L’ultimo rapporto Istat sugli aspetti demografici evidenzia un trend chiaro: aumentano le aspettative di vita della popolazione, crolla il numero delle nascite, che tocca il suo record storico negativo nel 2024. Con 1,18 figli per donna viene superato il minimo di 1,19 del 1995, anno nel quale sono nati 526mila bambini contro i 370mila del 2024.
La speranza di vita alla nascita è pari a 83,4 anni, quasi 5 mesi di vita in più rispetto al 2023. Al contempo è boom delle emigrazioni per l’estero: sono 191mila (+20,5% sul 2023), delle quali ben 156mila riguardano cittadini italiani che espatriano (+36,5%).
Nello stesso periodo, aumentano i neo-cittadini italiani: sono 217mila le acquisizioni della cittadinanza italiana concesse a cittadini stranieri residenti in Italia, che superano così il precedente massimo di 214mila raggiunto nel 2023.
Ma le famiglie – complici il mancato aumento dei salari e le difficoltà economiche dettate dall’inflazione e dalle congiunture geopolitiche in atto, sono sempre più ristrette: la loro dimensione media scende in 20 anni da 2,6 componenti agli attuali 2,2 (media 2023-2024).
Il calo demografico più sensibile si registra nei Comuni delle aree interne del Mezzogiorno, per una variazione che incide su circa il 5 per mille in meno sull’anno precedente. In questo caso la riduzione della popolazione avviene, numeri alla mano, in quattro Comuni su cinque.
In contrasto, invece, i dati riguardanti la popolazione residente straniera, in crescita in tutto il Paese: 5 milioni e 308mila sono gli individui presenti all’1 gennaio 2024, un boom di +166mila persone sull’anno precedente. E in questo quadro, cosa dicono i dati per la Sicilia?
Tasso di natalità: Ragusa, Agrigento e Catania al top in Italia
Una fotografia in chiaro scuro, con i tassi di natalità che continuano a essere elevati e toccano vette nazionali per le province di Ragusa, Agrigento e Catania con 1,34 e 1,33 figli per donna. Il primato della fecondità più elevata continua a essere detenuto dal Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,39 nel 2024, comunque in diminuzione rispetto al 2023 (1,43).
Come lo scorso anno seguono Sicilia e Campania. Per la prima, il numero medio di figli per donna scende a 1,27 (contro 1,32 del 2023), mentre in Campania la fecondità passa da 1,29 a 1,26. In queste regioni le madri sono mediamente più giovani: l’età media al parto è pari a 31,7 anni in Sicilia e a 32,3 in Trentino-Alto Adige e Campania.
Scende sotto la soglia dei 4,8 milioni la popolazione residente in Sicilia: una diminuzione di circa 17.000 unità in un solo anno. Questo calo è attribuibile a un saldo naturale negativo e a un saldo migratorio interno sfavorevole, solo parzialmente compensati da un saldo migratorio estero positivo. Le province di Palermo e Catania ospitano quasi la metà della popolazione regionale, ma anche queste aree mostrano segnali di contrazione demografica.
E se la Sicilia resta la seconda regione d’Italia per tasso di fecondità, a fronte di una media italiana dell’1,18, è addirittura la prima del Paese per età media al parto: 31,7 anni a fronte dei 32,8 della Lombardia e dei 33,3 del Lazio, per una media italiana in questo caso stabile al 32,6.
Speranza di vita: Abruzzo prima in Italia, ma in Sicilia si vive di più
Il calo dei decessi si traduce in un guadagno di vita rispetto al 2023 di circa cinque mesi sia per gli uomini sia per le donne. La speranza di vita alla nascita nel 2024 è stimata in 81,4 anni per gli uomini e in 85,5 anni per le donne (+0,4 in decimi di anno), valori superiori a quelli del 2019.
Nel Mezzogiorno si registrano valori più bassi della speranza di vita alla nascita, 80,3 anni per gli uomini e 84,6 anni per le donne. L’Abruzzo è la regione che consegue guadagni di sopravvivenza maggiori tra gli uomini, oltre 8 mesi in più sul 2023.
“Significativi, sempre nel Mezzogiorno, sono i guadagni ottenuti tra le donne in Sicilia, Basilicata e Calabria, ben 6 mesi in più – spiega l’Istat – La Campania, nonostante un considerevole recupero, rimane la regione con la speranza di vita più bassa tanto tra gli uomini (79,7) quanto tra le donne (83,8)”.
Dati che evidenziano come, in prospettiva, la popolazione italiana è comunque destinata a una importante fase decrescente. Per questo alla Camera dei Deputati è stata attivata una Commissione parlamentare d’inchiesta per investigare gli effetti economici e sociali del mutamento demografico in atto.
Nelle scorse settimane, in audizione di fronte i membri della Commissione, anche il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli. “La transizione demografica in atto rappresenta una delle sfide più complesse e decisive per il futuro economico e sociale del nostro Paese”, ha spiegato il numero uno dell’Istat. Un intervento articolato che ha offerto una fotografia aggiornata dell’Italia che cambia, delineando gli strumenti a disposizione delle istituzioni per leggere – e anticipare – i profondi mutamenti in corso.
Una popolazione che cambia: natalità, migrazioni, famiglie
Il cuore dell’intervento di Chelli è stato incentrato sull’analisi dei principali fenomeni demografici – natalità, mortalità, flussi migratori e trasformazioni familiari – che, secondo l’Istat, devono essere considerati in modo integrato per comprendere appieno la portata del cambiamento.
I dati raccolti e diffusi dall’Istat permettono di progettare interventi mirati nei settori chiave: natalità e sostegno alle famiglie, sanità, scuola, infrastrutture. “Queste informazioni – ha sottolineato il numero uno dell’Istituto – sono fondamentali anche per contrastare le disuguaglianze territoriali e per gestire in modo sostenibile le dinamiche migratorie”.
I dati 2024: una fotografia provvisoria, ma significativa
Durante l’audizione, il Presidente Istat ha anche richiamato gli ultimi dati pubblicati il 31 marzo e riferiti all’anno 2024. Si tratta, come da prassi, di dati ancora provvisori, che saranno consolidati nella seconda metà dell’anno. “Questa prima sezione del nostro rapporto – ha specificato – rappresenta comunque la fotografia demografica più recente disponibile del Paese”.
“I comportamenti e le aspirazioni dei giovani rappresentano un indicatore prezioso delle tendenze future. Le politiche pubbliche non possono prescindere da questo tipo di analisi”, ha sottolineato il presidente dell’Istat.
“Il progressivo invecchiamento della popolazione e la riduzione della forza lavoro attiva – ha spiegato Chelli – pongono interrogativi rilevanti in termini di sostenibilità del sistema produttivo e previdenziale.” A conclusione dell’audizione, il presidente Istat ha presentato le più recenti previsioni demografiche rilasciate lo scorso luglio. Proiezioni che confermano una tendenza alla progressiva diminuzione della popolazione residente, accompagnata da un marcato invecchiamento della struttura per età.
Maggino (ONV): “Interrogativi cruciali per il futuro del Paese”
A far da eco all’Istituto anche Filomena Maggino, ordinaria di Statistica sociale presso l’Università La Sapienza di Roma e coordinatrice del dipartimento di Statistica dell’Osservatorio della natalità e della vita (ONV).
“I dati pubblicati dall’Istat sui principali indicatori demografici dell’anno 2024 evidenziano una realtà allarmante: il calo delle nascite e della fecondità in Italia ha raggiunto livelli storicamente bassi. Questo fenomeno, che si sta consolidando nel tempo, solleva interrogativi cruciali per il futuro del nostro Paese”.
“I dati mostrano che, sebbene gli italiani vivano più a lungo, la qualità di questa vita, in particolare quella riproduttiva, rimane insufficiente, con un impatto diretto sui comportamenti di vita e sulla salute delle giovani generazioni”, spiega la docente.
La fecondità tra gli immigrati, considerata come possibile soluzione alla crisi demografica, ha prodotto gli stessi modelli riproduttivi della popolazione italiana: stipendi troppo bassi e immigrati che rinunciano anche loro a costruire famiglie stabili con figli. Per un declino che, anche in assenza di politiche sociali ed economiche atte a rallentarlo, pare ormai inarrestabile.
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