L’acceso dibattito degli ultimi mesi sulla questione dei dazi americani, imperniato sulle conseguenze economiche negative, soprattutto per i Paesi che più di altri hanno rapporti commerciali con gli Stati Uniti, tra i quali l’Italia e la Germania, dimostra come ci sia in atto una diffusa preoccupazione per le crescenti avvisaglie di deglobalizzazione.
Avvisaglie di deglobalizzazione
Alcuni analisti, tra cui Felix Zulauf, esperto di mercati finanziari, sostengono che la frenata alla globalizzazione imposta dal presidente americano Donald Trump rappresenti l’inizio della fine della libera circolazione di beni, uomini, idee e lo sfascio dell’Unione Europea, con i singoli Paesi sempre più indebitati e a rischio crollo. In un’intervista rilasciata alla Neue Zürcher Zeitung, Zulauf afferma che “Trump sta facendo esattamente ciò che aveva promesso prima delle elezioni”, cioè far ridiventare grande l’America, che per anni è stata “trattata in maniera ingiusta”, cercando di riportare la produzione industriale negli Stati Uniti e garantirne l’autosufficienza.
“Gli Stati Uniti – dichiara Zulauf – non aderiscono più alle regole concordate nel 1947, ma vogliono eliminare uno squilibrio che, a loro avviso, conduce a un vicolo cieco. La crisi odierna è dovuta agli obiettivi sempre più contrastanti di Asia, Europa e America. Trump ha compreso che gli Stati Uniti non possono più garantire la sicurezza del mondo perché sono finanziariamente eccessivamente oberati. Ciò significa che l’ordine mondiale unipolare Usa-centrico è finito e che il mondo ha bisogno di un nuovo ordine”.
I cinesi si sono fatti bene i loro conti
Nel frattempo, comunque, i cinesi si sono fatti bene i loro conti e hanno valutato le possibili conseguenze della politica commerciale trumpiana e si sono quindi ben preparati: hanno diversificato le loro esportazioni e aperto nuovi mercati. Gli europei, invece, ancora una volta stanno annaspando. Trump, insomma, con la sua politica dei dazi sta mantenendo le promesse fatte ai suoi elettori e sta facendo a pezzi la globalizzazione e l’Unione Europea. Un processo di profonda trasformazione dell’attuale modello di governance dell’economia globale, espressione di un declino che travalica quello dell’economia internazionale e rischia di compromettere la solidarietà sociale e i pilastri socio-culturali su cui si fondava.
Il “resto del mondo” vuole la globalizzazione
In tanti, però, sostengono che sta finendo solo la “Globalizzazione 1.0”, imperniata sull’America e sull’asse Usa-Cina, perché tutti gli altri, a partire dall’Europa fino al Sud-Est asiatico, hanno imparato la lezione e stanno dando vita alla “Globalizzazione 2.0”. Contrariamente a Trump, il “resto del mondo” vuole seguitare a godere dei benefici del libero commercio di smithiana memoria. Il “resto del mondo” vuole continuare, come sostengono gli economisti post-ricardiani, a selezionare importazioni, esportazioni e gli investimenti basandosi sulla convenienza comparativa su larga scala. Basti considerare l’insolita frenesia che interessa le cancellerie di tutto il mondo. Perfino Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, accusata di essere inadeguata e lenta, sembra essersi svegliata e si sta dando da fare: in poche settimane “si è impegnata a chiudere le trattative commerciali con il Mercosur (il mercato comune del Sudamerica che ‘vale’ 290 milioni di abitanti) vincendo le resistenze degli agricoltori francesi e italiani, ha ripreso il negoziato con l’Australia che era in stallo dal 2023 per una questione di import-export di carne, ha accettato la proposta del presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed al-Nahyan, per un’intesa che faciliti i commerci reciproci. L’obiettivo è stringere sempre più accordi di libero scambio: peraltro l’Ue ne ha già con 74 Paesi e il 44 per cento dei suoi commerci avviene per vie preferenziali. Ma non bastano mai per garantirsi ‘polmoni’ di export vitali per molti Paesi membri a partire da Italia e Germania”.
Il mondo ha cominciato a “resettarsi” per fare a meno di Trump
Sta di fatto che nel giro di pochi mesi il mondo ha cominciato a “resettarsi” per fare a meno di Trump. Se il tentativo andrà in porto, nella nuova globalizzazione potrebbe trovare luogo perfino la perdita di centralità del dollaro nella finanza mondiale. È il disegno ancora una volta dei cinesi. Secondo Brunello Rosa, economista formatosi alla Bank of England e oggi docente alla London School of Economics, “Pechino ha scelto la via della tecnologia, e sarà il banco di prova decisivo della sua conquistata leadership in questo settore. L’obiettivo è lanciare in grande stile lo yuan, la moneta cinese, in versione digitale, già oggetto di un’ampia sperimentazione in patria. Con l’occasione, la Cina vuole mettere a frutto la rete di alleanze della Nuova via della seta, che coinvolge ormai 150 Paesi per il 50 per cento del Pil mondiale e il 75 per cento della popolazione, nonché il suo sistema dei pagamenti Cips in sostituzione dello Swift, il sistema occidentale. Potrebbe essere una svolta pari al passaggio dalla sterlina al dollaro fra l’inizio e la metà del XX secolo”. Una configurazione che rappresenta “una fase di passaggio verso una riglobalizzazione selettiva, in grado di contemperare la riorganizzazione degli assetti geopolitici e il rilancio delle interdipendenze economiche internazionali con un legame inedito tra intervento pubblico e mercato”.
Questa è una delle possibilità per evitare all’umanità un destino drammatico, frutto dell’incertezza e della disgregazione, come quello del primo Novecento. Certo le guerre ancora in atto, specialmente in Ucraina e nella Striscia di Gaza, il pericolo di una ripresa dei nazionalismi e di una disarticolazione del quadro unitario maturato in risposta alle ultime vicende può comportare una regressione di non poca portata, a scapito di valori condivisi e di un disegno collettivo. Il direttore generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, già prima dei dazi imposti da Trump, in un lungo intervento su Globalizzazione e frammentazione, aveva evidenziato che elementi di frattura stavano iniziando a essere percepibili, portando a un rallentamento della globalizzazione (slowbalisation), scaturito anche da “un graduale cambio di rotta delle politiche, che nei paesi avanzati sono divenute meno incondizionatamente favorevoli alla libera circolazione di beni e persone”, sebbene sullo scenario mondiale “la riduzione della disuguaglianza realizzata negli ultimi decenni è stata in realtà straordinaria e il contributo della globalizzazione a questo fenomeno innegabile”.
La scelta dell’Unione Europea
La scelta dell’Unione Europea, condivisa in parte dall’Italia, di predisporre un indirizzo di autonomia strategica aperta potrebbe contrastare il processo di scomposizione che sembra delinearsi sul versante politico ed economico ma potrebbe non essere sufficiente senza una riproposizione più generale del multilateralismo e della cooperazione tra continenti e nazioni diverse tra loro.
Pina Travagliante
Professore ordinario di Storia del pensiero economico dell’Università degli Studi di Catania

