Contenzioso, l’assoluzione nel processo penale non si estende a quello tributario - QdS

Contenzioso, l’assoluzione nel processo penale non si estende a quello tributario

Salvatore Forastieri

Contenzioso, l’assoluzione nel processo penale non si estende a quello tributario

martedì 01 Marzo 2022

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 913/2022, ha ribadito l’autonomia dei due giudizi. In virtù del principio del doppio binario, il giudice deve procedere a valutazione propria

ROMA – Venuta meno la pregiudiziale tributaria, nemmeno l’assoluzione penale è risolutiva nel processo tributario.
Risale al 1929 (legge 7 gennaio 1929 n.4, articolo 21) la cosiddetta “pregiudiziale tributaria”, ossia la disposizione, ormai abolita, secondo la quale in materia di accertamento delle imposte dirette l’azione penale per i relativi reati doveva attendere l’esito definitivo del processo tributario, visto che era il giudice tributario l’unico ad essere competente a quantificare l’ammontare dell’evasione e, conseguentemente, determinare l’esistenza o meno del reato.

L’istituto della pregiudiziale tributaria, però, si poneva in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto il giudice penale di fatto veniva ad essere vincolato dall’accertamento dell’ufficio, anche se successivamente sottoposto all’esame del giudice tributario.

Sono questi i motivi per cui, con la legge 516 del 1982, tale istituto (la pregiudiziale tributaria) è stato abrogato, con la previsione di due processi assolutamente paralleli, quello tributario e quello penale, che non si incontrano mai e che, alla fine, possono anche avere esiti completamente diversi.
Per la verità ci sono validi motivi che giustificano l’esistenza parallela di due processi. Va osservato, infatti, che le norme sul giudizio penale prevedono sistemi di indagine e di prova molto più pregnanti rispetto a quelli in materia tributaria.

Basti pensare, per esempio, all’impossibilità dell’utilizzo della prova testimoniale in ambito tributario e, al contrario, la sostanziale inefficacia in campo penale dei diversi sistemi presuntivi di determinazione del reddito in materia fiscale.

Può accadere, tuttavia, che dal proscioglimento del contribuente, sottoposto anche a procedimento penale, l’ufficio faccia discendere anche “l’assoluzione” in materia tributaria. È il caso, per fare qualche esempio, di ipotesi di emissione o utilizzo per operazioni inesistenti, oppure di presunta evasione fiscale (oltre le soglie di punibilità penale) fondata sull’applicazione di studi di settore o di altri parametri presuntivi di accertamento.
Questa, evidentemente, sarebbe una “pregiudiziale tributaria” all’incontrario, ossia una “pregiudiziale penale” la quale, come precedentemente detto, non è prevista dalla legge.

È questo il senso della recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 913 del 13/1/2022, secondo la quale, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, magari incluse in una frode carosello, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente sia stato consapevole dell’esistenza di una ipotesi di reato (operazione fatturata da soggetto diverso da quello che l’ha posta in essere), non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, anche se riguardanti gli stessi fatti su cui si fonda la contestazione tributaria.

Questo perché il Giudice Tributario, proprio per l’autonomia dei due giudizi (il “doppio binario”), non può attribuire alla sentenza penale automatica autorità di cosa giudicata, ma deve procedere ad una valutazione propria nella quale il giudizio penale può rappresentare solo un elemento che, unitamente alle altre circostanze di cui il giudice tributario prende conoscenza, consente di pervenire alla sentenza in materia tributaria.

La recente sentenza della Corte di Cassazione, al riguardo, ha precisato che, in tema di Iva, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che il documento (la fattura) riguarda operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa Amministrazione l’onere di provare, anche in via presuntiva, la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, per la sostanziale inesistenza del contraente.

In questo caso, sempre secondo la Cassazione, si sposta sul destinatario della fattura l’onere di fornire la prova contraria, ossia di avere adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, per non essere coinvolto in un’operazione fraudolenta.

Esistono, comunque, casi i quali, di fatto, proprio per l’esistenza di sistemi d’indagine e probatori più efficaci, pur volendo escludere l’ipotesi di una vera e propria “pregiudiziale penale”, di fatto non possono non condizionare l’esito del controllo fiscale e dell’eventuale successivo contenzioso tributario.
Se, per esempio, il rilievo dell’ufficio riguarda la mancata effettuazione di un versamento oppure una detrazione non documentata, ed il contribuente produce una quietanza che, magari soltanto perché non acquista dall’Anagrafe Tributaria, viene considerata dall’ufficio falsa, o un documento che dovrebbe giustificare la detrazione ma che viene considerato pure falso, non c’è dubbio che il giudizio penale instaurato sulla denuncia di falsificazione materiale o ideologica di un documento diventa pregiudiziale.
L’Ufficio, infatti, non avrebbe alcun modo per contestare o confermare la regolarità del documento che il contribuente asserisce essere dimostrativo del pagamento o della detrazione, mentre il Giudice penale, con i poteri di cui dispone (prova testimoniale, prova calligrafica, ecc.) può giungere più facilmente alla verità.

Una questione, come si può facilmente notare, molto delicata, che si spera possa trovare soluzione con la riforma della giustizia, anche della giustizia tributaria, per la quale, secondo le numerose proposte di legge esistenti, è stata ipotizzata anche l’introduzione della prova testimoniale, avvicinando, così, il processo tributario a quello civile e penale.

Vale la pena evidenziare, per completezza, un’altra pronuncia, pure della Corte di Cassazione, la sentenza n. 2245 depositata in data 20 gennaio 2022, secondo la quale, sempre in caso di due processi, uno tributario ed una penale, riguardante la medesima fattispecie, il giudice penale, nel rispetto dei principi fissati dalla Corte Europea sui Diritti dell’Uomo, nonchè di quello comunemente indicato come “ne bis in idem”, nel determinare la sanzione penale deve tener conto anche di quella amministrativa già irrogata a titolo definitivo, al fine di pervenire ad una pena complessiva dotata di maggiore proporzionalità rispetto alla violazione commessa e, pertanto, più equa.

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