Lo afferma in un'intervista al QdS l’infettivologo Antonio Cascio: “Non è mutato il virus ma il nostro modo di rapportarci a esso”. “Ho qualche critica sulla gestione delle degenze che hanno portato a convertire molti reparti in reparti covid”
PALERMO – L’infettivologo e docente Antonio Cascio, ordinario di Malattie Infettive e Tropicali, Direttore dell’Unità Malattie Infettive e Tropicali del Policlinico di Palermo, ha commentato insieme al QdS le misure adottate dall’ultimo Dpcm e quelle, per certi versi ancor più restrittive, stabilite a livello regionale in base all’ordinanza di Musumeci.
Professore, cosa pensa delle nuove misure adottate nell’ultimo Dpcm e dell’ordinanza del governatore Nello Musumeci?
“È giusto porre la massima attenzione ed attuare le misure necessarie per contrastare l’aumento esponenziale della curva dei contagi ma trovo incongruenti alcuni aspetti contenuti negli ultimi provvedimenti. Parlo della didattica a distanza, dalla quale avrei escluso i primi anni delle scuole superiori per dare la possibilità ai nuovi studenti di potersi meglio inserire. O ancora dell’orario di chiusura dei centri commerciali, che io avrei allungato per permettere un flusso e un deflusso più ordinato”.
La seconda ondata era prevedibile ma perché oggi ci ritroviamo davanti ad un lockdown, sebbene più soft rispetto al primo?
“La seconda ondata era più che prevedibile, lo abbiamo sempre detto, perché è un virus nuovo e non abbiamo anticorpi e perché, con il ritorno alla quotidianità autunnale, certe aggregazioni sarebbero state inevitabili. Purtroppo, durante l’estate abbiamo abbassato la guardia. Il problema non era la frequentazione della spiaggia in sé ma la vita notturna e gli assembramenti fuori controllo”.
Alcuni suoi colleghi hanno però detto agli inizi dell’estate, supportati anche dai numeri, che il virus era meno aggressivo e che si stava mutando.
“Senza critica alcuna ai miei illustri colleghi, dal mio punto di vista, in qualità di infettivologo, posso dire che, se è vero che tutti gli organismi viventi replicandosi possono mutare, il Covid muta di meno. Ad oggi, non ci sono stati mutamenti importanti e rilevanti ma a fare la differenza è stato il distanziamento sociale e l’uso delle mascherine. Il virus insomma non è cambiato, non è diventato meno aggressivo ma è cambiato il nostro atteggiamento nel rapportarci al virus”.
Secondo gli ultimi dati, il quadro epidemiologico attuale pone la Sicilia a rischio medio-alto. Nella scorsa settimana, nell’Isola si sono registrati 92,69 nuovi positivi ogni 100mila abitanti, a fronte di un valore medio nazionale pari a 185,15. Il tasso di letalità della Sicilia è pari a 2,5. La media nazionale è di 7,1, Per quanto riguarda i ricoverati, nell’Isola sono il 7 per cento degli attuali positivi. Il valore medio nazionale è pari al 5,9 per cento. Più elevata rispetto al resto d’Italia è anche la percentuale dei pazienti che si trovano in terapia intensiva: sono lo 0,90 per cento degli attuali positivi. Secondo lei, a livello politico-sanitario, cosa si sarebbe potuto fare di più?
“Sicuramente la Sicilia è in una situazione meno grave rispetto ad altre regioni come la Lombardia, la Campania, ma dobbiamo ricordarci di non abbassare la guardia. Si è fatto il possibile e ci sono state buone intenzioni ma ho registrato un abbassamento nell’interesse a portare a termine alcune cose perché si sperava che l’epidemia sarebbe andata via. Posso dire che è stato fatto molto per implementare i posti letto in terapia intensiva ottenendo buoni risultati. Ho qualche critica sulla gestione delle degenze che hanno portato a convertire molti reparti in reparti Covid, con la conseguenza di lasciare la gestione dei pazienti Covid ai colleghi specialisti in altri settori diversi dalla virologia, pneumologia, infettivologia. Personalmente, avrei prestato molta attenzione ai reparti di infettivologia e assegnato la gestione delle degenze a team di virologi, pneumologi e infettivologi. Nel rispetto delle recenti direttive ministeriali, quando ci sono le condizioni, riduciamo i tempi di degenza e firmiamo le dimissioni con l’esito positivo di un solo tampone e non due come fino a qualche tempo fa. Questo ci consente una gestione più ottimale delle degenze.
Sul fronte delle cure, siamo passati dall’uso dell’idrossiclorochina al Remdesivir, alle cure più sperimentali (Regeneron). Che passi in avanti si sono fatti e quali sono i trattamenti al Covid-19 più utilizzati in Sicilia e quelli più efficaci?
“Inizialmente, anche noi al Policlinico abbiamo utilizzato l’idrossiclorochina e alcuni farmaci antiretrovirali ma l’interesse è scemato per entrambi con la pubblicazione di alcuni studi che ne limitavano l’efficacia. C’è stata molta speranza nell’antivirale Remdesivir, anche qui scemata nel tempo. Attualmente, utilizziamo l’eparina che è un anticoagulante, il desametasone (un farmaco corticosteroide) quando c’è un impegno polmonare importante, gli antibiotici se il quadro polmonare è complicato da infezioni batteriche. Preciso pero che se non ci sono queste ultime condizioni non è bene usare gli antibiotici . Utilizziamo anche il Tocilizumab e Regeneron, gli anticorpi monoclonali utilizzati in via sperimentale ma sui quali c’è molta speranza”.
Oggi cambia il profilo delle persone che si ammalano di Covid?
“No, i fattori che incidono sulla gravità, come del resto si verifica in una polmonite, rimangono gli stessi: l’età, la comorbidità ovvero la coesistenza di più patologie come l’obesità, il diabete, il fumo attivo. Da tenere in considerazione è anche il fattore genetico che, in alcuni casi, potrebbe incidere sulla criticità e letalità dei pazienti”.
Quali sono i danni permanenti per chi si ammala di Covid-19?
“Tanto più grave è il quadro della polmonite quanto più alta è la probabilità di formare delle cicatrici polmonari (reliquati cicatriziali) che non consentono la piena funzionalità dell’ apparato polmonare e provocano delle alterazioni. Non abbiamo dati certi sulla durata di questi danni ma sappiamo di sicuro che alcuni pazienti Covid manifestano per oltre un mese una significativa astenia”.
Il vaccino sarà la speranza definitiva alla fine della pandemia?
“Sicuramente, si, sono fiducioso, meno sulla tempistica”.