Per quanto stavolta non ci sia una contestazione formale, la politica e la criminalità organizzata tornano a incrociarsi nell’inchiesta che oggi ha portato all’arresto di una quarantina di persone tra le province di Catania e Messina.
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A distanza di poche settimane dall’arresto del deputato regionale Giuseppe Castiglione (Mpa), ancora una volta sotto la lente dei magistrati sono finite le elezioni regionali del 2022 e il presunto interessamento da parte dei clan nella raccolta del consenso. Nello specifico si tratta dei Cintorino, cosca che rappresenta un’articolazione dei Cappello lungo la costa ionica, i cui componenti si sarebbero mossi per sostenere una candidata della Democrazia Cristiana.
In questo caso, tuttavia, i condizionali sono oltremodo necessari per questioni che vanno oltre il consueto garantismo. Numeri alla mano, infatti, l’impegno elettorale da parte dei soggetti indiziati di essere mafiosi avrebbe sortito modesti effetti: con 246 voti, la candidata è finita terz’ultima nella lista del partito guidato da Totò Cuffaro, che al Quotidiano di Sicilia chiarisce: “Non so chi sia, non l’ho mai vista né sentita”.

Moglie di un condannato
La ricerca dei voti sarebbe andata a favore di Angela Reale. La donna – il cui telefono è stato sottoposto a intercettazione durante il corso delle indagini, ma nei cui confronti la procura non ha ritenuto di formulare accuse – è risultata gestire un patronato a Catania. A spingere per la sua candidatura, stando a quanto ricostruito nell’ordinanza firmata dalla gip Simona Ragazzi, sarebbe stato soprattutto il marito Ferdinando Di Mauro (non indagato).
Di Mauro, a inizio anni Duemila, è stato condannato per associazione mafiosa, in quanto ritenuto legato al gruppo criminale che nel Siracusano fa capo ai Cappello. Nell’ordinanza si sottolinea che tra i due coniugi a mostrarsi più coinvolto nella campagna elettorale sarebbe stato proprio Di Mauro, mentre Reale viene definita quasi timorosa davanti alla sfida politica.
Principale referente della coppia sarebbe stato il 45enne Riccardo Pedicone. L’uomo, nativo di Catania ma residente a Giardini Naxos, è ritenuto essere un esponente dei Cappello, con molteplici legami nei centri che confinano con la provincia di Messina. È questa la zona che storicamente è controllata dai Cintorino.
Pedicone è un volto noto alle cronache giudiziarie. Nel 2020 è stato tra i protagonisti della sparatoria avvenuta a Librino tra i clan Cappello e Cursoti Milanesi e che portò alla morte di due persone. Per quei fatti, il 45enne è stato condannato in appello a dieci anni per tentato omicidio e porto e detenzione di armi. Per la gip, non ci sono dubbi che Pedicone sia un “soggetto di spessore” del clan Cappello, forte anche della parentela che lo lega al braccio destro di Mario Pace, boss dei Cintorino che si trova in carcere in regime di 41bis. A parlare del 45enne sono stati diversi collaboratori di giustizia ed è a lui che Ferdinando Di Mauro si sarebbe rivolto per allacciare contatti che potessero impegnarsi a sostenere la candidatura della moglie.
“Le attività concernenti tale vicenda disvelano i contatti qualificati del Pedicone, il riconoscimento della sua figura in ambienti criminali e la sua notorietà negli ambienti catanesi, al punto da ritenere che lo stesso potesse assicurare, nella sua qualità, unitamente ad altri esponenti della stessa area criminale, il necessario appoggio elettorale”, è la tesi sostenuta nell’ordinanza. Nelle settimane che precedettero le ultime Regionali – si votò a settembre del 2022 – Pedicone contattò diverse persone in qualche modo legati o vicini alla criminalità organizzata. Tra questi anche la compagna di Orazio Pardo, esponente di primo piano dei Cappello. Alla donna – stando alla ricostruzione degli inquirenti – Pedicone avrebbe chiesto di fare da tramite con Pardo per capire se quest’ultimo concordasse sull’opportunità di sostenere la candidata della Dc. “Però digli che tutto torna”, è una delle frasi intercettate dagli investigatori.
“Mai partecipato al partito”
A prendere le distanze dai fatti finiti nell’indagine della procura etnea sono i vertici della Democrazia Cristiana. “Non ho mai conosciuto questa signora, le candidature sono state valutate dai responsabili provinciali”, dichiara Totò Cuffaro al Quotidiano di Sicilia. Sulla vicenda si esprime anche Piero Lipera, segretario provinciale della Dc. “La proposta di candidare Angela Reale è stata fatta da un nostro ex dirigente, passato oggi al Mpa. Io posso dire che Reale non ha mai partecipato alle nostre attività, se la incontrassi non credo che saprei riconoscerla – commenta Lipera –. A tutti i candidati abbiamo chiesto casellario giudiziario e carichi pendenti, e da questo punto di vista la posizione di Reale era quella di un soggetto candidabile”.
In merito ai legami con il marito, Lipera aggiunge: “Non so se nel compilare la dichiarazione antimafia siano state fatte omissioni, noi come partito ci siamo allineati alla normativa nazionale chiedendo casellario e carichi pendenti”.

