarda la statalizzazione di Alitalia. Si tratta di un altro passo verso l’occupazione manu militari dell’economia, in modo che il Governo – almeno per il periodo che gli resta fino alle prossime elezioni, che al più tardi saranno in primavera 2023 – possa distribuire altre risorse ai nuovi poveri che sta creando e quindi spera di ottenerne, ripetiamo, il consenso.

Il neocomunismo dello Stato che pensa a tutto e a tutti ha come conseguenze drammatiche quelle che abbiamo visto all’epoca, prima del 9 novembre 1989, in Paesi come l’Unione Sovietica, la Germania dell’Est, la Polonia ed altri, ove si trovarono le economie in macerie.
Cosa sta facendo questo Governo se non trasformare il sistema imprenditoriale in macerie? Va proprio in questa direzione; più c’è bisogno dello Stato e più il consenso può essere scambiato con i voti. Chi deve ricevere un sussidio di qualunque natura, difficilmente può tenere la schiena dritta e più facilmente deve calare la testa. Più il Governo tiene chiuse le attività e più crea bisogni cui poi, a parole, dovrebbe provvedere.
Ci auguriamo che quanto prospettato non sia del tutto vero, ma riteniamo che il nostro auspicio non corrisponda alla realtà.
A questo punto i presidenti delle regioni meridionali (non governatori) devono reagire con forza e mettere all’angolo il Governo anticipando le aperture, consentendo ai credenti di andare in chiese e moschee, facendo ritornare alla convivialità e alla socialità i cittadini per troppo tempo carcerati in casa, rimettendo in moto turismo e servizi che costituiscono il nerbo del Pil meridionale.