Sentiamo tanti ciarlatani definire la concorrenza dannosa, perché crea disastri. Ma a chi? A quelli che vogliono agire in regime di monopolio, in un ambito ristretto, per cui possono godere di privilegi e di vantaggi a scapito di altri e precisamente di cittadini/e consumatori/trici, i/le quali sono danneggiati/e da quegli egoisti che fanno i propri interessi, così violando la prima regola etica del vivere in una Comunità.
La concorrenza è una condizione in cui una moltitudine di soggetti si contende ad armi pari una certa cosa, un servizio, un appalto o qualunque altra attività serva ai/alle cittadini/e.
Essa è benefica e salutare non solo nel settore pubblico, ma anche in quello privato. Per esempio, nella Gdo (Grande distribuzione organizzata) i diversi gruppi continuano a limare i prezzi per cercare di acquisire più clienti, i quali si avvantaggiano della competizione perché pagano di meno.
La pubblicità nei giornali, in radio, televisione, siti e social, consente di portare all’opinione pubblica tutti i vantaggi di beni e servizi di modo che gli acquirenti possano ottenerli ai migliori prezzi e condizioni. Insomma, la concorrenza alimenta la competizione, incentiva il miglioramento dell’offerta e consente il controllo dei prezzi.
È talmente pacifico quanto scriviamo che non ci rendiamo conto di come qualcuno possa blaterare che la concorrenza sia dannosa. Non sappiamo chi creda a questi strilli e non sappiamo neanche se quelli che li fanno si rendano conto dell’enormità che riferiscono.
La concorrenza è benefica anche a livello internazionale e in questo campo esiste un ente più volte citato, il World trade organization (Wto), che appunto regola i commerci fra i diversi Paesi del mondo e tenta di evitare che essi siano influenzati da orpelli quali sono i dazi.
Questi ultimi danneggiano la concorrenza perché falsano i prezzi. Per esempio, un’auto che costa mille perché il costruttore ha saputo coniugare bene i suoi costi di manodopera, prodotti e altri, siccome è più vantaggioso di un altro fabbricante che produce lo stesso prodotto ma un prezzo maggiore, viene caricata del dazio, che la rende quindi non competitiva.
Nel nostro Paese vi sono tanti settori ove non c’è concorrenza. Il più noto di tutti riguarda i siti ove vi sono gli impianti balneari. Un altro abbastanza conosciuto è quello del trasporto pubblico con mezzi piccoli e cioè tassisti e Ncc. Il terzo riguarda i mercati rionali.
In tutti questi settori non c’è concorrenza perché non vi sono neanche le gare, in quanto le lobby fanno di tutto per evitarle e trarre vantaggi dalla mancata concorrenza.
Nel caso dei siti balneari, se vi fossero le aste pubbliche, i Comuni incasserebbero centinaia di milioni in più, mentre oggi su quattordici miliardi circa di giro d’affari, incassano in tutto intorno a centocinquanta milioni.
Per i taxi la questione è nota: bisognerebbe che il loro numero almeno raddoppiasse per renderli competitivi e bisognerebbe consentire agli Ncc di operare in piena concorrenza. Il/la consumatore/trice avrebbe il vantaggio di usufruire dei veicoli più competitivi, cioé quelli più pronti e a un prezzo migliore.
In Italia, poi, vi è un grande settore di cui tutti parlano senza centrare il nucleo della questione e cioè quello della sanità, in cui operano soggetti pubblici e soggetti privati. Ma essi non sono in concorrenza e non sono neanche complementari, cioè il peggio che vi possa essere in un settore così delicato come quello che deve assistere la salute dei/delle cittadini/e.
Si presenta il solito ibrido tutto italiano per cui chi lavora nel settore pubblico può lavorare anche in quello privato: in teoria fa concorrenza a se stesso, ma è solo teoria.
Invece pubblico e privato dovrebbero lavorare in piena autonomia, senza commistioni; dopodiché offrirebbero i migliori servizi ai/alle cittadini/e per attrarli/e e da tale concorrenza questi/e ultimi/e sarebbero serviti/e meglio.
Poi vi è un altro settore senza concorrenza, quello della Pubblica amministrazione di tutti i livelli. Stato, Regioni e Comuni dovrebbero gestire la Cosa pubblica affidando al privato gran parte dei servizi perché costerebbero meno e sarebbero di migliore qualità.
Concorrenza, ti amo, ma non ti voglio.

