Covid, storie dal fronte di giovani medici e operatori sanitari - QdS

Covid, storie dal fronte di giovani medici e operatori sanitari

Covid, storie dal fronte di giovani medici e operatori sanitari

giovedì 11 Febbraio 2021

Una grande umanità nelle vicende che ci sono state raccontate dai protagonisti dell’emergenza nel reparto di Pneumologia covid dell’ospedale Garibaldi Centro di Catania. Le lettere dei nipotini agli anziani e le strette di mano

Quattro punti di vista diversi per
raccontare la pandemia da giovani che l’emergenza ha proiettato al fronte in
questa guerra contro il coronavirus. Tutti hanno lavorato a Catania, nel
reparto di Pneumologia covid dell’Ospedale Garibaldi Centro.

Sono due medici, un’infermiera e un
operatore socio-sanitario. E questo è quel che ci hanno raccontato, rispondendo
sempre a un’ultima domanda su cosa ci lascerà l’esperienza di questa pandemia.

Flavia
Licandro

“Recuperare
il rapporto con il paziente, perduto in certi momenti di frenesia”

Flavia Licandro è una giovane infermiera
laureatasi nel novembre del 2019 nell’Università di Ferrara. Tornata a Catania,
con la speranza di poter lavorare nella sua città, ha visto concretizzarsi quest’obiettivo
con l’esplosione dell’emergenza.

Ci racconta che, inizialmente, non ha riflettuto
sul pericolo, perché era una situazione inesplorata. “Ho solo pensato che
quella fosse l’occasione per iniziare”.

L’esperienza ha abbracciato le due
ondate.

“Durante la prima, quella di marzo, ci
aspettavamo una situazione simile a quella del Nord, invece è stata gestibile,
nonostante le difficoltà di dover indossare i dispositivi individuali di protezione,
l’incertezza del momento e ciò che sentivamo dai media”.

“Altra cosa è stato l’autunno. In
novembre, in piena seconda ondata, ci siamo ritrovati con poco personale e
tutti i posti letto occupati. Alla fine del turno, per via della frenesia,
della rapidità necessaria in certi momenti quasi non ricordavo nulla, ed ero
consapevole di non aver potuto curare l’aspetto umano nell’approccio con il
paziente. Al momento il numero dei ricoveri è diminuito, ed è possibile tornare
anche a scambiare qualche parola con gli ammalati”.
– Cosa lascerà la pandemia al servizio sanitario?

“Forse la necessità di recuperare con il
paziente un rapporto più umano, aspetto che forse in certi casi è stato
relegato in secondo piano”.

Fabiola
Cassaro

“Lavorare
fin da ora ad un’organizzazione più rapida, in caso di future emergenze”.

Fabiola Cassaro si è laureata in
medicina e chirurgia nel luglio del 2020 con laurea abilitante.

“Per molti quella del covid è stata la
prima esperienza lavorativa. Io come altri colleghi abbiamo preso servizio nel
pieno della seconda ondata, quando c’erano tutti i posti letto occupati da
malati più o meno gravi. Fin da subito ci siamo chiesti se fossimo in grado di
sostenere una simile prima esperienza. Non per tutti è stata una scelta facile.
Chi ha scelto di proseguire è stato sostenuto da tutti gli strumenti che sono
stati messi a nostra disposizione per integrarci, formarci e portare avanti
questo impegnativo ruolo”.

Un ruolo reso ancor più complicato dalla
necessità di indossare i dispositivi di protezione, attraverso i quali “solo per
mezzo degli occhi possiamo trasmettere al paziente serenità, fondamentale in un
momento di fragilità e di lontananza dai propri cari che sentono solo al
telefono”.

“Addirittura, ai pazienti più anziani i
nipotini hanno fatto recapitare disegni e messaggi scritti che abbiamo letto
agli ammalati con grande piacere. Il rammarico è che ci siano alcuni, i
negazionisti, che sostengono come l’emergenza covid  sia tutta una montatura…”.

– Cosa lascerà la pandemia al servizio
sanitario?

“Probabilmente l’esigenza di un tipo
d’organizzazione che sappia far fronte tempestivamente, in futuro, a emergenze
di tale portata”.

Francesco
Gioia

“Testare
periodicamente i piani di maxi-emergenza”

Francesco Gioia, medico ennese, è stato
tra i primi laureati a distanza, a marzo 2020.

Da studente, di certo, avrà immaginato
tante volte di dover affrontare situazioni d’emergenza, ma non avrebbe mai pensato
a un “inizio” nel bel mezzo di una pandemia.

“In realtà la voglia di mettere subito a
disposizione il proprio bagaglio di conoscenze non è mai venuta meno, pur
consapevole delle difficoltà e questo perché emergenza e pronto soccorso sono
da sempre gli ambiti di mio interesse”.

Fin dal primo giorno l’imperativo è
stato: piena responsabilità.

“È stato come fare un bagno nell’acqua
gelida: la frenesia dell’urgenza, i dispositivi di protezione individuali
rendevano difficile il rapporto medico-paziente, invece terapia e umanità si devono
intrecciare. Ma non credo che ci fosse un modo migliore per iniziare”.
“Pian piano, in tutto questo, si è trovato il modo di comunicare con il
paziente, anche solo soffermandosi un attimo, aiutandolo a mangiare un boccone
e magari scambiando un sorriso”.
– Cosa lascerà la pandemia al servizio sanitario?

“La consapevolezza che potremo
ritrovarci in una situazione simile e non dovrà coglierci di sorpresa. Praticando
i piani di maxi-emergenza senza lasciarli seppelliti sotto una pila di carte”.

Fabrizio
Falcone

“Puntare
su nuove assunzioni per un’adeguata assistenza post pandemia”.

“Per me è stata la prima esperienza, ho
fatto la domanda e mi sono ritrovato nel bel mezzo di una situazione ancora a
tutti sconosciuta. Ricordo ancora il giorno in cui sono arrivati i primi
pazienti, eravamo spiazzati”.

Così inizia il suo racconto Fabrizio
Falcone, operatore socio-sanitario, originario di Messina. Sottolinea non solo
come fosse altra cosa vedere l’evolversi della situazione dalla tv e stare poi
sul campo, ma fa una netta distinzione tra la prima e la seconda ondata, a
Catania.

“La prima è stata fronteggiata senza
grosse ansie, in autunno è stato tutto diverso, in special modo nel mese di
novembre, quando non vi era un posto libero in reparto”.

Anche per Falcone “la cosa più dolorosa
era vedere i pazienti che non potevano avere il conforto dei propri cari, e di
ciò veder soffrire di più gli anziani, che a volte cercavano un contatto anche
solo stringendoti la mano”.

Un gesto che esprimeva tutta la
fragilità del momento, in cui dove l’unico riferimento umano, per gli ammalati,
era il personale sanitario.

– Cosa lascerà la pandemia al servizio
sanitario?

“Mi auguro l’assunzione di medici e
infermieri. Un più vasto organico, per offrire ai pazienti, anche quando la
pandemia finirà, adeguata assistenza”.

E questa prima esperienza qualcosa a lui,
che ora svolge il suo lavoro al Policlinico di Messina, l’ha già lasciata: “il
ricordo di una squadra affiatata”.

Francesca Fisichella

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