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Continua la fuga delle donne dal mondo del lavoro soprattutto in un Meridione senza servizi adeguati

Continua la fuga delle donne dal mondo del lavoro soprattutto in un Meridione senza servizi adeguati

Maternità e mancata assistenza sono le prime cause di esclusione dei soggetti femminili dal mercato professionale

ROMA – Negli Stati Uniti l’hanno definita she-cession, la recessione delle donne dal mondo del lavoro. Un vero e proprio fenomeno sociale che Oltreoceano, a causa dell’aumento del costo della vita e del carico insostenibile delle cure familiari, ha spinto milioni di madri a lasciare il lavoro per occuparsi dei figli. Oggi lo stesso copione si sta scrivendo anche in Italia, dove la maternità continua a rappresentare una frattura profonda nel percorso professionale femminile.

She-cession e lavoro femminile in Italia

Il campanello d’allarme per il nostro Paese è suonato da tempo, come testimonia anche il rapporto “Le Equilibriste – La maternità in Italia 2025” di Save the Children. I dati sul tasso di occupazione per la fascia di età 25-54 anni nel 2024 mostrano un evidente divario di genere legato alla presenza di figli. Gli uomini mostrano livelli occupazionali molto elevati anche quando hanno i figli, ma la partecipazione è strettamente legata alla condizione familiare, in maniera opposta rispetto a quanto accade per le donne. “Il 77,8% degli uomini senza figli lavora – spiega il rapporto – ma questa percentuale sale al 91,5% tra i padri e raggiunge il 91,9% tra quelli con almeno un figlio minore. Il valore resta sopra il 91% anche per i padri con due o più figli sotto i 18 anni. Il dato medio complessivo per gli uomini è dell’84,1%. Per le donne la situazione è radicalmente diversa: l’occupazione è pari al 68,9% tra quelle senza figli, ma scende al 62,3% tra le madri”.

Sicilia e divari di genere dopo la maternità

Nel più recente “Indice delle madri per regione”, inserito nel report realizzato in collaborazione con Istat, Save the Children evidenzia come la Sicilia continui a occupare le ultime posizioni in quasi tutti i settori analizzati, evidenziando forti disparità tra Nord e Sud del Paese. L’unico dato positivo arriva dalla demografia: l’Isola è seconda in Italia per tasso di fecondità, dietro soltanto alla Provincia autonoma di Bolzano, e registra un valore superiore alla media nazionale. Molto meno incoraggiante il quadro della rappresentanza, dove la Sicilia si colloca al 12° posto su 20 regioni, lontana dai livelli del Lazio, primo in classifica.

Occupazione femminile e servizi per le famiglie

Il lavoro resta la vera emergenza: nonostante un lieve miglioramento rispetto all’anno precedente, la Regione è ancora ultima in Italia. Il tasso di occupazione femminile si ferma al 48,9% per le donne senza figli (contro il 79,8% al Nord e il 74,4% al Centro) e scende al 42% in presenza di figli minori, fino al 40% tra chi ha due o più figli. Situazione analoga anche per gli uomini: nel Mezzogiorno lavora il 61,5% dei senza figli (86,7% al Nord, 81,3% al Centro) e l’82,8% tra i padri con figli minori, contro il 96,7% e il 94,5% del Centro-Nord. Dati che si spiegano anche con la terz’ultima posizione in classifica dell’Isola per servizi destinati alle famiglie.

Costi di cura, asili nido e abbandono del lavoro

Una drammaticità evidenziata anche dall’ultimo rapporto Istat “Conciliazione tra lavoro e famiglia” (2024). I dati proposti da Openpolis collocano anche l’Italia tra i peggiori Paesi d’Europa per tasso di occupazione femminile post-maternità, con appena il 55,3% di donne occupate tra 20 e 49 anni con figli sotto i sei anni. Sono “1 su 5 le donne che fuoriescono dal mercato del lavoro a seguito della maternità nel nostro Paese”. Al Sud, “la percentuale di donne che lavora varia dal 42,1% di Catania al 47,4% di Trani e Siracusa”.

La causa principale di questa “fuga silenziosa” dal lavoro è economica. Nel 2025, secondo i dati Istat e Save the Children, il 42% delle donne che lasciano un impiego dopo la nascita di un figlio lo fa per l’impossibilità di sostenere i costi di cura. Tradotto: in molti casi lavorare non conviene più. Gli asili nido, in particolare, restano un lusso, con pochi posti disponibili per le strutture pubbliche e rette da capogiro negli asili privati. Come segnala il report di Altroconsumo, la retta media mensile per una famiglia con un Isee di 30 mila euro si aggira sui 500 euro a Milano e Torino, poco meno a Firenze. A Palermo si attesta su 323 euro, che arrivano a 375 senza la presentazione di Isee.

Spopolamento, denatalità e futuro del Mezzogiorno

Nel Sud Italia, e in Sicilia in particolare, il problema è strutturale. Dal rapporto Istat “I servizi educativi per l’infanzia in Italia” emerge che l’offerta dei servizi per la prima infanzia in Sicilia è tra le più basse d’Italia, con 17,8 posti ogni 100 bambini tra 0 e 2 anni. Anche attraverso questi numeri si spiega perché la Sicilia resta la regione italiana con il più basso tasso di occupazione femminile: appena 34,1% delle donne tra i 15 e i 64 anni risulta occupato, contro il 67% degli uomini. Numeri che secondo la Regione Sicilia (Report “L’economia in Sicilia nel contesto nazionale e internazionale”, 2025) non migliorano neppure nella classe di età 15-24 anni, dove il tasso di disoccupazione delle donne siciliane presenta valori più elevati rispetto a quello degli uomini siciliani (38,8% e 35,4% rispettivamente).

Asili nido assenti e carico di cura sulle madri

In molte aree della Sicilia, soprattutto nei Comuni montani e rurali, non esiste alcuna struttura pubblica per la prima infanzia. Ciò significa che decine di migliaia di bambini tra 0 e 3 anni cresce in territori dove non è possibile accedere a un asilo comunale. In questi contesti, il carico di cura ricade quasi interamente sulle madri, spesso senza alcuna retribuzione o riconoscimento sociale.

Spopolamento del Mezzogiorno e calo delle nascite

Dati che insieme possono spiegare le più recenti previsioni di andamento della popolazione rilasciate dall’Istat, per cui l’Italia dovrebbe perdere 4,5 milioni di abitanti al 2050. “A livello nazionale – scrive Svimez nel rapporto 2024 – peggiorerà progressivamente sia il saldo naturale (da -281mila nel 2023 a -446mila al 2050), sia quello migratorio (da 274mila a 166mila). L’Italia sarà un Paese con meno abitanti, meno giovane e meno attrattivo”.

Lo spopolamento e l’invecchiamento della popolazione interesseranno soprattutto il Mezzogiorno: “L’82% della perdita secca di popolazione nazionale interesserà infatti le regioni meridionali: 3,6 milioni. Alla forte riduzione della popolazione meridionale dovrebbe contribuire un continuo calo delle nascite, dalle 137mila del 2023 alle 101mila del 2050, per la forte contrazione prevista per le donne in età feconda”.

La she-cession: è “anche culturale”

La crisi della partecipazione femminile al lavoro in Sicilia non è un fenomeno nuovo, ma il Covid ne ha amplificato le fragilità, accentuando un modello sociale in cui la donna è ancora costretta a scegliere tra famiglia e occupazione. Questa la fotografia che emerge da una analisi empirica prodotta dall’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Catania.

Un nodo che, secondo il presidente Giovanni Greco, affonda le sue radici nel tessuto culturale e organizzativo del Mezzogiorno. “Il problema evidenziato dalla she-cession esiste – spiega – e riguarda soprattutto la conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, cioè la possibilità di gestire l’evento della maternità senza rinunciare alla propria attività o alla progressione di carriera. È un ostacolo reale, ancora oggi molto forte, dovuto anche a motivazioni di carattere culturale, soprattutto al Sud. Non possiamo nasconderlo: le barriere culturali resistono”.

Un elemento cruciale della she-cession è la fragilità del sistema dei servizi alla persona, che in Sicilia resta lacunoso e disomogeneo. “C’è anche un altro fenomeno – osserva il presidente dei Consulenti – quello della difficoltà delle famiglie nel trovare personale qualificato nel settore domestico e di cura per i genitori anziani. Questo comporta la necessità, per molte donne, di impegnarsi direttamente nelle attività di cura familiare”.

Il nodo di fondo resta quello di una transizione incompiuta. Le donne, anche quando formate e qualificate, faticano a trovare condizioni di lavoro flessibili e dignitose. “L’home working non può essere considerato la soluzione definitiva – chiarisce Greco – perché nei ruoli di più alto livello la presenza in azienda resta necessaria. Ma molto possono fare le imprese attraverso i sistemi di welfare aziendale: strumenti come il babysitting o gli asili nido aziendali. E questo vale non solo per le grandi imprese, ma anche per le piccole e medie, che in Sicilia rappresentano la maggior parte del tessuto produttivo. Molte realtà hanno capito l’importanza di questi strumenti e li hanno introdotti. Si sono rivelati salvifici per le famiglie e per le donne, perché permettono di conciliare nello stesso luogo lavoro e cura dei figli, soprattutto quando i bambini sono ancora piccoli. Se queste iniziative venissero sostenute anche da incentivi normativi o fiscali, potrebbero contribuire in modo decisivo a risolvere il problema”.

Gli asili nido e quella speranza affidata al Pnrr

“In Sicilia il lavoro riguarda sempre meno le donne”. Parola di Gabriella Messina, responsabile Pari opportunità della Cgil Sicilia, che sintetizza così il quadro di una crisi strutturale, aggravata da precarietà e bassi salari, soprattutto nell’Isola.

Un fenomeno, quello della she-cession, che conserva radici profonde e oggi rischia di consolidarsi, rendendo il lavoro una eterna corsa a ostacoli per migliaia di donne e madri. “C’è stata una crescita occupazionale femminile — spiega Messina — ma essa resta ben al di sotto sia della media nazionale che di quella maschile. In Sicilia, la percentuale di donne occupate è intorno al 35%”.

Precarietà, bassi salari e pensioni più basse

Il paradosso è però evidente, dal momento che “la popolazione attiva femminile è superiore a quella maschile e continua a essere più precaria e meno retribuita”. La precarietà si riflette lungo tutto l’arco della vita lavorativa, traducendosi poi in “una pensione inferiore rispetto agli uomini”.

Il problema, secondo Messina, non è solo quantitativo, ma anche sociale e culturale. “Quando una donna lascia il lavoro, lo fa quasi sempre per motivi legati alla cura: dei figli, di un genitore, di un familiare. È una condizione ancora fortemente connotata dal genere, perché sono le lavoratrici a prendersi in carico il lavoro di cura”.

Maternità e divari di genere: i dati Inps

Lo racconta anche l’ultimo rapporto Inps, che mette in evidenza le disparità: “Nel 2024 le lavoratrici madri che hanno abbandonato il posto di lavoro sono state 1.621; i padri 279”. E non solo, perché nell’ultimo rilevamento del 2023 “i congedi parentali sono stati fruiti da 10.154 donne e solo 6.000 uomini”.

Asili nido in Sicilia e fondi Pnrr

Soprattutto in Sicilia, il tema si lega anche alla presenza o meno di asili nido sul territorio: la copertura in questo caso risulta al 12% del fabbisogno, a fronte di una media europea del 35% e di un obiettivo europeo minimo fissato al 33%.

Il Governo sta provando a ridurre questo gap. Con il decreto per il nuovo Piano per gli asili nido del marzo 2024, sono stati stanziati circa venti milioni di euro per tutte le strutture presenti in Sicilia. Nella suddivisione, 7,2 milioni di euro sono andati a Palermo e 5,76 milioni rispettivamente per Catania e Messina. Questo finanziamento è parte del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che prevede un totale di 3,24 miliardi di euro per l’Italia per nuovi progetti di asili nido e scuole dell’infanzia. Ma la Sicilia è estremamente indietro con la progettazione.

Politiche di genere assenti e welfare debole

Per la Cgil Sicilia, la mancanza di una politica di genere coerente e trasversale è la radice del problema: “Nonostante i proclami – sottolinea Messina – non c’è una politica che metta davvero le donne al centro del mondo del lavoro. Abbiamo presentato da tempo un’Agenda di genere al governo regionale ma non siamo mai state convocate per una verifica di genere sull’utilizzo dei fondi del Pnrr”.

A fronte di un welfare traballante e di un elevato costo dei servizi, “se una donna guadagna poco e deve pagare una baby sitter a costi elevati, la scelta è una sola: lasciare il lavoro. Un problema che abbiamo già conosciuto nel corso della pandemia. Quando una famiglia deve scegliere, la prima a rinunciare al lavoro è sempre la donna”.

Indipendenza contro la violenza

Quanto il tema della parità di genere sul lavoro resti in Sicilia una frontiera ancora lontana, lo conferma al QdS anche Stefania Campo, vice presidente della III Commissione dell’Assemblea regionale siciliana, che tra i vari temi si occupa anche di industria, commercio e artigianato. A commento delle statistiche che vedono la Sicilia – e l’Italia in generale – relegata tra gli ultimi posti del lavoro al femminile, anche per la Campo, deputata del Movimento 5 Stelle, si tratta di “una questione culturale che ancora, in questa regione resta molto radicata. C’è ancora questa visione che debba essere la donna necessariamente a prendersi cura della famiglia o a rinunciare alle opportunità di lavoro. Questo in tutti i settori, nessuno escluso, compreso il mondo della politica. In I Commissione, che si occupa anche di Pari opportunità, i quattro membri presenti sono tutti uomini. Questo già è un dato significativo”.

Cultura e politica: i due livelli di intervento

Da qui la necessità, secondo Campo, di agire su due livelli: quello culturale e quello politico. “Bisogna operare a livello culturale, potenziare l’educazione nelle scuole e dare il buon esempio. Già questa Assemblea fatica a riconoscere il 40% di presenze femminili in giunta, quando nel resto d’Italia la media è molto più alta. In Sicilia siamo appena al 20%”.

Le proposte per la parità lavorativa

Campo ha voluto evidenziare il lavoro fatto in Aula e le iniziative ancora in attesa di attuazione: “Abbiamo avanzato diverse proposte in tutti i settori di competenza per raggiungere una parità lavorativa. Abbiamo chiesto parità salariale, parità nelle professioni sportive e l’utilizzo di risorse economiche per favorire l’impiego femminile, solo per citarne alcune”.

Autonomia economica e contrasto alla violenza di genere

Tra le iniziative del Governo regionale, visto che spesso la mancata indipendenza economica rischia di sfociare in fenomeni legati alla violenza di genere, occorre segnalare gli 1,4 milioni di euro per promuovere l’autonomia delle donne vittime di violenza attraverso interventi di sostegno abitativo, reinserimento lavorativo, servizi per l’accompagnamento nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza e iniziative volte anche all’informazione scolastica.

Centri antiviolenza e progetti nelle scuole

L’assessorato regionale della Famiglia e delle Politiche sociali ha pubblicato nei mesi scorsi un avviso per la concessione di contributi ai centri antiviolenza e alle strutture di accoglienza a indirizzo segreto per il finanziamento di progetti volti a realizzare piani personalizzati e per iniziative da realizzare negli istituti scolastici sulla violenza di genere e sulla parità dei diritti e delle opportunità.