Ecco come ha vissuto durante i 30 anni di latitanza Matteo Messina Denaro, il sanguinario boss di Cosa nostra morto nella notte a L'Aquila
Il boss di Cosa Nostra, Matteo Messina Denaro, è morto nella notte nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore di L’Aquila dove era ricoverato ormai da giorni in coma irreversibile.
L’ex primula rossa di Castelvetrano è spirato all’età di 61 anni, dopo una lotta durata anni contro una grave forma di cancro al pancreas.
16 gennaio 2023. Ancor di più dopo la notizia del decesso del noto criminale, questa resterà una data storica per la giustizia italiana e per tutti coloro che credono fermamente in essa.
In quella matttina Matteo Messina Denaro, l’ultimo boss della generazione sanguinaria di Cosa nostra che seminò orrore e terrore negli anni ’90, venne arrestato a Palermo dai Carabinieri del Ros con un blitz alla clinica “La Maddalena”, dove il 60enne di Castelvetrano, sotto il falso pseudonimo di Andrea Bonafede, si curava per combattere il tumore. Un giorno, come detto, storico, in cui venne messa la parola fine a 30 anni di latitanza: lo stesso dell’arresto da parte del capitano Ultimo e della sua squadra di Totò Riina avvenuto il 15 gennaio del 1993.
Dai videogiochi alle lettere con l’amante: ecco come viveva da nascosto Matteo Messina Denaro
Per 30 lunghissimi anni, il super latitante Matteo Messina Denaro è sparito dalla circolazione, sfuggendo agli ergastoli comminatogli dalla Magistratura dopo gli innumerevoli e cruenti atti criminosi di cui “U siccu” si era reso autore durante la lunga “carriera” tra le fila di Cosa nostra.
Ma come ha vissuto il sanguinario boss trapanese durante il lungo periodo di isolamento dal mondo esterno?
Gli investigatori durante il corso delle indagini, hanno scoperto e ricostruito decine e decine di pizzini, attraverso cui è stato possibile scoprire come Messina Denaro trascorresse i suoi giorni da latitante. Dagli ordini impartiti ai suoi fedelissimi, alla corrispondenza appassionata con la sua amante Maria Mesi, fino ad arrivare alla passione per i videogiochi e alle discussioni “strategiche” con un altro dei capi mafia più importanti come Bernardo Provenzano.
Il pizzino più inquietante, tuttavia, resta quello con cui Messina Denaro “esaltava” le sue gesta: “Con tutti le persone che ho ucciso io, potrei fare un cimitero“.
“Amore mio, è uscita la cassetta di Donkey Kong 3: non vedo l’ora di comprartela”
Intenso, seppur a distanza, è stato il rapporto d’amore con Maria Mesi, la cui corrispondenza via missive è stata rinvenuta in casa di Filippo Guttadauro, cognato e ufficiale di collegamento tra Messina Denaro e i suoi parenti e affetti più stretti.
“Devo andare via e non posso spiegarti ora le ragioni di questa scelta. In questo momento le cose depongono contro di me. Sto combattendo per una causa che oggi non può essere capita. Ma un giorno si saprà chi stava dalla parte della ragione”, aveva scritto Messina Denaro alla Mesi, che nei pizzini si firmava e faceva chiamare Mari o Mariella e che fu uno dei più grandi amori del boss insieme alla giovane austriaca Andrea Hasleher e Francesca Alagna. Da quest’ultima ebbe anche una figlia nel 1996, Lorenza, che il boss raccontò ad un amico di non aver “mai conosciuto”, ma che fu ospitata insieme alla madre nella casa della “nonna” a Castelvetrano fino al 2013.
“Ti amo e ti amerò per tutta la vita – scrisse Maria Mesi a Matteo Messina Denaro – Dal profondo del mio cuore ti amo, ti mando tantissimi baci. Tua per sempre. Desidero tanto farti un regalo. Sai, ho letto che è uscita la cassetta di Donkey Kong 3 e non vedo l’ora che sia in commercio per comprartela. Quella del Secret of Mana 2, ancora non è arrivata…”.
Testimonianza, quest’ultime righe del pizzino, di come il boss avesse sviluppato negli anni un’intensa passione per i videogiochi con cui era solito trascorrere parte della sua routine quotidiana.
“Dii a tuo fratello che ha una figlia di 11 anni che sta iniziando a farsi domande sul padre”
I pezzi di carta ricostruiti in lunghi anni d’indagine dagli inquirenti fotografano la vita cui il boss si costrinse per sfuggire alle proprie colpe, fornendo il quadro di un’esistenza in fuga anche dalla propria famiglia.
“Devi dire a tuo fratello che ha una figlia che a dicembre ha compiuto 11 anni e che è arrivato il momento che qualcosa pure a lei la scriva – si legge in un altro pizzino rinvenuto – perché adesso la ragazzina inizia a fare domande sul padre e lui non può continuare a ignorarla come ha sempre fatto, dimenticandosi anche del compleanno della figlia”.
Il fratello, Salvatore Messina Denaro, tentò di trovare scuse alle mancanze di Matteo: «Si vede che nel posto in cui si trova non può scrivere, non può mandare nulla”.
Le discussioni tra Matteo Messina Denaro e Bernardo Provenzano
Seppur a distanza, Matteo Messina Denaro riuscì in tutti questi anni a comunicare anche con Bernardo Provenzano, almeno fino al momento dell’arresto l’11 aprile del 2006 in una masseria a Corleone.
“Io di ciò non dissi mai niente a lei perché capivo che si poteva solo mortificare della cosa e quindi ho preferito far morire il discorso. Ora glielo sto dicendo perché è lei stesso a chiedermelo…questo figlio del suo paesano morto sa di aver rubato soldi non suoi e di sicuro si è divertito a Roma, quello che non sa è che quei soldi erano destinati a famiglie di detenuti che hanno bisogno… Ripeto se lei non mi chiedeva non le avrei detto nulla, a volte certe cose è meglio non saperle così si evitano delusioni e dispiaceri ed erano questi che io all’epoca ho voluto evitare a lei”, discutevano i due a proposito di un delicato affare di Cosa nostra.
Proprio la mancata distruzione dei pizzini relativi alle loro conversazioni da parte di Provenzano, poi ritrovati dalle autorità, mandò su tutte le furie Matteo Messina Denaro, resosi conto della possibilità che gli inquirenti potessero da essi risalire alla sua figura.