Inchiesta

Cop28, il falso addio ai combustibili fossili. La CO2? Ora deve diventare una risorsa

Forse non è proprio positivo il bilancio del contenuto nel “Global stocktake”. Il documento che, ogni cinque anni, fa il punto su ciò che è stato fatto per rispettare l’Accordo di Parigi e indica cosa occorre fare in futuro per allinearsi al piano d’azione per limitare il riscaldamento globale ratificato nel 2015 sembra indicare una via intermedia. Nei giorni scorsi la Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite si è scontrata nella scelta tra due possibilità: l’uscita dall’utilizzo delle fonti fossili, la c.d. “phase out” o la diminuzione del loro utilizzo, ossia la “phase down”. La stesura del documento, particolarmente sofferta, aveva fatto irrigidire molti dei delegati dei Paesi partecipanti perché evitava inviti decisivi ad agire per contenere il riscaldamento globale.

La “transition away” per le fonti fossili

Alla fine, in quella che è stata la terza bozza elaborata, i rappresentanti delle circa 200 nazioni presenti alla Cop28 ha messo d’accordo tutti trovando una nuova espressione. Un compromesso, quindi, che si traduce in due parole, la c.d. “transition away” definendo un processo di transizione che porterà il mondo ad abbandonare, gradualmente, carbone, petrolio e gas. La scelta di utilizzare la parola “transizione”, ovviamente, può essere interpretata in vario modo ma non impone con fermezza un “addio” al fossile, ma può essere interpretata come qualcosa in più di una “diminuzione”. Risulta evidente che, però, tutto dipenderà dalla velocità e dalla serietà di tale processo di transizione. La transizione prevista dal documento conclusivo dovrebbe avvenire in modo da portare il mondo a zero emissioni nette di gas serra nel 2050 e, per raggiungere la soglia concordata, si prevede che il mondo raggiunga il picco massimo di emissioni di carbonio entro il 2025, anche se è previsto un margine di manovra a singoli Paesi, come la Cina, per raggiungere il picco più tardi.

L’approvazione è avvenuta subito dopo l’apertura della plenaria ed è stata accolta con un applauso. Soddisfatto Sultan Al Jaber, il presidente della Cop28, che, aprendo la sessione plenaria dei delegati, ha affermato “Ora abbiamo le basi per la trasformazione” e che sia stato raggiunto un obiettivo “frutto della collaborazione di tutti e che coinvolge tutti” e che “per la prima volta – nella storia delle Cop – in assoluto abbiamo scritto combustibili fossili nel testo (in realtà solo due volte, ndr)” e ha aggiunto che “siamo ciò che facciamo, non quello che diciamo, quindi sono importanti le azioni che metteremo in campo”.

Intanto, per il 5° mese di fila, la temperatura media del Pianeta, secondo i dati elaborati da Copernicus, ha superato la soglia degli 1,5 gradi. Nel mese di novembre, il riscaldamento globale ha raggiunto quota +1,75°C rispetto al periodo pre-industriale, cioè la media dei mesi di novembre tra 1850 e 1900 e ha avvicinato il 2023 pericolosamente verso quel tetto “non superabile” degli 1,5°C.

Tra le azioni da intraprendere indicate dal “Global stocktake” è confermata la richiesta di “triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare la media globale del tasso annuo di efficienza energetica entro il 2030” ma anche di accelerare gli sforzi verso la riduzione graduale dell’energia prodotta dal carbone senza tecnologia di cattura e stoccaggio, il c.d. “unabated”. È richiesto, inoltre, di “accelerare gli sforzi a livello globale verso sistemi energetici a zero emissioni nette, utilizzare combustibili a zero e a basso contenuto di carbonio ben prima o intorno alla metà del secolo” e di “accelerare le tecnologie a zero e a basse emissioni, tra cui, tra l’altro, energie rinnovabili, nucleare, tecnologie di abbattimento e rimozione” delle emissioni di Co2 “come la cattura, lo stoccaggio e l’utilizzo del carbonio e la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio”.

Il documento approvato propone anche di ridurre in maniera sostanziale le emissioni a livello globale anche di metano entro il 2030 ma anche quelle derivanti dal trasporto stradale anche attraverso lo sviluppo delle infrastrutture e la rapida diffusione di veicoli a zero e a basse emissioni. Altro aspetto importante che compare nel “Global stocktake” è la richiesta di eliminare “nel più breve tempo possibile sussidi inefficienti ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o la transizione giusta, nel più breve tempo possibile”.

L’articolo 28 del documento, quello sulle fonti fossili, è stato quello su cui si è concentrata la maggiore attenzione, perché si parla di transizione in uscita dalle fonti fossili nei sistemi energetici, in un modo ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, per raggiungere le emissioni zero nel 2050 seguendo la scienza. Alla ricerca di un compromesso tra esigenze divergenti, l’uso delle parole ha giocato un ruolo importante. Utilizzare la parola “transizione” e non “riduzione” a proposito della produzione e consumo di fonti fossili ha creato il giusto compromesso per cercare di coinvolgere anche i paesi esportatori di petrolio, capeggiati dall’Arabia Saudita, dai quali nei giorni scorsi era arrivata una forte opposizione.

Non sono mancate, ovviamente, le reazioni a livello internazionale, contraddittorie quanto il documento approvato. “Questo documento manda un messaggio molto forte al mondo” ha detto John Kerry, inviato speciale Usa per il clima mentre Jean Su, direttrice del Center for Biological Diversity per la giustizia energetica ha dichiarato ad Associated Press “Avevamo bisogno di un segnale globale per affrontare i combustibili fossili. Questa è la prima volta in 28 anni che i Paesi sono costretti a occuparsi dei combustibili fossili. È quindi una vittoria generale” anche se “i dettagli effettivi sono gravemente lacunosi” perché “il problema del testo è che include ancora cavernose scappatoie che permettono agli Stati Uniti e ad altri Paesi produttori di combustibili fossili di continuare a espandere i loro combustibili fossili” soprattutto a causa di “una falla micidiale e fatale nel testo, che permette di continuare a utilizzare i combustibili di transizione”, una parola in codice per il gas naturale, che emette anche carbonio.

Di vie di fuga parla anche Teresa Anderson, responsabile globale per il clima di Action Aid che spiega che “il testo presenta molte scappatoie e offre diversi regali agli ecologisti, menzionando la cattura e lo stoccaggio del carbonio, i cosiddetti combustibili di transizione, l’energia nucleare e i mercati del carbonio” ma “complessivamente traccia una strada irta di ostacoli verso un futuro senza fossili”.

Di diverso avviso la direttrice del Programma climatico globale del World Resources Institute, Melanie Robinson, che ha elogiato il piano, affermando che “questo sposterà drasticamente l’ago della bilancia nella lotta contro il cambiamento climatico e supererà le immense pressioni degli interessi del petrolio e del gas”. La terza vicepresidente del Governo e ministra per la Transizione ecologica e la sfida demografica spagnola, Teresa Ribera, ha espresso la sua soddisfazione per l’accordo raggiunto alla COP28 con un tweet su X: “Fatto! L’accordo dimostra che Parigi rispetta e che possiamo andare oltre! Il mondo intero ha sostenuto i nostri obiettivi per il 2030: triplicare le energie rinnovabili e raddoppiare l’efficienza energetica, entrambi entro il 2030. L’accordo di oggi segna l’inizio dell’era postfossile”.

Tra i partecipanti alla Cop28 anche l’alleanza delle piccole isole Aosis che riconosce come “da un punto di vista procedurale, il testo rivisto del Global Stocktake rappresenti un miglioramento e riflette una serie di osservazioni presentate dai piccoli stati insulari in via di sviluppo” ma puntualizza che la finestra mondiale per mantenere in vita l’obiettivo di restare sotto gli 1,5 gradi si sta chiudendo e ritiene “che il testo non fornisca l’equilibrio necessario per rafforzare l’azione globale per correggere la rotta del cambiamento climatico”.

Reazioni all’accordo raggiunto sono arrivate anche dal Governo italiano ma non possiamo non notare che, a fronte delle dichiarazioni che riportiamo, non corrispondano progettualità e scelte a livello nazionali adeguate a raggiungere gli obiettivi sia precedenti alle Cop28 sia quelli derivanti dal piano approvato. “L’intesa raggiunta a Dubai – ha commentato il Ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto – tiene conto di tutti gli aspetti più rilevanti dell’accordo di Parigi e delle istanze, profondamente diverse tra loro, dei vari Stati, che tuttavia riconoscono un terreno e un obiettivo comune, con la guida della scienza. Per questo, riteniamo il compromesso raggiunto come bilanciato e accettabile per questa fase storica, caratterizzata da forti tensioni internazionali che pesano sul processo di transizione. L’Italia, nella cornice dell’impegno europeo, è stata impegnata e determinata fino all’ultimo per il miglior risultato possibile”.

“Sulle fonti fossili – spiega il ministro – abbiamo cercato un punto di caduta più ambizioso, ma nell’intesa c’è un chiaro messaggio di accelerazione verso il loro progressivo abbandono, riconoscendone il ruolo transitorio: abbiamo per la prima volta un linguaggio comune sulla fuoruscita dai combustibili fossili, per le emissioni zero nette al 2050. L’accordo raggiunto sancisce la necessità di profonde e rapide riduzioni delle emissioni di gas serra, in un quadro di contestuale forte affermazione delle rinnovabili” e puntualizza che “tra i tanti risultati apprezzabili vi è il riconoscimento di un ruolo chiave per il nucleare e l’idrogeno” e pone l’accento della “particolare importanza anche l’evidenza che si è data alla necessità di ridurre le emissioni nei trasporti, con veicoli a zero e basse emissioni, nei quali rientrano anche i biocarburanti, grazie alla riconosciuta mediazione italiana nel coordinamento europeo”.

“Il testo sul Global Stocktake approvato alla Cop28 – ha dichiarato il co-portavoce di Europa Verde e deputato di AVS Angelo Bonelli – è cambiato da quello proposto dal presidente, petroliere, AlJaber e traccia la via per l’uscita dalle fonti fossili, per la prima volta da quando si riunisce. L’Italia, imbarazzante, ha perso un’occasione d’oro, perché non era presente al voto: il ministro Pichetto Fratin è partito 2 giorni fa, invece di fare come la ministra spagnola per la transizione ecologica Teresa Ribeira, che ha lottato fino in fondo perché il testo iniziale, voluto dal sultano petroliere, venisse cambiato in meglio, ed ha vinto. Invece Pichetto Fratin e Meloni hanno isolato l’Italia anche alla COP28, con le loro posizioni troppo comprensive delle ragioni del petrolio, ovvero di sauditi e russi”.

Intervista al direttore scientifico di Kyoto Club

Gianni Silvestrini: “Spaccato il fronte internazionale dei Paesi ostili”

Gianni Silvestrini è il direttore scientifico di Kyoto Club, un’organizzazione non profit, nata nel febbraio del 1999 e costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra assunti con il Protocollo di Kyoto, con l’Accordo di Parigi e con il Green Deal europeo. Ricercatore, Sivestrini può essere definito un pioniere anche perché ha cominciato a occuparsi di energie rinnovabili scrivendo la sua tesi di laurea nel 1975. Interviene al QdS per commentare quanto avvenuto alla Cop28 e per fare il punto della situazione italiana.

Cominciamo dalla Cop28. Sembra che l’attesa “phase out fossil fuels”, ossia l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, abbia subito una leggera frenata…
“Sicuramente i paesi produttori di petrolio sono molto aggressivi ma, in realtà, si sono registrati segnali interessanti”.

Ossia?
“Il fatto che siano a favore dall’uscita del fossile non solo l’Europa, che ha sostanzialmente confermato la sua posizione, ma anche gli Stati Uniti e la Cina, che ha dimostrato di essere interessata a questa posizione. Questo, di fatto, spacca il fronte internazionale e i paesi ‘ostili’, oggi, risultano essere Arabia Saudita, Iran, Iraq e Russia”.

Come potremmo definire la posizione dell’Italia alla Cop28?
“Molto debole. Non avevamo rappresentanti efficaci come ad esempio altri paesi. Ricordiamo che hanno partecipato la ministra spagnola per la transizione ecologica Teresa Ribera, o la ministra dell’Ambiente cilena Maisa Rojas o Jennifer Morgan, da trent’anni la voce e memoria storica delle Cop, oggi inviata speciale per il clima della Germania. Ritengo che il nostro ministro, oltre all’handicap di non conoscere le lingue, ha posizioni di retro guardia, come ad esempio sull’argomento della fuoriuscita dal mercato del fossile relativo all’automotive per il quale moltissimi paesi europei hanno una quota di vendite di auto elettriche del 20-25% mentre quella italiana si ferma al 4% e in questo caso specifico stiamo veramente perdendo una grande occasione”.

Può essere importante avere singoli paesi virtuosi in una situazione di crisi globale?
“In realtà la situazione sta cambiando. La scelta di Stati Uniti di assumere una politica più incisiva e quella della Cina, leader mondiale dell’installazione di fotovoltaico e della vendita di auto elettriche, che ha capito che la transizione green è il futuro, come già dicevo, mette in minoranza il blocco dei paesi petroliferi che non vogliono uscire dalla logica dell’utilizzo del fossile. La stessa Colombia ha deciso di condividere le scelte europee. Senza dubbio siamo in salita e gli equilibri sono sicuramente delicati”.

Ma il Governo italiano sta tenendo il “passo” che serve?
“L’ultimo piano, quello inviato a Bruxelles a giugno, è sicuramente meglio del precedente visto che prevede di raggiungere l’obiettivo del 75% al 2030. Tenga conto che oggi siamo intorno al 38% e questo significa ‘fare una volata’ nei prossimi anni. Quest’anno arriveremo 4500/5000 MW e questo significa che nei prossimi anni dovremo aggiungere a 10/12000 MW all’anno. Le premesse ci sono”.

A proposito delle imprese. Sicuramente si tratta di una scommessa, anche economica, importante. Riusciranno, loro, a ‘tenere il passo’?
“La gran parte delle aziende che lavorano nel campo del fotovoltaico già oggi sono dedicate a questo. Enel investe oramai nel fotovoltaico da 7/8 anni, l’Eni sta sviluppando sempre più la sua mission e gli altri operatori delle rinnovabili sono oramai ‘dedicate’. Tra l’altro i costi realizzativi, negli ultimi anni, si sono abbassati e quindi lo sviluppo non è più legato agli incentivi ma alle autorizzazioni, il cui iter speriamo diventi sempre più fluido e rapido, e a una rigidità delle sovraintendenze che oppongono limiti paesaggistici, cosa che ci auguriamo possa cambiare”.

Ecco le sei emergenze climatiche che attanagliano l’area del Mediterraneo e la Sicilia in particolare

Il mare ci inghiottirà

Il cambiamento climatico di origine antropica ha contribuito ad aumentare il livello medio dei nostri mari di oltre 25 centimetri negli ultimi 130 anni. Ma cosa accadrà nei prossimi anni al Mediterraneo? Secondo una ricerca dell’Enea, “se non riusciremo a invertire l’attuale crescita della temperatura globale, a fine secolo, tra 80 anni, il livello del mare sarà più alto di circa 60 centimetri rispetto ad oggi. Si tratta di valori da non sottovalutare. Pochi centimetri di innalzamento determinano l’allagamento di parecchi chilometri quadrati delle nostre coste”.

Negli ultimi decenni l’innalzamento del mare non è stato omogeneo nel Mediterraneo: dai dati del periodo 1993–2017, l’aumento osservato varia da un minimo di 1,95 mm/anno nello Ionio a un massimo di 3,73 mm/anno nell’Egeo. E intanto avanza l’erosione costiera. Sulla base del bilancio globale tra il 1960 e il 2012, risulta che la costa italiana ha subito, lungo tratti per complessivi 1534 km (23%), un arretramento quantificabile in 92 kmq. La Sicilia, nel periodo 1960-2012, ha subito un arretramento pari a 13,4 Kmq e, nei tratti costieri, un arretramento pari a 365,9 km.

Un’Isola desertica

È atteso un aumento dei rischi legati alla siccità e a livello globale, in conseguenza dell’aumento combinato degli eventi meteoclimatici estremi e della popolazione esposta. In relazione a periodi prolungati di siccità, emerge il rischio di una condizione irreversibile di aridità, connesso soprattutto ai livelli più elevati di riscaldamento globale. Ad esempio in Europa, questa condizione di aridità colpirebbe una porzione crescente di popolazione: con riscaldamento di 3°C sopra i livelli preindustriali, si stima che 170 milioni di persone saranno colpite da siccità estrema.

La Sicilia desertica non è un rischio: senza interventi urgenti e immediati, è una certezza. Basti pensare che le previsioni al 2050 parlano di una progressiva diminuzione delle precipitazioni nelle regioni del centro e del Sud. Stando ai calcoli di Arpa Sicilia, il rischio desertificazione riguarda il 70% del territorio siciliano, il quale rischia di risvegliarsi in un futuro tutt’altro che remoto con sempre meno aree coltivalibili e sempre più zone a rischio idrogelogico.

Record eventi estremi

Legambiente, nei giorni scorsi, ha diffuso i dati del “Rapporto Città Clima 2023” relativi alle alluvioni. “I numeri parlano da soli – scrive l’associazione del Cigno – : negli ultimi 14 anni, dal 2010 al 31 ottobre 2023, sono stati registrati ben 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane sempre dovute a piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi totali registrati. In questi 14 anni, le regioni più colpite per allagamenti da piogge intense sono state: la Sicilia,con 86 casi, seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (entrambe 49 eventi), Toscana (48)”.

Come scrive Legambiente a pesare in questi anni in Italia è stata soprattutto l’assenza di una governance con una visione più ampia capace di tener insieme conoscenza, pianificazione e controllo del territorio. Ancora una volta manca una strategia complessiva e, particolare, l’Italia ancora non si è dotata né del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici né ha trovato linee di finanziamento per attuarlo.

Fuoco e fiamme

Secondo i dati dell’European forest fire information system (Effis), durante l’estate in Sicilia sono andati in fumo oltre 60 mila ettari, uno dei dati peggiori degli ultimi anni e che si ferma alla fine di luglio: non tiene conto infatti degli ulteriori roghi divampati nell’Isola tra settembre e ottobre. Soltanto nel comune di Palermo sono bruciati 4.314 ettari, il dato più alto da quando sono iniziati i rilevamenti, cioè dal 2008: quasi il 3 per cento del territorio comunale. In provincia di Palermo sono morte cinque persone e le fiamme hanno ucciso animali, distrutto fienili, stalle, case, auto, linee elettriche e telefoniche oltre a boschi, prati e campi coltivati. Seppure è noto che la matrice degli incendi è quasi sempre di origine dolosa, è anche vero che le temperature sempre più anomale aiutano questi azioni criminose.
E che richiedono di ingenti fondi per farvi fronte. La campagna antincendio 2022 è costata alla Regione 72,9 milioni di euro, mentre per il 2023 si stima una spesa leggermente superiore pari a poco più di 73 milioni (il dato definitivo lo sapremo più avanti). è quanto si legge nel Piano Antincendio boschivo 2023-2025.

La biodiversità muore

C’era una volta in Sicilia un fondale marino ricco di biodiversità, con una flora rigogliosa e una fauna abbondante anche negli specchi d’acqua antistanti grandi città come Catania e Siracusa. Oggi, rispetto a cinquant’anni fa, fare un tuffo nel mare siciliano – eccezion fatta per le aree marine protette e per alcune zone miracolosamente ancora salve da inquinamento e pesca selvaggia – significa trovarsi spesso di fronte a uno scenario di inquietante desolazione.

Secondo l’Ispra nel nostro Paese sono in stato di conservazione sfavorevole il 54% della flora e il 53% della fauna terrestre, il 22% delle specie marine e l’89% degli habitat terrestri. Ma i cambiamenti climatici e il connesso innalzamento delle temperature delle acque marine comportano un ulteriore pericolo: l’invasione biologica di specie vegetali e animali definite comunemente “aliene” in quanto provenienti da altri mari che minacciano seriamente la sopravvivenza delle nostre specie indigene e possono arrecare non poche modificazioni all’equilibrio del biota marino siciliano. Ad oggi circa 1.000 specie di pesci invasivi sono migrate nel Mediterraneo, ovvero una ogni due settimane negli ultimi dieci anni.

Un caldo soffocante

Dal 1960 al 2020 le temperature medie annue solamente a Catania e Palermo sono aumentate di 2,52°. Ben oltre l’aumento di 1,5° che segna il limite massimo da non raggiungere entro il 2030. Dai dati del Copernicus Climate Change Service emerge che nei primi nove mesi di quest’anno le temperature medie globali hanno superato il limite di 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali per circa 86 giorni. La prima volta che le temperature medie globali hanno sforato questa soglia è successo per pochi giorni nel dicembre 2015, proprio mentre i Paesi dell’Onu stavano firmando l’accordo di Parigi sul clima. I leader politici riuniti a Parigi nel dicembre 2015 si sono impegnati a mantenere l’aumento delle temperature globali in questo secolo “ben al di sotto” dei 2°C e a fare ogni sforzo per non superare la soglia di 1,5°C. Da allora il limite di 1,5°C è stato ripetutamente superato.

Il mese di luglio 2023 in Sicilia è stato il più caldo mai registrato. A certificarlo arrivano anche i dati del Sias, il Servizio informativo agrometeorologico della Regione. In media sono 4,9 i giorni consecutivi in cui le temperature sono arrivate a superare i 40 gradi.