Inquinamento atmosferico da Pm10, temperatura invernale, mobilità, densità e anzianità della popolazione, densità di strutture ospedaliere e densità abitativa. Sono le forti correlazioni fra l’impatto della pandemia da Covid-19 in Italia e la sua diversa diffusione nelle regioni del nostro Paese secondo uno studio realizzato dell’università di Catania su dati Istat, Istituto superiore della Sanità e altre agenzie europee.
La ricerca “Strategies to mitigate the Covid-19 pandemic risk” è realizzata da un team dei dipartimenti dell’Ateneo etneo di Economia e impresa, Ingegneria elettrica, Fisica e astronomia, Medicina clinica sperimentale, Matematica e informatica, Ingegneria civile e architettura.
“Il nostro indice di rischio epidemico – sostengono i ricercatori – mostra forti correlazioni con i dati ufficiali disponibili dell’epidemia Covid-19 in Italia e spiega in particolare perché regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto stiano soffrendo molto di più rispetto al Centro-Sud. D’altra parte queste sono anche le stesse regioni che solitamente subiscono il maggiore impatto (in termini di casi gravi e decessi) anche per le influenze stagionali, come rivelano i dati dell’Iss. Riteniamo quindi che non sia un caso che la pandemia di Covid-19 si sia diffusa più rapidamente proprio in quelle regioni con un più alto rischio epidemico come Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto”.
Secondo lo studio “in Italia, a causa di una fortissima percentuale di asintomatici o sintomatici lievi” ci possano essere al momento da uno a dieci milioni di persone che sono venute in contatto col virus” e un “impatto positivo è venuto dal lockdown”.
Per i ricercatori, inolte i dati “lasciano ben sperare per il Centro-Sud, dove molto probabilmente l’impatto di questa pandemia e di possibili altre ondate future sarà sempre più lieve in termini di casi gravi e decessi a causa del minor rischio epidemico legato ai fattori strutturali trovati”.