Sulla carta si memorizza meglio
Ritorniamo sulla questione di fondo e cioè sulla capacità dei/delle cittadini/e di pensare con la propria testa e non con quella degli altri. Perché ciò accada è necessario che essi/e leggano, leggano e leggano; apprendano, apprendano e apprendano; conoscano, conoscano e conoscano.
Qualcuno obietterà che la conoscenza si acquisisce anche con l’udito o con altre forme secondarie. È vero, ma quella che si memorizza di più passa attraverso gli occhi, perché vi è una connessione tra questi e quella parte del cervello che è il serbatoio delle informazioni.
Leggere: che cosa e su che cosa? È evidente, come sostengono la Columbia University e la Harvard University, che bisogna leggere sulla carta perché si memorizza abbastanza bene, mentre quando si legge sugli schermi digitali non si memorizza quasi niente.
Non è un caso che l’iniziativa di Amazon di trasferire su video i libri digitali è fallita perché quasi nessuno li legge.
Vi è un terzo cespite che incrementa la cultura e quindi aiuta a capire come funziona il mondo: il cinema, ovviamente a seconda dei film.
Per queste ragioni il ministero della Cultura e il suo titolare, Alessandro Giuli, dovrebbero non solo finanziare Cinecittà e dintorni, ma anche gli editori che pubblicano i quotidiani di carta e quelli che pubblicano i libri. Allo stato, però, non sembra che il ministro abbia preso in considerazione queste altre due gambe del tavolino della Cultura, ma è ovvio che esso non si regge solo su una gamba; ha bisogno almeno di tre di esse, che sono appunto il cinema, i libri e i giornali di carta.
Ora, per produrre i film vi sono costi, per produrre i quotidiani di carta vi sono costi e per produrre i libri vi sono costi. Mentre i film e i libri non vengono utilizzati da altri mezzi di comunicazione per fare informazione, i giornali di carta sono usati ogni mattina da decine di reti televisive nazionali, regionali e locali per fare la cosiddetta rassegna stampa. Di fatto, le emittenti televisive utilizzano gratis il prodotto che agli editori costa, cioè i quotidiani. Questo è profondamente iniquo.
Gli editori televisivi sostengono di fare informazione con le rassegne stampa, ma dimenticano che i prodotti da loro rassegnati costano agli editori e non possono essere utilizzati gratuitamente.
La questione è stata più volte posta all’attenzione degli editori delle reti televisive, ma fino ad oggi non si è giunti a nessuna apertura, per cui, prima o dopo, gli editori dei quotidiani si decideranno a non inviare più i propri giornali alle televisioni, dopo di che vogliamo vedere come faranno costoro a riempire ore e ore di trasmissione mancando la materia prima, cioè i giornali.
Qui non si tratta di fare guerra fra gli editori di un settore e quelli di un altro, ma di seguire la regola, anche etica, secondo cui chi ha costi deve obbligatoriamente ricevere ricavi, perché i costi, oltre che per la produzione, sono anche per i/le giornalisti/e, gli/le altri/e dipendenti e per altre incombenze necessarie per produrre i giornali di carta.
Alle/ai cortesi lettrici/tori potrà sembrare che quest’editoriale sia di parte, ma non è così perché non è nostro costume prendere le difese di questo o di quello, di cui non c’è bisogno, bensì prospettare alla valutazione di chi legge situazioni, affinché possano valutarle.
Alle/ai consumatrici/tori poco importa chi produce cosa, quindi le regole non riguardano le/gli stesse/i. Tuttavia, all’interno dei fornitori dell’informazione non vi possono essere diseguaglianze né iniquità, per cui bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.
Ricordiamo che la “Cultura è libertà” e la Cultura si forma soprattutto utilizzando i mezzi di informazione e i libri di carta, oltre ad altre fonti di conoscenza.
Detto ciò, vogliamo aggiungere che l’informazione ricevuta dev’essere poi memorizzata e collegata. In altri termini, un/a lettore/trice non può leggere passivamente, ma attivamente perché, mentre legge, deve riuscire a collegare le informazioni che gli pervengono con quelle che già possiede, in modo da tessere una tela che gli consenta di capire come funzionano le cose e anche di valutare se chi gestisce una Collettività si sta comportando secondo i principi etici e i propri doveri.
La questione è elementare, direbbe Watson, basta volerla comprendere nella sua essenza, per poi agire bene.