Interviene al QdS il commissario capo Maria Ausilia Finocchiaro, funzionario responsabile della IV° sezione della Squadra Mobile di Palermo specializzata nella trattazione dei reati sessuali e in pregiudizio dei minori.
Dottoressa, qual è la situazione attuale?
“Siamo arrivati a quota 79 femminicidi dall’inizio del 2023. A fronte di 205 omicidi registrati nello stesso periodo è evidente che la percentuale è troppo alta. Il femminicidio è un fenomeno molto complesso per le sue radici culturali antiche, voglio ricordare che questa parola deriva da ‘femmicidio’, termine che in passato era utilizzato nei casi di omicidio di prostitute. Questo fenomeno non solo deve essere portato alla luce ma anche adeguatamente contrasto da una strategia globale e una pluralità d’interventi di natura differente. Contemporaneamente la necessità ravvisata è quella di strumenti normativi che abbiano una spiccata attività preventiva ma al contempo repressiva. In parallelo è più che mai necessario una forte collaborazione tra le forze di polizia, vittime ma anche istituzioni pubbliche e reti di associazioni al fine di sensibilizzare tutti gli operatori al fine di agire congiuntamente. Ovviamente non possiamo dimenticare i cardini del sistema educativo, ossia la famiglia e la scuola”.
Parliamo adesso di dati più complessivi riguardanti le violenze…
“Nel 2021 a fronte di 40.000 denunce di maltrattamenti, stalking, percosse e violenze sessuali, c’è stata l’emanazione di 4.200 provvedimenti tra ammonimenti e provvedimenti di allontanamenti dalla casa familiare, i femminicidi sono stati 119. È evidente che qualcosa funziona, non tutto evidentemente perché altrimenti questo dato sarebbe a zero. È evidente che l’evento tragico trova un riscontro mediatico più alto. Tutto è perfettibile e, sicuramente, c’è ancora molta strada da fare”.
Gli ultimi casi assurti agli onori, anzi ai disonori delle cronache hanno portato l’opinione pubblica a ritenere che lo Stato non intervenga tra la denuncia e l’evento tragico. Ci sono gli strumenti per salvaguardare le vittime?
“Senza entrare nel dettaglio di quanto è oggi ancora oggetto d’indagini, prima di instaurare un procedimento penale è possibile chiedere un ammonimento del Questore e, qualora la vittima non esprimesse la volontà querelatoria, in casi reiterati esiste l’ammonimento per violenza domestica che è applicabile anche non solo alla necessaria convivenza ma anche alle relazioni stabili. In alcuni casi è anche possibile procedere all’allontanamento dalla casa famigliare il coniuge violento”.
Qual è il supporto che è fornito alla vittima che decide di essere seguita?
“Esiste una rete di assistenza multi sfaccettata, a partire dai centri antiviolenza cui la vittima può ricorrere, alla possibilità di essere collocata in una struttura protetta che nella provincia palermitana il sistema è efficiente e veloce, nonché un percorso di supporto psicologico sia da parte dei contri antiviolenza sia da professionisti del settore specializzati. Per quello che riguarda il nostro intervento oggi grazie al progetto ‘Scudo’, siamo in grado di stigmatizzare gli eventi violenti avvenuti in passato e modulare, in caso di reiterazione di condotte violente, l’azione necessaria e valutare se il reato sia abituale”.
La donna non resta sola durante questa fase, quindi…
“Normalmente l’omicida riesce a intervenire nel momento in cui la donna è isolata, non lasciata sola. È anche possibile, a seguito del provvedimento di allontanamento, l’utilizzo di dispositivi di controllo elettronici. In caso d’improprio avvicinamento nelle nostre centrali operative scatta il c.d. allarme a cui possiamo dare seguito con un intervento diretto”.
Sono previsti supporti economici delle donne a seguito di una denuncia per violenza?
“Certamente. Non solo la possibilità di usufruire del ‘patrocinio gratuito’ per la fare processuale ma esiste anche il c.d. reddito di libertà, che anche per il 2023 è stato finanziato dal Governo e, nel caso specifico della Regione Siciliana, integrato da fondi regionali. Questo permette alle donne di non essere vittima del ricatto economico”.
Come funziona l’accesso alle strutture protette?
“Due sono gli ambiti d’intervento. Il primo sono le ‘stanze di accoglienza’, che permettono l’ascolto della vittima attraverso un sistema protetto che permette di entrare in empatia con una persona per permetterle di aprire le porte della sua sfera personale più intima. A Palermo abbiamo ‘La stanza di Aurora’ e ‘L’isola dei bambini’ perché troppo spesso i bambini sono vittima della violenza cui assistono. Tramite il sistema denominato ‘Ben-Essere’, una centrale operativa attivata dall’assessorato alle Attività sociali del Comune di Palermo, è possibile monitorare la disponibilità nelle varie strutture di ricezione al fine di procedere al collocamento in tempi rapiti. All’interno delle strutture, con le quali manteniamo un rapporto diretto, le vittime hanno a disposizione operatori specializzati e psicologi”.
Per quanto riguarda la Polizia di Stato, gli operatori che si occupano di queste tematiche sono formati in maniera specifica?
“Mentre per gli operatori che rispondono alla prima chiamata sono generici, gli operatori che seguono la prevenzione e il contrasto della violenza di genere sono formati ad hoc attraverso un corso che gli permette di acquisire competenze specifiche sia dal punto di vista relazionale sia dal punto di vista giuridico, anche per poter valutare l’eventuale reiterazione della condotta violenta e fornire il supporto più adeguato e valutare il quadro complessivo della situazione. Non le nascondo, però, che ogni operatore oltre alla formazione di cui parlavo è necessario possieda un’attitudine personale e deve avere a cuore la giustizia”.
In chiusura. Cosa fate, in concreto, per aumentare la sensibilizzazione del problema e a supportare la crescita culturale del contrasto alla violenza nei confronti delle fasce più deboli?
“Da un lato con il progetto ‘Questo non è Amore’, una campagna di educazione e sensibilizzazione e con la partecipazione attiva a incontri all’interno delle scuole, anche per far capire meglio alle donne cosa sia una condotta violenta, che spesso si concretizza con ricatti economici spesso non intesi come violenza”.