ROMA – “Se per il peccato c’è redenzione, per la corruzione no”. La scelta del presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, di aprire la presentazione della relazione sulle attività dell’ultimo anno svolte dall’Autorità nazionale anticorruzione si offre a due letture. Da una parte, il naturale riconoscimento dell’impegno extra-spirituale che ha contraddistinto il pontefice fino all’ultimo giorno di vita, dall’altra la sensazione che, considerata la pervasività del fenomeno, l’Italia si trovi a un punto tale che per ambire a un salvezza diventa quasi naturale confidare in interventi ultraterreni.
Dalle quasi quattrocento pagine che compongono la relazione emerge chiaramente come nel nostro Paese la macchina che dovrebbe funzionare alla perfezione per contrastare la corruzione risenta di carenze a tutti i livelli. A dimostrarlo, d’altra parte, sono le notizie che quasi settimanalmente arrivano a confermare come il rapporto tra privati e pubbliche amministrazioni sia costantemente a rischio di condizionamenti da cui scaturiscono le storture che tutti sappiamo: inquinamento delle procedure di selezione degli operatori economici, maggiorazione dei costi, ma anche meno garanzie sulle qualità delle opere realizzate e, non per ultimo, un aumento…

