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Credito: la differenza fra l’oggi e il domani

Credito: la differenza fra l’oggi e il domani
pil economia

Cosa fa girare l’economia

Tutte le famiglie che risparmiano, quando possono, e mettono da canto quanto non hanno speso, debbono essere considerate benemerite perché mettono a disposizione del futuro i loro risparmi. In che senso? Nel senso che gli istituti di credito, intermediari, utilizzano questi risparmi per finanziare il mondo economico, quello delle imprese, ma anche quello della ricerca, al fine di far girare la ruota che dovrebbe migliorare le condizioni di vita di cittadine e cittadini. Anche se alcuni finanziamenti, come quelli per le energie fossili, le peggiorano.
Per cui, non sono i risparmi a fare muovere la ruota, bensì il loro utilizzo come credito o, se volete con una metafora, come il vento per fare girare le pale eoliche.
Per questa attività di intermediazione il sistema bancario riceve un compenso adeguato, per cui, pagate le spese di esercizio, consegue un certo utile. Ma questo utile non rimane per intero nei forzieri delle banche perché una parte viene distribuita ai possessori – o proprietari – delle azioni. In atto, nel nostro Paese, l’istituto migliore sotto questo punto di vista è Intesa San Paolo, gestito da Carlo Messina.

Credito, crescita economica e consapevolezza democratica

Il credito, dunque, è la differenza fra l’oggi e il domani. Infatti, se i risparmi restassero stagnanti come in una laguna senza onde, non produrrebbero alcuna crescita e di conseguenza non si metterebbe in moto quel processo secondo il quale, poi, le remunerazioni aumentano e per conseguenza i consumi aumentano e per conseguenza la produzione aumenta e per conseguenza la ricchezza aumenta e per conseguenza aumentano le imposte (quando non c’è evasione) e via elencando.
Perché stiamo riassumendo in poche righe questo processo? Perché esso è poco noto a cittadine e cittadini e, purtroppo, anche ai lettori, in quanto non viene trattato da molti mezzi di comunicazione.
È però necessario che si sappia cosa accade nella Comunità, perché in tal modo è possibile valutare se chi gestisce le leve lo sta facendo con capacità, competenza e onestà. La questione finisce al solito punto: una vera democrazia dev’essere composta da cittadine e cittadini consapevoli e che abbiano la conoscenza necessaria per capire gli eventi, per poi comprendere se chi agisce lo fa nell’interesse generale o meno.

Storia del credito: dalle civiltà antiche all’economia globale

Il credito nasce con le prime civiltà agricole, quando contadini e mercanti si prestavano beni o sementi da restituire dopo il raccolto. Già in Mesopotamia (III millennio a.C.) esistevano contratti scritti su tavolette d’argilla con tassi di interesse regolati dalla legge. Poi, nell’antica Grecia e a Roma, il credito si sviluppò con il commercio: prestiti in denaro, cambiali e banche primitive facilitavano gli scambi. Successivamente, nel Medioevo, il credito continuò per volontà di mercanti e banchieri, soprattutto in Italia, dove nacquero le prime vere banche e strumenti come le lettere di cambio.
Con l’età moderna e la rivoluzione industriale, il credito divenne fondamentale per finanziare imprese, Stati e infrastrutture; si diffusero banche centrali, titoli di Stato e sistemi finanziari più complessi.
Oggi il credito è alla base dell’economia globale e, se ben regolato, dovrebbe permettere a famiglie, imprese e Governi di investire e consumare. Ma è (o può essere) anche causa di disuguaglianze sociali (chi è ricco ottiene credito più facilmente e a condizioni migliori), sovraindebitamento, pressione psicologica, consumismo, crisi, eccetera.

Credito inutilizzato, recessione e Prodotto interno lordo

Quando il credito non è utilizzato, tutto o in parte, si dice che: “Il cavallo non beve”. Perché accade, in macroeconomia, questo fenomeno di mancato utilizzo del credito? Perché il sistema delle imprese, di tutte le dimensioni e di tutti i livelli, non è attivo, non guarda al futuro e quindi il suo immobilismo non attinge al credito e, per conseguenza, la ruota economica rallenta per poi fermarsi.
Quando si ferma, si dice che una nazione va in recessione. Ricordiamo che l’indice che misura la crescita, il blocco o la decrescita, è il Prodotto interno lordo, non già espresso in percentuali, che sono ingannevoli e fuorvianti, bensì in miliardi. Ovviamente questo indice è talmente sintetico che non può essere preso in senso assoluto ed è soggetto a molte critiche, proprio perché non prende in considerazione diversi aspetti della salute di una società.
Tuttavia, assicura l’immediata sensazione dell’andamento della stessa, oltre che dell’economia.