Coronavirus, Alessandro Cappellani “Noi medici siamo tutti al fronte, in prima linea” - QdS

Coronavirus, Alessandro Cappellani “Noi medici siamo tutti al fronte, in prima linea”

Desiree Miranda

Coronavirus, Alessandro Cappellani “Noi medici siamo tutti al fronte, in prima linea”

giovedì 19 Marzo 2020

Intervista al medico e direttore del Dipartimento di chirurgia dell’Università di Catania

CATANIA – Cosa significa essere un medico in questo particolare periodo storico? Come è cambiata l’ordinarietà nei reparti e come può evolvere la situazione? Aiuterà l’abilitazione in medicina al momento della laurea? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Cappellani, medico-chirurgo al Policlinico di Catania e direttore del dipartimento di chirurgia dell’Unict.

Sono momenti difficili. Cosa significa essere in prima linea nella lotta contro la pandemia in atto?
“Siamo tutti al fronte, in prima linea, Naturalmente non come i colleghi del Nord che in questo momento sono davvero in una situazione drammatica e per questo il nostro pensiero va a loro. Noi ci troviamo in una situazione ancora abbastanza interlocutoria. Abbiamo molti casi sospetti e casi con polmoniti di varia natura ricoverati in reparto, quindi tutti noi dobbiamo essere pronti ad affrontare nemici invisibili. Devo dire che noi chirurghi siamo abbastanza abituati. Oggi si parla di coronavirus, ma nel nostro ospedale abbiamo avuto l’H1n1 con diversi decessi e moltissimi casi di polmonite e di infezioni con germi resistenti agli antibiotici come la Clebsi, la Pneumonio e la pseudomonas aeruginosa quindi sappiamo tutti benissimo che le infezioni, sa virali che batteriche, sono il vero grande problema del nostro secolo. D’altra parte questo è il nostro lavoro e non possiamo e non vogliamo sottrarci”.

Si dice che tra i medici possano esserci molti positivi asintomatici. Ha paura? Come sta affrontando la situazione? E la sua famiglia come reagisce?
“Certamente tutti noi abbiamo paura, solo l’incosciente non ce l’ha. Il problema è riuscire a razionalizzarla e fare il proprio dovere, quello per cui siamo stati addestrati e per il quale siamo pagati. In famiglia? Io ho una moglie farmacista, anche lei è al fronte, ci consoliamo a vicenda”.

Lei è un medico chirurgo, è cambiato il suo lavoro quotidiano considerando anche che le operazioni non urgenti sono state sospese?
“Certo, non facciamo più la chirurgia ordinaria e abbiamo lasciato la chirurgia robotica. È cambiata tutta la nostra strategia. Ci stiamo attenendo alle regole governative e quindi dedicandoci ai tanti casi di chirurgia d’urgenza che arrivano dal pronto soccorso, ma ci sono anche dei momenti di fermo. Eseguiamo soltanto quegli interventi che rischiano di finire in terapia intensiva perché potremmo rischiare di sottrarre posti a pazienti che dovrebbero essere intubati per infezioni polmonari da coronavirus. Io sono anche un professore universitario e il direttore di un dipartimento quindi sto contestualmente seguendo tutta l’attività universitaria. Proprio ieri (martedì ndr) ho fatto tre ore di lezione di clinica chirurgica. Stiamo organizzando il lavoro per consentire gli esami e le sedute di laurea. Il tutto in un clima grigio di un ospedale tetro dove nessuno sorride più, se non leggendo qualche messaggio buffo che arriva con il telefonino”.

Tutto il personale medico sta lavorando molto, al limite delle forze, vi sentite tutelati dallo Stato?
“Mentre sono in reparto guardo l’espressione dei nostri infermieri che sono in primissima linea. Hanno gli sguardi tristi ma anche la speranza che qualcosa cambi subito. Certamente siamo in grandi difficoltà. Mancano le mascherine come alcuni presidi, ma non è colpa di nessuno. Purtroppo siamo stati improvvisamente travolti da un destino così strano che dare la colpa allo Stato sarebbe troppo facile. È una tragedia che dobbiamo vivere con grande senso di responsabilità. Ognuno di noi deve cercare di fare il proprio lavoro con serietà e molta calma. Scaricare le responsabilità sugli altri è ridicolo. Certo, forse si sarebbe potuto pensare di arginare meglio l’esodo di chi è venuto dal Nord, ma è un problema che non mi compete”.

Cosa ne pensa della laurea in medicina abilitante?
“In realtà laurea abilitante significa temporizzare il tirocinio abilitante prima della laurea. Significa che al sesto anno gli studenti devono, allo stesso tempo, studiare le ultime materie e frequentare i reparti per potere fare un tirocinio adeguato. L’esame di Stato lo avrebbero fatto successivamente. Adesso però è ovviamente tutto bloccato. Come possiamo pensare a fare i tirocini. I ragazzi sono tutti a casa e lì devono stare. Il messaggio che do a tutti è: noi siamo al fronte e stiamo lavorando, ma voi state a casa perché altrimenti andremo in tilt e la sanità non potrà più aiutarvi. Non sottovalutate il problema e non siate negazionisti perché se no fareste un errore madornale. Seguite le indicazioni governative”.

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