Considerato che non è certo che ad avere alterato i valori della falda sia stata la discarica, non si può chiedere ai proprietari di sobbarcarsi l’onere di finanziare le analisi per approfondire lo stato di salute dell’ambiente.
È questo in sintesi il contenuto di una sentenza del Tar di Catania destinata a fare discutere. I giudici della seconda sezione, presieduta da Daniele Burzichelli, hanno accolto un ricorso della Oikos – proprietaria delle discariche che si trovano tra Motta Sant’Anastasia e Misterbianco – presentato dai legali della società della famiglia Proto per opporsi a una richiesta proveniente dalla Regione.
Stavolta al centro dell’attenzione non c’è la discarica di contrada Valanghe d’Inverno – quella ancora operativa e che nei prossimi giorni sarà al vaglio del Cga, che dovrà valutare la richiesta di revocazione della precedente sentenza che aveva annullato l’autorizzazione ambientale utilizzata da Oikos per circa tre lustri – ma Tiritì, la discarica che i Proto hanno utilizzato per anni per abbancare rifiuto e che da tempo è satura.
Sul tavolo dei giudici amministrativi è arrivato l’iter seguito a una scoperta sulla cui veridicità nessuno nutre dubbi: le acque che si trovano in profondità rispetto alla discarica presentano valori superiori ai limiti di legge. Un dato che sia per la Regione che per il Comune di Motta Sant’Anastasia rappresenta una minaccia per l’ambiente e la salute pubblica.
Valori preocuppanti
La storia inizia a cavallo tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate del 2024, quando dall’assessorato regionale ai Rifiuti partono due note, a distanza di qualche settimana l’una dall’altra. Viene chiesto a Oikos di occuparsi di Tiritì. Nello specifico, i dirigenti chiedono alla società “di redigere il piano di caratterizzazione”.
Si tratta dello strumento previsto dal codice dell’ambiente quando in un sito emergano elementi che possano far pensare a una possibile contaminazione. Le analisi servono per capire nel dettaglio i livelli di rischio e le misure da intraprendere per gestire la situazione, fino ad arrivare alla bonifica delle aree compromesse.
A entrare in gioco sono le cosiddette concentrazioni di soglia di contaminazione (Csc), cioè il monitoraggio della quantità di sostanze inquinanti nei suoli e nelle acque sotterranee. Nel caso di Tiritì le preoccupazioni riguardano queste ultime.
“La Regione e l’Arpa hanno constatato alla ricorrente che, mentre i valori di concentrazione delle soglie di contaminazione del suolo e del sottosuolo nell’intera area della discarica sono risultati nei limiti dell’ordinario – viene ricostruito nella sentenza del Tar – quelli relativi all’acqua in una ristretta zona della discarica sono risultati superiori ai limiti”.
La difesa
La comunicazione inviata a Oikos poggia su un convincimento che per l’assessorato non è in discussione: il superamento delle Csc deriva dalla presenza dei rifiuti.
La società della famiglia Proto, però, la pensa diversamente: “Oikos – si legge nella parte in cui viene riportata la tesi difensiva da cui è nato il ricorso – ha fornito una spiegazione scientifica del superamento: in particolare ha dimostrato che il valore delle Csc riscontrate per l’acqua trovasse origine nelle caratteristiche naturali del terreno e non nell’attività di gestione dei rifiuti”.
Convinta di non avere causato alcuna forma di inquinamento, l’impresa ha lamentato davanti ai giudici amministrativi il pregiudizio che avrebbe mosso la Regione. “Senza procedere alla individuazione del responsabile della contaminazione, senza individuare alcuna condotta commissiva o omissiva imputabile ad Oikos, senza rappresentare alcun nesso di causalità fra le attività di gestione della discarica e la contaminazione registrata e senza individuare Oikos quale responsabile del superamento delle Csc, ha ordinato al gestore la caratterizzazione”, è la posizione della società.
In parole più semplici: per Oikos, a occuparsi della caratterizzazione, diradando così ogni tipo di dubbio sulla causa del superamento dei valori registrati nel piezometro numero 10, dovrebbero essere altri soggetti. Probabilmente pubblici, di certo non la società che ha gestito Tiritì.
Dal canto proprio, il Comune di Motta ha ricordato il principio del chi inquina paga, che “impone al gestore del sito contaminato l’onere di dimostrare che l’inquinamento non sia causato dalla sua attività”. A sostenere la responsabilità di Oikos è stata anche la Città metropolitana, che, costituitasi in giudizio, ha rilevato che “la ricorrente non ha fornito prove adeguate a dimostrare la propria estraneità alla riscontrata contaminazione”. La Regione, invece, ha ribadito che gli accertamenti effettuati da Arpa hanno confermato “che la presenza di acqua contaminata nei piezometri non è episodica, né attribuibile esclusivamente a fattori naturali, e che i valori rilevati sono nettamente superiori alle soglie previste”.
La sentenza
Per il Tar, la necessità di approfondire la questione riguardante le cause del superamento delle Csc resta centrale. “La legge stabilisce espressamente e inequivocabilmente che il piano di caratterizzazione debba essere presentato ogniqualvolta si registri il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (anche per un unico parametro)”, hanno scritto i giudici rispondendo a un’osservazione di Oikos, secondo cui ci sarebbero state altre alternative meno onerose.
Tuttavia, a essere incaricata della redazione non può essere l’impresa. “L’amministrazione non ha dato dimostrazione che la Oikos abbia causato o contribuito in modo diretto, dolosamente o colposamente, alla contaminazione del sito; né ha provato il nesso causale intercorrente per mezzo di prove oggettive che consentano di collegare l’attività della ricorrente alla contaminazione”, si legge nella sentenza. Il pronunciamento di fatto annulla le pretese della Regione, “fatti salvi – si legge – gli ulteriori provvedimenti che l’amministrazione dovrà adottare all’esito di una rinnovata attività istruttoria in ordine all’identificazione del responsabile della contaminazione”.

