E’ quanto emerge da uno studio retrospettivo su 52 pazienti, che ha visto la collaborazione dell’Istituto superiore di sanità (Iss), dell’ospedale Sant’Andrea di Roma e di altre istituzioni.
Avere una carenza di vitamina D (VitD) sembra
predisporre, nelle persone che hanno contratto il coronavirus, a una malattia
più grave, ovvero a “stadi clinici di Covid-19 più
compromessi”.
E’ quanto emerge da uno studio retrospettivo su 52 pazienti,
che ha visto la collaborazione dell’Istituto superiore di sanità (Iss),
dell’ospedale Sant’Andrea di Roma e di altre istituzioni, pubblicato sulla
rivista ‘Respiratory Research’.
I ricercatori però evidenziano che “è difficile
sostenere se l’integrazione di vitamina D possa svolgere un ruolo nel combattere la gravità della
malattia e ridurre la sua mortalità, ma – avvertono – può essere una raccomandazione utile e sicura per
quasi tutti i pazienti“.
“Nella nostra
indagine abbiamo correlato, per la prima volta, i livelli plasmatici di VitD a
quelli di diversi marcatori (di infiammazione, di danno cellulare e
coagulazione) e ai risultati radiologici tramite Tac durante il ricovero per
Covid-19 – spiega Francesco Facchiano, ricercatore dell’Iss, coautore dello
studio – e abbiamo osservato che i pazienti con bassi livelli plasmatici di
VitD, indipendentemente dall’età, mostravano una significativa compromissione
di tali valori, vale a dire risposte infiammatorie alterate e un maggiore
coinvolgimento polmonare”.
Per
lo studio sono stati arruolati 52 pazienti affetti da Covid-19 con
coinvolgimento polmonare (27 femmine e 25 maschi, l’età mediana era di 68,4
anni).
I livelli di vitamina D
erano carenti (con livelli plasmatici di VitD molto bassi, sotto 10 ng/ml)
nell’80% dei pazienti, insufficienti nel 6,5% e normali nel 13,5%.
“Recenti osservazioni
hanno dimostrato che la vitamina D non è un semplice micronutriente coinvolto
nel metabolismo del calcio e nella salute delle ossa, ma svolge anche un ruolo
importante come un ormone pluripotente in diversi meccanismi immunologici. È
noto che i suoi recettori sono ampiamente distribuiti in tutto l’organismo e in
particolare nell’epitelio alveolare polmonare e nel
“Anche se gli effetti in vivo della vitamina D non sono completamente compresi – si legge nello studio – una serie di osservazioni sottolineano il ruolo della VitD nello sviluppo delle malattie polmonari. La sua insufficienza è stata collegata alle infezioni virali del tratto respiratorio inferiore e all’esacerbazione delle malattie polmonari ostruttive croniche e dell’asma. Inoltre, i soggetti con bassi livelli di vitamina D al momento del test Covid-19 erano a più alto rischio di essere positivi rispetto ai soggetti con sufficiente stato di VitD”. Tuttavia, gli studiosi sono cauti: “L’effetto della carenza di VitD nella progressione del Covid-19 o nella gravità della malattia è ancora da valutare. I nostri dati sottolineano una relazione tra i livelli plasmatici di vitamina D e diversi marcatori di malattia”. (Adnkronos)