"Cyrano mon amour": se cinema, teatro e vita si sposano - QdS

“Cyrano mon amour”: se cinema, teatro e vita si sposano

Giuseppe Lazzaro Danzuso

“Cyrano mon amour”: se cinema, teatro e vita si sposano

domenica 28 Aprile 2019

Il regista Michalik narra, tra accurate ricerche storiche e meravigliose invenzioni, come Rostand creò il suo affascinante personaggio, con lo sfondo della Ville lumiere, la Parigi delle ballerine di can can

“Il teatro è morto”.

Così, commenta, sconsolato, il poeta Edmond, raccontando alla moglie della nuova meraviglia dei fratelli Lumiere, che spopola in quella Parigi della fine del 1897.

Eppure, nonostante l’abbattimento per quella nuova tecnologia destinata apparentemente a divorare tutta la sapienza conosciuta – non vi sembra di leggervi qualche riferimento ai tempi d’oggi? – quel giovane di 29 anni e due figli stava per scrivere l’opera teatrale che, nei dodici successivi decenni, sarebbe stata la più rappresentata in Francia (ventimilamila recite) e avrebbe conquistato il mondo.

“Cyrano mon amour” è il titolo italiano del film (l’originale è “Edmond”) con cui il regista Alexis Michalik – anche lui un esordiente – ci narra, grazie ad accurate ricerche storiche e meravigliose invenzioni, come Rostand (interpretato da Thomas Soliveres) creò il suo affascinante personaggio, con lo sfondo della Ville lumiere, la Parigi fin de siecle delle ballerine di can can, dei manifesti del nano Lautrecht.

E di personaggi autentici come Georges Feyedau (interpretato dallo stesso regista), Sarah Bernhardt (Clémentine Célarié) o Anthon Cechov, e inventati come il nero Honoré (Jean-Michel Martial), padrone dell’omonimo Café e sorta di deus ex machina della vicenda.

Sarà proprio lui a suggerire a Edmond di utilizzare il dimenticato scrittore Cyrano De Bergerac come protagonista dell’opera ancora da scrivere. Che nascerà in versi alessandrini grazie all’inconsapevole collaborazione con la costumista Jeanne (una strepitosa Lucie Boujenah), innamorata di Leo (Tom Leeb), attore ricco di bellezza e poverissimo di poesia.

Sarà alla fine l’inconsapevole musa a consentire l’impossibile impresa di andar scena in tre settimane con un copione scritto in parte … per corrispondenza. Rischiando di mandare a monte il matrimonio di Rostand e della moglie Rosemonde (l’intensa Alice de Lencquesaing).

“Cyrano mon amour” è un film dalle mille sottotrame, animate da figure sempre brillanti e ironiche, anche vivono per lo spazio di poche battute. Come il servo di scena (Dominique Pinon) chiamato a recitare all’improvviso o i fratelli Fleury (Marc Andréoni e Simon Abkarian) produttori corsi proprietari di un bordello, ai quali il doppiaggio dona una curiosa inflessione tra il catanese e il partenopeo.

Un film che è anche un omaggio al mestiere dell’attore.
Constant Coquelin (il brillante Olivier Gourmet), indossato il nasone chiederà a Maria Legault, l’attrice che interpreta Roxanne, “E’ ridicolo?”.
“Ma no, idiota, sei magnifico!” risponderà lei. Pronunciando poi, nell’invitarlo ad andare in scena, una delle battute che rimangono più impresse, dell’intera pellicola: “Per noi attori non esiste il domani, esiste il pubblico, lo spettacolo, il momento”.

E siamo tutti attori, in questa vita, in attesa di una rappresentazione che ci dia finalmente un momento di gloria, un applauso. Cinema, teatro e vita si sposano così, in un curioso – e commovente – menage dando vita a una pellicola sicuramente da non perdere.

Così, tra continui colpi di scena raccontati con maestria e sfruttando quella preziosa dote che è l’ironia, il “Cyrano” debuttò, quel 27 dicembre del 1897, nel Théâtre de la Porte-Sain-Martin di Parigi davanti a mille e più spettatori, reclutati anche, per riempir la sala, tra puttane, alcoolizzati, frequentatori di bordelli.

Fu un successo straordinario: tanto che, si afferma, tre giorni dopo lo sconosciuto Edmond Rostand fu insignito nientemeno che della Legion d’onore.

Quella magica sera, due giorni dopo natale, gli attori si inchinarono davanti al loro pubblico che li chiamò tra gli applausi per ben quaranta volte.

E quaranta volte venne alzato e abbassato il sipario, fin quando non si decise di lasciarlo aperto.

I titoli di coda del film scorrono proprio a sipario alzato e proseguono con i documenti filmati di quello che sarebbe diventato il più grande successo non soltanto del teatro francese ma anche del cinema.

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