Un prezzo troppo alto per la nostra econonia. Inefficienza amministrativa e malaffare allontanano gli investimenti, lo studio del centro ricerche Rand
In una fase in cui, per far fronte alla grave emergenza economica si stanziano decine di miliardi la corruzione sottrae al sistema economico-sociale ingentissime risorse.
Una recente ricerca internazionale (del centro ricerche Rand) stima che la corruzione costa all’economia dei paesi europei oltre 900 miliardi di euro l’anno ed a quella italiana almeno 237 miliardi, pari a circa il 13% del Pil.
Si tratta di numeri difficili da verificare, ma l’impatto negativo della corruzione sui sistemi economici risulta ormai ampiamente comprovato: secondo i dati della Banca Mondiale (indici 2017), il reddito medio nei paesi con un alto livello di corruzione è circa di un terzo inferiore a quello dei paesi con un basso livello di corruzione, ed una ricerca dell’Istituto per la competitività certifica che il radicamento del fenomeno corruttivo inibisce l’afflusso di capitali stranieri ed incide negativamente sull’occupazione spingendo le imprese a mantenere una dimensione ridotta, mentre la riduzione del livello di corruzione favorisce l’avvio di nuove imprese, il radicamento di capitali e imprese straniere, rende più agevole la gestione delle attività pubbliche, incide positivamente sull’occupazione giovanile.
L’esperienza empirica e gli studi più accreditati dimostrano, infatti, che l’inefficienza amministrativa e la corruzione allontanano gli investimenti più degli elevati livelli di tassazione e degli altri fattori di natura economica, ostacolano la realizzazione di insediamenti produttivi ed infrastrutture, inquinano l’utilizzo delle risorse pubbliche, alimentano la criminalità e l’evasione fiscale, favoriscono la proliferazione di fenomeni di malaffare, minano la competitività delle imprese, falsano la concorrenza, ostacolano la meritocrazia, moltiplicano il contenzioso, falcidiano le entrate tributarie, fanno lievitare i costi di servizi ed opere pubbliche, riducono l’efficienza dei servizi pubblici e privano i cittadini di prestazioni essenziali.
Tutto ciò attiva un circolo vizioso che zavorra i processi di sviluppo e deprime l’ambiente economico: meno investimenti, riduzione dell’occupazione, dei redditi, dei consumi, meno entrate fiscali, servizi e prestazioni pubbliche, lievitazione dei costi burocratici e degli oneri relativi alla frequente soccombenza dell’Amministrazione nei contenziosi contro cittadini ed imprese. Più spese, meno entrate e risorse pubbliche per soddisfare i diritti dei cittadini.
I dati ufficiali sugli episodi di corruzione scoperti e sanzionati da inquirenti e autorità giudiziarie non forniscono una stima attendibile della reale entità del fenomeno corruttivo, che resta in larga misura sommerso e deve pertanto essere considerato molto più esteso di quanto lascino intendere le statistiche giudiziarie.
La situazione è stata affrontata attraverso diverse riforme dell’attività amministrativa e dell’organizzazione burocratica che hanno introdotto controlli sull’esercizio dei poteri pubblici e strumenti meritocratici in forma di incentivi ai dipendenti virtuosi e sanzioni a quelli inefficienti, nonché mediante l’irrigidimento delle norme sulla responsabilità (penale, disciplinare, amministrativo-contabile, civile) dei funzionari pubblici e l’inasprimento delle sanzioni.
Le norme penali sono molto severe, ma si sono dimostrate inadeguate a contrastare il dilagare della corruzione a causa del ridotto numero di denunce, della difficoltà di scoprire e sanzionare i casi di corruzione e di accertare il passaggio di denaro o il conseguimento di altri vantaggi, dei tempi lunghi delle indagini e dei processi, che richiedono svariati anni e spesso si interrompono a causa della prescrizione.
Per ovviare a queste criticità la legge del 2012 alla fattispecie di reato penale ha affiancato una nuova nozione di corruzione a fini amministrativi, che comprende ogni caso di cattiva gestione della cosa pubblica, ed ha imposto a tutte le amministrazioni, gli enti e le società pubbliche di perseguire come eventi corruttivi tutti i casi di malaburocrazia e violazione di norme, a prescindere dal conseguimento di denaro e dalla conclusione delle indagini penali, e di adottare un piano anticorruzione ed una serie di strumenti per prevenire e contrastare il fenomeno: rotazione del personale, regole stringenti sul conflitto di interessi, codici di comportamento, tutela di chi segnala episodi corruttivi, incompatibilità specifiche per alcuni incarichi dirigenziali, obblighi di trasparenza per gli atti pubblici e i dati su dipendenti, dirigenti ed amministratori, adozione di meccanismi di prevenzione del rischio di corruzione, informatizzazione e digitalizzazione dei procedimenti amministrativi, accesso generalizzato agli atti pubblici, misure di semplificazione dell’organizzazione burocratica e dell’attività amministrativa, controlli efficienti.
L’assunto è che le amministrazioni devono prevenire e perseguire come eventi corruttivi non soltanto la vendita della attività istituzionale, ma tutti i casi di illegittima deviazione dalle regole di buon andamento, a prescindere dal conseguimento di denaro e dalla conclusione delle indagini penali.
Questa disciplina, quindi, consente di anticipare, estendere e rendere più efficace il contrasto alla corruzione, dal momento che le amministrazioni dispongono di strumenti in grado di prevenire casi corruttivi, e per adottare le relative sanzioni non è necessario dimostrare passaggi di denaro o altre utilità o attendere gli esiti dei processi penali.
Tuttavia le relazioni dell’Anac e della Corte dei conti rivelano che le amministrazioni e le società pubbliche le hanno applicate solo formalmente, come complessi e fastidiosi adempimenti burocratici.
Il campionario delle elusioni è vasto: piani anticorruzione fotocopia, sostanziale inattuazione delle misure precauzionali imposte dalla legge e delle regole di semplificazione e trasparenza, controlli inefficaci, scarsa responsabilizzazione del personale, assenza di coordinamento tra il piano anticorruzione e quello della performance, scarso coinvolgimento di dirigenti e vertici politici. Le sanzioni, inoltre, sono soltanto virtuali, poiché l’Anac non ha la struttura adeguata per verificare l’attività di venti regioni, oltre 8.000 comuni e decine di migliaia di altri soggetti che svolgono funzioni pubbliche, e per verificare la legittimità di un infinta mole di atti.
Questa allarmante situazione potrebbe notevolmente aggravarsi a causa dell’esigenza di accelerare procedimenti e acquisti pubblici attraverso deroghe alle regole standard, riduzione e semplificazione dei controlli. Basti pensare al regime speciale (provvisorio) per l’affidamento degli appalti pubblici introdotto dal cd decreto semplificazioni, che estende l’applicazione delle procedure di urgenza per l’affidamento e la consegna dei lavori, amplia la possibilità di aggiudicare gli appalti senza gara, “taglia” numerosi adempimenti e controlli previsti dal Codice dei contratti, consente di procedere all’aggiudicazione delle gare e all’esecuzione dei lavori in deroga a ogni disposizione di legge (con pochi vincoli: il rispetto delle norme penali, della normativa antimafia e delle regole europee), accentra in capo ai commissari pressoché tutti i poteri di aggiudicazione ed esecuzione delle opere di particolare rilievo. Queste norme, peraltro, vengono abbinate alle disposizioni che rendono non punibili gli sprechi di risorse pubbliche causati da grave negligenza, superficialità, mancanza del livello minimo di prudenza di dipendenti e amministratori pubblici, depotenziano il reato di abuso di ufficio ed introducono limiti all’annullamento dei contratti dichiarati illegittimi dai giudici amministrativi.
Questo regime speciale comporta un rischio concreto di proliferazione degli episodi di corruzione, degli sprechi e delle irregolarità negli acquisti pubblici. Non a caso le verifiche dell’Anac hanno evidenziato una vasta gamma di criticità: proliferazione degli affidamenti diretti, gare revocate, difformità dei servizi eseguiti rispetto a quelli appaltati, prodotti non certificati.
Per invertire la rotta è indispensabile garantire il rispetto delle norme sulla trasparenza, che facilitano i controlli, inserire l’adempimento delle misure anticorruzione tra gli indicatori di performance dei dipendenti pubblici che condizionano percorsi di carriera e retribuzione accessoria, prevedere controlli efficienti sulla qualità dei piani anticorruzione e sulla corretta attuazione delle misure previste, coinvolgere concretamente dirigenti e vertici politici nell’attuazione dei piani e renderne effettiva la responsabilità, rendere efficienti i procedimenti disciplinari. Durante l’emergenza sanitaria, in particolare, è necessario compensare le deroghe alle regole che garantiscono la qualità e l’economicità dell’attività amministrativa e degli acquisti pubblici con controlli efficienti e misure che garantiscano la trasparenza di atti e contratti della p.A.
La soglia di adempimento alle regole anticorruzione potrebbe essere considerata come requisito per l’attribuzione di finanziamenti a società pubbliche ed enti locali, in modo da premiare le amministrazioni virtuose e sanzionare quelle inefficienti.
Ieri la Giornata internazionale contro la Corruzione
“L’Italia ha già ricevuto 67 miliardi dalla Ue in erogazioni per il Pnrr, e ne riceverà altri 53 miliardi entro la fine del 2023, se rispetteremo tutti i parametri. Sono cifre enormi, che ingolosiscono la malavita, anche organizzata. Il rischio di corruzione e di infiltrazioni criminose in Italia diventa per questo più elevato. Dobbiamo quindi intensificare la lotta alla corruzione”.
Lo afferma il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, in occasione della Giornata Internazionale contro la Corruzione. “Servono controlli adeguati sugli appalti del Pnrr. Anche noi vogliamo velocità e semplificazione, ma con modi e forme che non vadano a scapito di legalità e prevenzione della corruzione. La Commissione europea pone particolare attenzione su quanto stiamo facendo, e si aspetta che l’Italia spenda bene quei soldi”, aggiunge.
“Siamo migliorati nelle classifiche internazionali, ma non basta. In un anno l’Italia ha scalato dieci posizioni nella graduatoria di Transparency International: secondo i dati dell’indice della percezione della corruzione 2021 siamo al 42° posto su una classifica di 180 paesi. L’anno precedente l’Italia occupava il 52° posto. L’andamento è positivo dal 2012: in dieci anni abbiamo guadagnato 14 punti. La media dei paesi dell’Europa occidentale è però di 66 punti: abbiamo quindi ancora parecchia strada da fare e non possiamo permetterci passi falsi. Dal sistema di misurazione oggettiva dei rischi di corruzione, messo a punto da Anac, emerge comunque che il fenomeno è ancora alto nel nostro Paese. Guai a smobilitare la lotta alla corruzione”, avverte Busia.
“La Legge 190, la legge Severino – prosegue – non può essere abrogata perché l’Italia l’ha approvata per adeguarsi ad alcuni obblighi internazionali assunti attraverso la convenzione di Mèrida delle Nazioni Unite che chiede a tutti i Paesi di investire nella prevenzione della corruzione. Quanto alle modifiche, per esempio per la parte della sospensione dalla carica negli enti locali anche in caso di condanna di primo grado, per reati minori, credo si possa tranquillamente ragionare. Al riguardo, il decreto legislativo non distingue fra diverse tipologie di reati e –si è detto- tale sospensione può essere giustificata per i reati più gravi, come quelli di mafia, ma non per tutti gli altri. L’importante, se si interviene sulla legge, è farlo con il fioretto non con la sciabola”.
“La prevenzione della corruzione non è una moda, è una necessità, prima ancora che un obbligo. Non è possibile puntare soltanto sulla repressione a reato avvenuto, occorre spingere molto sulla prevenzione, cambiando i comportamenti e le pratiche, diffondendo una vera cultura della legalità. Se correttamente applicate, le regole di prevenzione della corruzione coincidono con quelle di buona amministrazione, e aiutano a raggiungere migliori traguardi di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa”, conclude.