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Csm, Ermini in memoria di Livatino, modello per la magistratura

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Csm, Ermini in memoria di Livatino, modello per la magistratura

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giovedì 06 Maggio 2021

Le parole del vicepresidente del Csm, David Ermini, alla cerimonia di presentazione del docufilm su Rosario Livatino. Il ricordo anche del presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti.

“La credibilità esterna della magistratura nel suo insieme ed in ciascuno dei suoi componenti è un valore essenziale in uno Stato democratico, oggi più di ieri”. Lo sottolinea il vicepresidente del Csm David Ermini alla cerimonia di presentazione del docufilm su Rosario Livatino, citando le parole dello stesso magistrato. “Livatino tutto questo lo ha testimoniato con la vita. Livatino è il modello a cui ciascun magistrato ha il dovere di ispirarsi per guadagnarsi la fiducia dei cittadini, fonte primaria ed esclusiva della legittimità del suo agire”, aggiunge Ermini, parlando alla presenza del capo dello Stato.

Alla cerimonia al Csm sono presenti anche la ministra della Giustizia Marta Cartabia e il presidente della Cei cardinale Gualtiero Bassetti. Il docufilm è stato realizzato da Tv 2000  in collaborazione con il Centro per la cultura e la Comunicazione dell’Arcidiocesi di Agrigento  e andrà in onda il 9 maggio ,giorno della beatificazione del magistrato ad Agrigento. E’ intitolato “Picciotti, che cosa vi ho fatto”, la frase rivolta ai suoi assassini dal guidice. Sarà il primo magistrato beato nella storia della Chiesa, come ricorda Ermini, che riassume il suo insegnamento di uomo e  magistrato “esemplare” nell ‘”essere credibili”.

“Un uomo semplice e misericordioso – dice ancora di lui – e insieme determinato e coraggioso. Un magistrato schivo e per nulla carrierista e insieme rigoroso e tenace. Capace, da sostituto procuratore, di condurre delicate indagini contro la mafia e gli intrecci corruttivi con politici e imprenditori e di colpire duramente le cosche agrigentine confiscandone i beni”. Poi il vice presidente torna a citare direttamente Livatino, ricordando la sua idea dell’essere magistrato.

“L’indipendenza del giudice – diceva Livatino – non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttora consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività”.

Quella del giudice Livatino, ha ricordato Bassetti, è “una beatificazione che avviene, come è noto, in una ricorrenza di grande significato: il 9 maggio del 1993 papa Giovanni Paolo II nella messa celebrata nella Valle dei Templi lanciò un durissimo monito contro la mafia colpevole di ‘calpestare il diritto santissimo di Dio’ e di ‘uccidere’ vite innocenti”. “Ancora oggi – ha proseguito – sento vibrare nel mio cuore quel grido rivolto ai mafiosi con cui concluse la sua omelia: ‘Convertitevi! Una volta verrà il giudizio di Dio!'”.

Secondo il presidente della Cei, “le parole che sono state pronunciate dai pontefici sulle organizzazioni malavitose sono chiarissime. E a quelle di papa Wojtyla vorrei aggiungere le parole magisteriali di Francesco che a Sibari, nel 2014, disse non solo che la malavita ‘è adorazione del male e disprezzo del bene comune’ ma che, soprattutto, quegli uomini che ‘vivono di malaffare e di violenza’ non sono in comunione con Dio e quindi ‘sono scomunicati'”.

“La malavita organizzata – la possiamo chiamare mafia, camorra, stidda – non è quindi una criminalità comune ma è un’organizzazione feroce e, al tempo stesso, una forma di ateismo che si colora di tinte neopagane e di blasfeme citazioni cristiane. La malavita è inequivocabilmente fonte di morte: morte della società, morte del territorio, morte dell’anima delle persone”, ha sottolineato il card. Bassetti. E “le organizzazioni criminali per realizzare i loro progetti creano un clima di paura che sfrutta la miseria e la disoccupazione, la disperazione sociale e l’assenza della certezza del diritto”.

“Proprio per questo è assolutamente necessaria la presenza dello Stato – ha detto ancora -. Una presenza forte, autorevole e soprattutto educativa. Come quella di Rosario Livatino”. “Rosario Livatino – ha aggiunto Bassetti – è stato un appassionato difensore della legalità e della libertà di questo Paese. Un autentico rappresentante delle istituzioni che è riuscito a incarnare la certezza del diritto e anche la cultura morale dell’Italia profonda: di quell’Italia che non si arrende  alle ingiustizie e alle prevaricazioni, e che non cede agli ignavi e a coloro che si adeguano allo status quo: anche quando lo status quo è rappresentato dalla mafia”.

“Senza alcun dubbio, Rosario Livatino è stato un
piccolo e giovane uomo ma, al tempo stesso, è stato un gigante della verità. Un
uomo che ha incarnato il Vangelo delle Beatitudini perché egli aveva ‘fame e
sete di giustizia’”, ha osservato. Livatino ci lascia dunque una preziosa
eredità civile e un altrettanto importante eredità spirituale – ha concluso il presidente
della Cei -. Il suo martirio parla alla Chiesa e all’Italia intera. Ma
soprattutto parla alle giovani generazioni: a coloro che non sono ancora
compromessi e che possono, anzi, devono resistere, con tutta l’energia e il coraggio
della gioventù, alle false lusinghe malavitose”.

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