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Dazi Usa, regge la Sicilia dei prodotti “identitari”

Dazi Usa, regge la Sicilia dei prodotti “identitari”
Immagine di repertorio. Foto di Wolfgang Weiser su Unsplash

Cgia su dati Istat: l’export verso gli Stati Uniti in media crolla del 28,9%, ma il dato risente de tracollo dei prodotti petroliferi. Se si esclude Siracusa, il quadro complessivo cambia totalmente. Enna fa il boom di esportazioni: +582%

PALERMO – L’export della Sicilia verso gli Stati Uniti crolla del 28,9% nei primi nove mesi del 2025. È questo il dato che balza subito agli occhi guardando le statistiche sul commercio estero, elaborate dall’Ufficio Studi Cgia su dati Istat, proprio mentre il dibattito sui dazi americani entra nel vivo. Una flessione pesante, che rischia di alimentare letture semplicistiche e allarmistiche, ma che in realtà va interpretata con attenzione.

Dazi Usa e Sicilia: una regione spaccata in due

Dietro il numero complessivo si nascondono infatti dinamiche molto diverse tra territori e settori produttivi. Per capire cosa sta succedendo davvero, occorre partire da una domanda chiave: i dazi Usa stanno penalizzando la Sicilia? La risposta non è un sì secco. I dati raccontano piuttosto di una regione spaccata in due, con province in forte difficoltà e altre che, sorprendentemente, crescono anche nel mercato americano.

Il peso di Siracusa e del comparto petrolifero

Il calo complessivo dell’export siciliano verso gli Stati Uniti è infatti quasi interamente riconducibile a Siracusa, che registra un tracollo dell’88,5%, passando da 365 milioni di euro a poco più di 42 milioni. Un crollo che pesa enormemente sul totale regionale e che è legato soprattutto al comparto petrolifero e della raffinazione, settori strutturalmente fragili perché fortemente esposti alle oscillazioni dei mercati internazionali e alle strategie energetiche globali, più che ai dazi in senso stretto. Questo dato va inserito in un quadro più ampio.

Nel 2024 l’export complessivo della Sicilia si è attestato attorno ai 10 miliardi di euro, e quasi 4,7 miliardi – quindi poco meno della metà – erano legati ai prodotti petroliferi. Una concentrazione enorme. Nei primi nove mesi del 2025 la flessione complessiva dell’export regionale specificatamente per i prodotti petroliferi è stata del 2,6%, pari a circa 260 milioni di euro in meno. Ciò significa che oltre la metà della perdita dell’export totale in Sicilia è collegata a questo settore.

In altre parole, il petrolio continua a condizionare pesantemente la lettura complessiva dei dati. E questo anche perché la Sicilia resta troppo dipendente da pochi comparti industriali ad alta intensità di capitale e bassa capacità di adattamento, mentre fatica a costruire una base manifatturiera e agroindustriale ampia, articolata e resiliente.

Le province che crescono nonostante i dazi

Se si esclude Siracusa, il quadro cambia radicalmente. Diverse province siciliane mostrano segnali di crescita anche nel mercato americano, nonostante l’introduzione delle tariffe doganali. Enna è il caso più eclatante: le esportazioni negli Stati Uniti crescono del 582,4%, passando da 1,3 a 9 milioni di euro. Numeri piccoli in valore assoluto, ma molto significativi sul piano economico e simbolico, perché trainati dall’agroalimentare di qualità: miele, formaggi, conserve e prodotti tipici ad alto valore aggiunto. Bene anche Messina, che segna un aumento del 63%, raggiungendo i 122,5 milioni di euro, e Caltanissetta, che cresce del 58,6%.

Dati che raccontano una verità spesso sottovalutata: quando il prodotto è riconoscibile, di qualità e fortemente legato al territorio, il consumatore americano continua a comprarlo anche se costa un po’ di più.

In questi casi, l’impatto dei dazi viene assorbito dalla forza del brand e dalla percezione di eccellenza.

Export siciliano nel mondo: tra difficoltà e segnali positivi

Allargando lo sguardo all’export siciliano verso il resto del mondo, il quadro resta complesso ma meno negativo. Il totale regionale segna una flessione contenuta, attorno al 5,5%, ancora una volta appesantita dal calo dei poli industriali.

In controtendenza spicca Palermo, che registra una crescita mondiale del 160,6%, passando da 301 a 784 milioni di euro. Catania cresce del 10,3%, mentre Trapani segna un +15,8%. Questi dati aiutano a chiarire una distinzione fondamentale: la Sicilia industriale soffre, la Sicilia dei prodotti identitari regge. I dazi incidono di più sui grandi volumi e sulle filiere energetiche, molto meno sulle eccellenze agroalimentari e manifatturiere di nicchia.

Il confronto con l’Italia e le prospettive future

Il confronto con il resto d’Italia rafforza questa lettura. A livello nazionale, l’export continua a crescere (+3,6%), segno che il Made in Italy mantiene una forte capacità competitiva. Trieste guida la classifica delle province con un +1.080% negli Stati Uniti grazie alla cantieristica navale, mentre Firenze resta la prima provincia italiana per valore assoluto di export verso gli Usa, con 5,7 miliardi di euro, trainata dal farmaceutico.

Nel Mezzogiorno, Vibo Valentia cresce del 434,5% grazie a salumi e olio di alta qualità, in una dinamica molto simile a quella di Enna.

In conclusione, i dazi Usa rappresentano una sfida, ma non una condanna. La Sicilia continua a pagare la fragilità strutturale dei suoi comparti industriali e la dipendenza dal petrolio, ma dimostra anche che qualità, tipicità e valore aggiunto sono le vere armi per restare competitivi sui mercati internazionali. Una lezione chiara emerge dai numeri: non tutto l’export reagisce allo stesso modo alle barriere commerciali, e il futuro dell’economia siciliana passa inevitabilmente dalla diversificazione e dalla valorizzazione delle sue eccellenze.