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Coronavirus e teatro, il regista Macaluso racconta l’emergenza

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Coronavirus e teatro, il regista Macaluso racconta l’emergenza

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giovedì 07 Gennaio 2021

Il Teatro Zeta di Termini Imerese, fondato dall'attore, regista e drammaturgo Piero Macaluso, è uno dei tanti teatri fortemente penalizzati dalla pandemia. Il nuovo cartellone si chiamerà "La stagione perduta"

Il Teatro Zeta, fondato
dall’attore, regista e drammaturgo Piero Macaluso, è uno dei tanti
teatri fortemente penalizzati dalla pandemia. Dopo la chiusura al pubblico a
fine febbraio e per l’intera seconda parte di stagione, nonostante le
difficoltà ha riaperto, seguendo le norme di prevenzione anticovid, con due
spettacoli ad ottobre e novembre, “La Patente” di Pirandello e
“Riccardino III”, una drammaturgia di Macaluso tratta da Shakespeare
e dall’ispirazione della lettura della versione di Carmelo Bene.

Piero Macaluso

Ci troviamo nella ex chiesa di
Santa Lucia
, a Termini Imerese, edificio adibito a spazio teatrale. Alla
domanda “come ne uscirà il teatro da questa pandemia”, il fondatore
del Teatro Zeta risponde che questo è un tempo sospeso: «Nemmeno durante le
guerre mondiali lo spettacolo dal vivo aveva subito un tale fermo, ed è tutto
ancora da capire perché nuovo».

Macaluso, che propone di chiamare il nuovo
cartellone
“La stagione perduta”, ripartirà dalla poesia. In
queste settimane sta preparando “Thumos”, un lavoro di musica e
poesia, con alcuni suoi scritti inediti. «È ormai riconosciuto da tutti che il
settore più colpito è quello dello spettacolo dal vivo – commenta il
drammaturgo – In Italia, per ragioni storiche, il teatro ha avuto uno sviluppo
diverso rispetto agli altri paesi Europei, ma questo non le ha impedito di
avere grandi artisti e maestri nel campo della creazione scenica e attoriale e
in passato una stagione di teatro d’avanguardia che ha lasciato importanti
segni dei cui frutti ancora oggi si avvale la scena contemporanea».

Purtroppo, secondo Macaluso, a questo
non si è affiancato, da parte dei legislatori, un’apertura mentale tale da
riconoscere la diversità e l’eterogeneità del settore e il suo ruolo
fondamentale e strategico in una società che vuole chiamarsi civile e
socialmente matura. «Per questo motivo – aggiunge – ho la sensazione che gli aiuti
economici, in questo momento storico giusti e doverosi, siano serviti più a
mantenere in vita un settore in perenne difficoltà, a coprire buchi di bilancio
di grandi teatri e di fondazioni e pochissimo sia arrivato agli attori, alle
maestranze, a quella rete di piccoli teatri e spazi teatrali che sono spesso
dei presìdi su territori culturalmente depressi, dove nasce e prospera la
sperimentazione artistica, dove si forgiano le nuove generazioni, e quasi nulla
si stia investendo per un nuovo inizio con delle logiche diverse».

Per l’attore si sta perdendo
l’occasione di fare di questo disastro culturale un’opportunità di rinascita. Sul connubio teatro-nuove tecnologie, Macaluso
commenta: «La possibilità che la tecnologia ci offre è immensa e trovo sia giusto
sperimentare nuove forme di comunicazione linguistica. Ho ritenuto opportuno
non seguire questa strada perché, pur nella difficoltà, ho voluto e voglio
mantenere fede alla poetica del mio lavoro, linea guida del Teatro Zeta, cioè
quell’aspetto che motiva ogni giorno l’attore, il regista, il drammaturgo, cioè
il dialogo con un altro essere presente e pensante con i suoi dubbi e
sensazioni, le emozioni che circolano, di cui l’attore si nutre, il sudore e la
fatica dei corpi sul palco, perché – conclude – l’evento teatrale lo si fa
insieme e noi tutti siamo teatro nel momento in cui accade».

Dopo quarant’anni di esperienza teatrale,
come attore, regista e drammaturgo per Macaluso la funzione sociale del teatro
non deve essere solo quella della crescita sociale in termini di insegnamenti,
che non si ottiene solo con la pedagogia ma anche e soprattutto con
l’educazione alle emozioni.

«Se ogni giovane sapesse che a teatro può provare,
anche da seduto e senza effetti speciali del cinema, delle emozioni vere, indimenticabili,
e potesse scoprire di essere capace di portarsi questo nella vita di tutti i
giorni, credo che ogni giovane farebbe dell’andare a teatro una buona abitudine
e nella vita sarebbe potenzialmente un uomo e una donna migliore».

Tra le centinaia di artiste che stanno
vivendo un periodo di grande difficoltà anche Liliana Sinagra, una delle prime allieve della scuola
triennale di teatro contemporaneo ideata e diretta da Macaluso. «Siamo stati
privati del nostro lavoro – dice Sinagra – Il teatro lo vivi nel momento stesso
in cui lo si realizza, il nostro spesso è pensato per una relazione più diretta
con lo spettatore, molto intima e diversa per ognuno di loro».

Liliana Sinagra

 Il Teatro Zeta ha una peculiarità, ogni
spettatore ha il suo punto di vista, in senso fisico, geografico rispetto alle
scene. Non ha il tempo di abituarsi alla sua posizione che è costretto a
spostarsi per trovarne un’altra. Questa continua interazione fissa maggiormente
le emozioni che uno spettacolo teatrale suscita in ogni spettatore.

«Il dialogo con lo spettatore
è mancato – aggiunge l’attrice – senza l’apertura dei teatri noi non abbiamo
possibilità di esistere in nessun modo che possa definirsi teatro. Prima di
approdare nel teatro termitano, la ragazza aveva fatto esperienze su palchi amatoriali
con il teatro dialettale, partecipando anche a rassegne, e svolto uno stage sul
teatro dell’oppresso.

«Durante questa pandemia il Teatro
Zeta, come impegno sociale, ha realizzato un progetto per il 25 novembre
giornata internazionale per la lotta contro il femminicidio, ha visto i propri
attori prestarsi all’obiettivo di una fotografa per realizzare un book
fotografico per sensibilizzare al dramma che affligge questa nostra società».

Il periodo di pandemia
Liliana lo ha trascorso “alla ricerca della continuità con la vita che si
è interrotta, sul palco e di tutti i giorni”. Molti gli incontri on-line
seguiti, gli approcci con i colleghi del Teatro Zeta e i tentativi di rimanere
connessi con quello spazio artistico: «Ma non eravamo là, gli sguardi erano
filtrati dalla luce di uno schermo, i piedi non calcavano il palco e la mente
era un po’ frastornata – sottolinea l’attrice – Ho dedicato il tempo alla
formazione, allo studio, guardando anche tanti spettacoli teatrali dei giganti
del teatro, ovviamente in tv. Ho scritto due brevi racconti di cui non so bene
ancora cosa ne farò».

Nonostante i lunghi periodi di
chiusura
, l’artista ringrazia il Governo per il brevevissimo intervallo di
riapertura dei teatri: «Abbiamo fatto un gran sospiro di sollievo, creduto per
pochissimo di poter finalmente programmare, abbiamo lavorato persino a progetti
a breve termine, un’illusione durata poco». Questa pandemia, però, secondo
l’attrice: «Ha dimostrato, o semplicemente confermato, quanto la cultura abbia
un ruolo marginale in questa nostra società e per chi ci governa. Nessun teatro
può essere sovraffollato, già nella vita di sempre i posti sono limitati e
godere di uno spettacolo teatrale richiede di per sé un certo rigore, che è
stato accentuato dalle misure anti Covid, ma questo pare non l’abbia notato
nessuno perché l’attenzione è tutta rivolta ad altri fronti».

Incuriosita dal connubio
teatro-nuove tecnologie, al netto degli incontri formativi tenuti dai grandi
nomi, crede che tutto il resto non si possa chiamare teatro. «Il teatro è
qualcosa che vivi nell’istante stesso in cui avviene, è la vita raccontata in
un secondo, è il sudore della fronte che ti scende che vorresti fermare e che
continua ad andare giù e non puoi asciugare. Ho visto proporre abbonamenti per visionare
monologhi a 6 euro al mese, lezioni tra le più strampalate, tutti tentativi per
sopravvivere a questo momento illudendosi di fare teatro».

Mario Catalano

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