La Sicilia è terra tanto di inestimabile bellezza, quanto di devastanti calamità naturali. Tra queste, certamente i terremoti sono impressi nella mente di ogni isolano, sia nei tempi recenti, ma citerei quello della notte di S. Stefano del 2018, di cui ancora nel catanese si contano i danni – sia nei tempi più antichi.
Giuseppe Pitrè, grande raccoglitore del folklore siciliano, nella sua “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane” cita in vari modi terremoti e catastrofi, attingendo a quella superstizione popolare che ne tenta di spiegare l’origine. Così, tra le figure più interessanti vi è certamente quella di Mazzamareddu, diavolo specializzato nella devastazione per mezzo di trombe d’aria, tempeste, maremoti e, naturalmente, terremoti. Il demone “devasta, distrugge, uccide, trasporta a lunghe distanze; sicché il danno, e le carestie che ne sopravvengono generino la bestemmia, il furto, le crudeltà e le frodi di ogni specie”. È anche specializzato nell’eccitare gli assassini a compiere il delitto, aizzando poi i venti della zona.
Il popolo siciliano, tuttavia, non è tipo da lasciarsi sopraffare dalle disgrazie, anche se causate dai diavoli: è così che, nell’arte del saper cogliere il frammento della vita e dell’opportunità anche nei momenti più bui, terremoti e calamità possono divenire “grande vivaio di numeri”, dice Pitrè, da giocarsi a lotto (53, 61 o 89 sulla base della situazione; 18 per la smorfia napoletana).
Si noti, infine, la particolare epistola dalla raccolta aneddotica “Avvenimenti faceti”, che testimonia la capacità di rialzarsi dalle disgrazie andando avanti: “Credeva scrivervi morto, e vi scrivo vivo per il gran terremoto, che ci hà stato; che se avesse durato altre due ore, saressimo tutti in paradiso, che Dio ci liberi. Qui li porci al mercato sono saliti tutti al Cielo [nel senso di ‘risaliti di prezzo’ (n.d.r.)]. Io solamente vi invio qui acclusa un poco di sasiccia fatta colle mie mano salvaggine”.

