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Decreto Ristori 5: indennizzi con nuovi criteri di calcolo. Automatismo a rischio

redazione

Decreto Ristori 5: indennizzi con nuovi criteri di calcolo. Automatismo a rischio

martedì 26 Gennaio 2021

Il decreto Ristori 5 amplierà la platea dei beneficiari, supererà il collegamento degli indennizzi all’andamento cromatico delle Regioni e legherà il calcolo delle perdite a un arco temporale più ampio

Il decreto Ristori 5 amplierà la platea dei beneficiari, supererà il collegamento degli indennizzi all’andamento cromatico delle Regioni e legherà il calcolo delle perdite a un arco temporale più ampio.

L’implementazione di un meccanismo con parametri di riferimento meno “grossolani” potrebbe però rallentare le operazioni di accredito: si “perde”, infatti, l’automatismo. Le modifiche sulla base di calcolo per individuare i destinatari e i nuovi criteri su cui misurare gli indennizzi hanno, infatti, bisogno di una nuova piattaforma per l’invio online delle domande. Ciò imporrà un ulteriore invio di dati da parte di imprese e autonomi beneficiari dell’indennizzo; dati che, si auspica, potranno essere autocertificati, ma che in ogni caso dovranno essere perlomeno verificati (asseverati?) dai professionisti che assistono le imprese.

La corsa a ostacoli per il via libera al decreto Ristori 5 rallenta scontrandosi con il tentativo di cambiare il paradigma di riferimento per il calcolo degli indennizzi.

Gli sviluppi della crisi politica stanno influenzato l’agenda per l’emanazione del Ristori 5; l’appuntamento per il via libera del Parlamento, previsto inizialmente per il 20 gennaio, è stato, infatti, ulteriormente rinviato alla del fine mese.

È inverosimile che, sul piano pratico, le metodologie di calcolo ipotizzate per ristorare professionisti, autonomi e imprese consentiranno ai nuovi aiuti di raggiungere i potenziali beneficiari prima di aprile. L’impianto, infatti, potrà diventare operativo solo dopo 60 giorni dalla conversione in legge del provvedimento.

Tutto ciò si traduce, per i liberi professionisti iscritti alle casse private, in un intero anno di agonia per l’accesso ai ristori, mentre per le altre partite IVA, un’attesa di almeno altri quattro mesi.Alle criticità tecniche e operative si aggiunge il tetto delle risorse disponibili in relazione all’ampliamento dei beneficiari tanto che, in viale XX settembre, sta prendendo forma l’ipotesi di splittare i 32 miliardi, provenienti dallo scostamento di bilancio in deficit appena varato dalle Camere, dedicandone la parte più consistente al tax credit. Le indiscrezioni mormorano anche di un possibile aiuto parametrato sui costi fissi sostenuti nel corso del 2020. Così facendo, tra l’altro, la disciplina italiana si sovrapporrebbe al Temporary Framework UE che, su questa materia, intende innalzare il tetto per gli aiuti di Stato da 800.000 a 3 milioni di euro.

Cambio di paradigma sugli indennizzi: limiti operativi

La saga dei ristori, sin dal suo esordio, ha rivelato alcuni punti deboli: gli indennizzi non hanno risarcito adeguatamente le partite IVA, non sono stati sufficientemente “perequativi”, tra i beneficiari non hanno contemplato gli iscritti alle casse di previdenza private, sono stati ancorati a perdite “puntuali” (aprile 19) e, nelle ultime versioni, anche all’andamento epidemiologico delle regioni.Il nuovo Ristori, ormai, è largamente confermato, amplia la platea dei beneficiari, supererà il collegamento delle agevolazioni all’andamento cromatico delle Regioni e legherà il calcolo delle perdite a un arco temporale più ampio.L’implementazione di un meccanismo che contempli parametri di riferimento meno grossolani corre il rischio di rallentare le operazioni di accredito. Nel cambio di paradigma si “perde”, però, uno degli aspetti che meglio avevano funzionato nella saga dei ristori: l’automatismo.

Le modifiche sulla base di calcolo per individuare i destinatari e i nuovi criteri su cui misurare gli indennizzi hanno, infatti, bisogno di una nuova piattaforma per l’invio online delle domande. L’auspicato cambio di modello imporrà, pertanto, un ulteriore invio di dati da parte delle imprese e degli autonomi beneficiari dell’indennizzo. Dati che si auspica potranno essere autocertificati, ma che in ogni caso dovranno essere perlomeno verificati (qualcuno parla di asseverati) dai professionisti che assistono le imprese.

I nuovi ristori dovrebbero, inoltre, rimborsare una quota dei costi fissi comunque sostenuti nei periodi di vigenza delle maggiori restrizioni, al netto delle voci già coperte dagli altri interventi agevolativi (ad esempio, CIG e IMU).È evidente che, dietro l’angolo, si annidano complicazioni operative che potrebbero prevedibilmente allungare i tempi effettivi di erogazione degli indennizzi dal momento che i dati definitivi sopraggiungeranno solo a partire da giugno con il deposito dei bilanci.

Le ipotesi allo studio prevedono che i ristori siano riservati a imprese e autonomi che hanno subito una contrazione del fatturato nel 2020 non più del 33% ma, secondo le ultime indiscrezioni, addirittura di un consistente 65%. È desumibile che le ragioni siano legate all’esiguità delle risorse stante l’ampliamento dei potenziali beneficiari: a uscire di scena, come anticipato qualche giorno fa, sarà, infatti, il riferimento all’elenco dei codici ATECO. Per non sconfinare oltre limiti del bilancio pubblico, ai consueti (esigui) “bonifici”, si affiancheranno anche consistenti crediti d’imposta in larga parte da utilizzare, sembrerebbe, per cancellare le tasse ancora da pagare.

L’idea che si fa prepotentemente strada, tra i tecnici del MEF, è quella di contenere l’entità degli indennizzi erogabili con bonifico sul conto corrente attraverso una compensazione commisurata all’entità delle tasse sospese.

In altre parole, se un esercente ha diritto a 1.000 e ha cartelle o debiti fiscali pregressi per 500 si vedrà erogato sul conto corrente la sola differenza pari a 500. Il meccanismo descritto pur avendo la sua logica, corre il rischio di proporre (imporre) un’inedita destinazioneindirettamentevincolata dell’indennizzo.

Pace fiscale “selettiva”

In questo contesto particolarmente “liquido” (per dirla alla Bauman) al Consiglio dei Ministri in programma per il fine settimana debutterà il secondo capitolo della sospensione delle cartelle fiscali.

L’attuale sterilizzazione ha bloccato, sul filo di lana, gli atti del fisco solo fino al 31 gennaio. Per i 34 milioni di cartelle e i 16 milioni di avvisi congelati, tuttavia, il tempo corre e per questo i tecnici del MEF ipotizzano una nuova moratoria che, per allinearsi alla durata attuale dello stato di emergenza, potrebbe essere fissata al 30 aprile.

La tanto attesa pace fiscale dovrebbe coinvolgere solo i contribuenti significativamente danneggiati dall’emergenza pandemica. I lavori in viale XX Settembre sono in parte ostacolati dalla crisi dell’Esecutivo, ma è necessario che il nuovo decreto venga ad ogni costo approvato entro fine mese.

Ora dopo ora, diventa sempre più verosimile, a tal riguardo, l’ipotesi che il decreto Ristori 5 preveda misure di rottamazione e saldo e stralcio degli atti impositivi circoscritti ai contribuenti “morosi incolpevoli”. L’ipotesi che sta prendendo piede è quella di una pace fiscale “selettiva” rivolta, pertanto, alle partite IVA che hanno registrato, a causa della pandemia, un consistente crollo del proprio fatturato.

Decreti attuativi: l’interminabile attesa degli autonomi

In attesa che prenda corpo il Ristori quinquies, l’ultima legge di Bilancio ha, in effetti, introdotto una serie di interventi dedicati agli autonomi: una nuova indennità straordinaria di continuità reddituale (ISCRO), l’anno bianco per le partite IVA e l’ampiamento degli stanziamenti per l’assegno unico familiare. Le misure citate, tuttavia, attendono ancora decreti attuativi e istruzioni operative prima di essere realmente efficaci, lasciando così i professionisti ancora una volta al palo.

I riflettori sono sempre più puntati sulla incerta sorte dei lavoratori dipendenti al termine della proroga del divieto dei licenziamenti dimenticando, però, il destino di migliaia di lavoratori indipendenti che rischiano di essere, nei prossimi mesi, espulsi dal mercato. I dati contenuti nel V Rapporto sulle libere professioni 2020, curato dall’Osservatorio libere professioni di Confprofessioni, tratteggiano un quadro drammatico: sono quasi 500.000 le domande autorizzate dalle Casse di previdenza professionali per accedere alle indennità introdotte dal decreto Cura Italia. Numeri che raccontano di un “settore economico estremamente polarizzato, ma anche fortemente penalizzato da decisioni politiche inique” tra le quali, ad esempio, l’annosa vicenda sull’equo compenso e l’aver negato, alle professioni Ordinistiche, l’accesso, sino ad oggi, ai contributi a Fondo Perduto.

La pandemia ha evidenziato, tra le altre cose, il grande divario assistenziale e di tutele tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi. L’Indennità di continuità reddituale e operativa (ISCRO), su questo aspetto, segna indubbiamente un passo in avanti nella giusta direzione, anche se potrà dare gli sperati frutti solo se in futuro verranno previste ulteriori misure rafforzative.

lavoratori autonomi in Italia sono in netto calo negli ultimi anni e, difatti, si è passati dai 6 milioni del 2010 ai 5 milioni di autonomi “attivi” di quest’anno e non tutti potranno accedere all’ISCRO. È questa la principale criticità del nuovo strumento: la platea di lavoratori autonomi, a cui si rivolge, è fortemente condizionata dai requisiti di accesso. Potranno richiederla, invero, solo i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata dell’INPS e non anche i professionisti iscritti alle “casse ordinistiche”, come ad esempio, medici, architetti, giornalisti e avvocati.

Daniele Virgillito

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