Mentre in Sicilia, in particolar modo durante la stagione estiva, si fa la conta dei danni causati dalla siccità, la produzione del grano – malgrado i dati buoni registrati nel primo scorcio del 2025 con una buona quantità e una qualità – vede ancora un divario molto ampio tra il prezzo del prodotto e i costi di produzione.
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Per i cerealicoltori dell’Isola infatti, i conti continuano a non tornare. Per trattare il problema, al Qds.it sono intervenuti il presidente regionale della Confederazione Italiana Agricoltori, Graziano Scardino, e il produttore cerealicolo, Santo Liccardi.
Crisi del grano in Sicilia, Scardino (Cia): “Granaio Italia potrebbe essere d’aiuto”
“Le tensioni geopolitiche generano molto spesso anche attività speculative da parte dei grandi grossisti che stoccano grandi quantitativi di grano, il tutto a sfavore degli agricoltori. Abbiamo un costo di produzione che in alcuni areali va dai 33 ai 35 centesimi al chilo”, ha precisato Scardino. Il numero uno della Cia Sicilia ha posto le attenzioni anche sul prezzo della borsa di Foggia, che fa da riferimento, e sulla qualità del grano, che non riceve però il giusto compenso nell’ambito della produzione: “Il prezzo della borsa di Foggia è tra 29 e 30 centesimi – ha continuato Scardino -, ma è stato anche a 25 centesimi e per questo mancano 7-8 centesimi per coprire i costi di produzione. Quest’anno nella maggior parte degli areali noi abbiamo avuto un buon raccolto, tranne che nelle zone siccitose dell’Agrigentino, redditi produttivi più alti e grano di qualità. Una qualità che però non è stata premiata per quanto riguarda il grano duro. I commercianti, con la scusa che siamo un’isola, valorizzano il nostro grano duro 2-3 centesimi in meno rispetto a quanto viene quotato nelle borse continentali. Avere un borsino nostro di riferimento potrebbe limitare i danni della speculazione di una parte della filiera del grano duro, soprattutto di chi fa commercio all’ingrosso. Il nostro è un grano di qualità, per cui è indispensabile che la pasta venga prodotta con il nostro grano”.
Fra le misure che gli agricoltori e i cerealicoltori hanno chiesto e che hanno ottenuto c’è stata l’istituzione di Granaio Italia, che quando entrerà in vigore dovrebbe rappresentare un importante supporto per la verifica della provenienza.
“Al Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare – ha aggiunto Scardino – abbiamo chiesto di istituire il Granaio Italia, che conterrà un insieme di registrazioni che la filiera del grano duro deve fare per dimostrare che in un determinato prodotto ci sia realmente grano duro italiano. Il Made in Italy va valorizzato con il prezzo e pensiamo che Granaio Italia possa far risalire il prezzo quando entrerà a regime, facendo da borsa di riferimento per gli agricoltori. Sappiamo di essere importatori, ma svendere il nostro grano non è giusto. Noi come Cia ce la metteremo tutta affinché con questi meccanismi di mercato realmente ci possa essere un prezzo che vada aldilà dei costi di produzione”.
Non preoccupano tanto i dazi quanto i rincari
La produzione del grano ha subìto e non poco gli effetti dei rincari per i materiali. I dazi invece potrebbero causare dei danni solo per il prodotto trasformato.
“Il prezzo del grano è fermo da parecchi anni, mentre dopo il Covid – ha concluso Scardino – i rincari dei concimi, delle materie plastiche e dei carburanti hanno rappresentato dei meccanismi che non sono stati compensati dall’aumento del prezzo del grano malgrado la lievitazione dei costi di produzione, che è avvenuta per effetti speculativi. Non dimentichiamo che il prezzo del grano scende soprattutto quando si immettono grandi quantitativi di grano estero, e mi riferisco soprattutto al grano che proviene dall’altra parte dell’Europa, come quello ucraino o quello del Kazakistan, con una maggiore immissione nel mercato europeo. Speriamo che con Granaio Italia venga riconosciuta la qualità del grano e che aumenti la remunerazione”.
“I dazi non colpiscono tanto la nostra filiera, mentre per quanto riguarda la pasta vedremo bene, perché si tratta in questo caso del prodotto trasformato. Il grano non lo esportiamo, ma se i costi di produzione salgono di un euro a quintale ogni anno influiscono sul reddito dell’agricoltore, perché gli aumenti ci sono per esempio per i concimi. Noi stiamo spingendo a livello ministeriale prima di tutto affinché le norme entrate in vigore vengano rispettate, anche per esercitare un controllo più chiaro all’interno della filiera, per accertare che il prodotto sia Made in Italy e per avere un vantaggio sul prezzo di mercato. Stiamo intervenendo anche per avere delle integrazioni sulla filiera del grano duro, soprattutto per il credito d’imposta per quei trasformatori che pagano bene il grano e che fanno un contratto di acquisto con caratteristiche stabilite prima con i produttori di grano duro”.
Liccardi (imprenditore): “Politica disinteressata”
L’imprenditore cerealicolo Santo Liccardi ha fatto il punto della situazione, sottolineando come le aziende produttrici di grano siano quasi sul lastrico e come le importazioni creino non poche difficoltà.
“La crisi la stiamo vivendo abbastanza male – ha detto Liccardi – perché tutte le aziende agricole hanno un mancato reddito. I costi di produzione e l’acquisto del gasolio non ci permettono di andare avanti e le aziende stanno sostanzialmente fallendo perché il prezzo del grano non aumenta e tutto il resto rincara. Veniamo da un’annata precedente disastrosa e quest’anno ci aspettavamo di poter coprire le spese avute negli anni precedenti e invece, malgrado una produzione discreta, siamo al collasso perché il prezzo non si rialza. Andando avanti così andremo incontro a un fallimento. I dazi non influiscono a differenza dell’importazione di materie da fuori e a livello energetico con i rincari le spese non si coprono. Nell’entroterra ennese siamo bloccati e ci aspettiamo che nei prossimi mesi i nostri politici facciano qualcosa per aumentare il prezzo, in modo tale che le aziende comincino quantomeno a sopravvivere”. “Le istituzioni in tal senso sono assenti, in quanto “la politica – conclude Liccardi – c’entra perché ancora si continua con la questione relativa ai Consorzi di Bonifica, con l’invio di cartelle esattoriali e di bollette. Le istituzioni pensano al Ponte sullo Stretto, ma non pensano a cosa mettere sulle nostre tavole. Noi con questi prezzi non saremo in grado di comprare nemmeno le sementi per il prossimo inverno e quindi la vediamo con del pessimismo. Da diversi anni abbiamo un mancato reddito, per colpa della siccità, delle istituzioni che non ci tutelano, del prezzo del grano che non funziona e dei rincari e, inoltre, pure dei costi dei carburanti”.

