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Covid, in terapia intensiva pazienti più giovani senza patologie

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Covid, in terapia intensiva pazienti più giovani senza patologie

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mercoledì 21 Aprile 2021

Dall'inizio della pandemia il personale sanitario ha avuto modo di perfezionare il piano terapeutico per i pazienti Covid. Così il 56% dei ricoverati torna a casa.

Con la rapida diffusione delle nuove varianti del virus, il target dei ricoverati nelle terapie intensive siciliane è cambiato. A farlo presente è il Policlinico di Palermo, dove i pazienti sono sempre più giovani e senza patologie pregresse.

Sono operativi da lunedì e sono già tutti occupati i 7 posti letto aggiuntivi attivati presso la struttura complessa di Pneumologia Covid dell’Aou Policlinico “Paolo Giaccone” di Palermo. L’azienda ospedaliera universitaria sta fronteggiando anche questa fase della pandemia con un totale complessivo di 88 posti Covid di degenza ordinaria e 8 di terapia intensiva. Nel complesso sono 4 le strutture in prima linea nella gestione dei pazienti colpiti dal virus: medicina, malattie infettive e pneumologia con unità di terapia sub-intensiva respiratoria.

I pazienti ricoverati in terapia intensiva

Per i pazienti affetti da polmonite con grave insufficienza respiratoria sono adesso disponibili 27 posti di pneumologia con UTIR, Unità di Terapia Intensiva Respiratoria, con età media dei pazienti ricoverati che si attesta sui 53 anni e senza particolari fattori di rischio o patologie pregresse.

I sanitari stanno riscontrando alcune differenze significative tra l’ultimo trimestre 2020 e questi primi mesi del 2021. Se tra ottobre e dicembre 2020 in totale sono stati 97 i pazienti ricoverati per grave insufficienza respiratoria da polmonite da Covid, tra gennaio e marzo il numero si è innalzato a 184. In ospedale i pazienti sono più giovani, ma si registra anche un tasso di guarigione maggiore rispetto al passato: il 56% torna a casa, mentre nella fase precedente la percentuale era del 36%. Si è abbassata anche la mortalità, dal 26% al 21% e si è dimezzata la necessità di ricorrere a manovre invasive di tipo rianimatorio.

“Ci sono più variabili – spiega il prof. Nicola Scichilone, direttore dell’Uoc di Pneumologia – che hanno inciso su questi esiti: di certo l’esperienza ha permesso con il tempo di affinare sempre più il nostro approccio clinico introducendo le terapie più idonee. Attualmente la tecnica di ventilazione non invasiva, con supporto alla meccanica respiratoria, e l’erogazione di aria e ossigeno ad alti flussi, si stanno rivelando più efficaci di altri trattamenti in uso in precedenza. Se negli ultimi mesi del 2020 abbiamo visto pazienti che in media avevano 68 anni, oggi la riduzione dell’età media si può di certo motivare anche con l’avvio della campagna vaccinale in cui è stata coinvolta la popolazione più anziana e fragile. A favorire il contagio tra i più giovani nell’ultimo periodo sembra essere stata la prevalenza delle varianti, tra cui quella inglese che è risultata tra le più diffusive. La vaccinazione resta un’arma essenziale per contrastare i contagi”.

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