PALERMO – Per il caso della diga Trinità si corre contro il tempo, e soprattutto contro delle valutazioni trasmesse dal Dipartimento regionale dell’acqua e dei rifiuti che presentavano incongruenze e contraddizioni. Così sono state recepite dalla Direzione dighe e quindi dal Ministero delle infrastrutture che ha inevitabilmente disposto un provvedimento di messa fuori esercizio che costerebbe, qualora pienamente attuato, la sopravvivenza di tutto il tessuto agricolo e quindi sociale cui l’invaso a uso irriguo fornisce acqua. Inerzia, incongruenze e contraddizioni nelle valutazioni costate parecchio alle casse della Regione e infine anche rilevazioni di scarsa manutenzione all’impianto diga già rivelati dal Quotidiano di Sicilia nell’inchiesta pubblicata ieri.
La nomina del commissario Cocina e le prime verifiche
La vicenda però non risparmia sorprese, e più si scava tanto più ne vengono fuori. Letteralmente. Perché l’intervento del commissario ad acta, nominato il 6 febbraio dal presidente della Regione per risolvere i gravi fatti in oggetto, tra le altre cose ha rivelato dei sistemi di canalizzazione delle acque che prima erano nascosti. Un sistema, in abbandono, che contribuisce a far defluire le acque dal bacino in maniera controllata e quindi a ridurre il pericolo. Questo lo dice il commissario ad acta stesso, l’ingegnere Salvo Cocina, capo della Protezione civile siciliana, sentito ieri per ulteriori chiarimenti sulla diga.
Cocina era stato nominato da Renato Schifani per una serie di valutazioni di rilevata gravità, secondo la Presidenza della Regione che alle suddette rilevanze aggiungeva “indifferibili e urgenti motivi a tutela della pubblica e privata incolumità e per scongiurare ulteriori emergenze”. Bisognava agire in somma urgenza e così pare si stia procedendo. La prima cosa da fare era quindi nominare immediatamente un perito che potesse rivalutare le condizioni del corpo diga e degli impianti correlati per rimettere in gioco il procedimento di messa fuori esercizio adottato dal Mit. Questo è stato individuato nell’ingegnere Salvatore Miliziano, che già lunedì ha esperito i primi rilevamenti.
“La diga – spiega al QdS l’ingegnere Cocina – è stata trovata in scarse condizioni manutentive, però le condizioni generali dei manufatti e dei cunicoli sembrano buone”. Condizioni che per fortuna, secondo il commissario, “non fanno pensare a situazioni di incombente pericolo, come da documentazione e calcoli che erano stati fatti”. Come da conclusioni della Direzione generale per le dighe, spiega il commissario nominato dal presidente Schifani, le valutazioni trasmesse al Mit sono in parte contraddittori, “vogliamo quindi rivedere le valutazioni e chiedere alla Direzione dighe di non mettere fuori esercizio la diga Trinità”.
Si procede spediti quindi, correndo contro il tempo per scampare il completo svuotamento dell’invaso come disposto da Roma. “Sono già state fatte ulteriori verifiche dal nostro consulente – dice Cocina – e abbiamo già un tavolo tecnico programmato con la Direzione dighe di Roma nei prossimi giorni, comunque a breve”. Anni di indagini, di studi e calcoli sono stati eseguiti, ma “cosa non ha funzionato – dice Cocina – ancora non glielo so dire, solo che la conclusione era per certi aspetti catastrofica e quindi ha indotto la Direzione dighe a mettere fuori esercizio la diga Trinità”.
Per rivedere la chiusura, e riaprire il tavolo tecnico con la Direzione dighe che si potrebbe svolgere già il prossimo lunedì, si è speso personalmente Renato Schifani. “Abbiamo già ottenuto la riapertura del dialogo – conferma appunto il commissario Cocina – perché si è mosso direttamente il presidente Schifani con il ministro”. Sul tavolo, ancora prima delle valutazioni tecniche che arriveranno, ci sarà l’impatto sociale della diga in caso di completo raggiungimento del fuori esercizio.
Ad invaso svuotato e diga aperta, se non dovessero esserci precipitazioni nei mesi estivi, si arriverebbe a quel “irrimediabile danneggiamento dei vigneti e degli uliveti e il collasso di diverse aziende agricole con gravissime conseguenze socio economiche per l’intero territorio” già paventato dai sindaci dei comuni interessati lo scorso 28 marzo. La diga è attualmente aperta, in condizioni di sicurezza, e quindi c’é un notevole flusso di acqua che attraverso il fiume Delia finisce in mare. La Direzione dighe ha stabilito la quota massima a 50 metri sul livello del mare, e a 54 metri scatta la condizione di pericolo. Queste, conferma Salvo Cocina, “sono le quote cui si dovrebbe arrivare nel caso di fuori esercizio, ma in via transitoria perché la quota definitiva è il fuori esercizio”.
Il piano strategico per salvare la diga Trinità
Il piano strategico di intervento descritto da Cocina per salvare la diga si articola in tre fasi ed al momento, per gli interventi immediati da fare nella prima fase, il commissario dispone di risorse nell’ordine di mezzo milione di euro. Copertura finanziaria immediatamente disponibile perché in capitoli di bilancio della Protezione Civile. “Il Drar però ha delle risorse, mi pare circa trecentomila euro – afferma il commissario – che potremmo eventualmente utilizzare, ovviamente sempre concordando tramite il tavolo tecnico che si riunirà a breve con la Direzione dighe, al quale stabiliremo un programma più preciso. Soprattutto ottenendo la riapertura del dossier, chiedendo appunto di rivedere il procedimento di messa fuori esercizio della diga”.
Se l’intervento di Salvo Cocina dovesse produrre la riapertura del dossier, quindi della diga, con nuovi rilevamenti e nuove valutazioni, da quanto abbiamo appreso sarà presumibile anche una attribuzione di responsabilità da parte della Regione siciliana e quindi conseguenze che qualcuno si dovrà assumere. Cadranno teste e forse anche i relatori delle conclusioni trasmesse al Mit pagheranno un prezzo che si conoscerà nei prossimi mesi.
Nel frattempo si lavora al salvataggio della diga: “Proporremo una quota di sicurezza condivisa in modo da avere anche solo un minimo d’acqua, mentre nella documentazione inviata non c’era questa assunzione di responsabilità”. Si potrebbe tornare ad una quota superiore ai 60 metri? “Si. Sessanta metri si, in questa prima fase. Ma ripeto, prevediamo diverse fasi, quindi potremmo recuperare anche un po’ di più. La prima fase però vuole salvare l’esistenza della diga per la quale c’é un provvedimento di fuori esercizio che dovrà essere rispettato. Salvare la stagione irrigua 2025 sarebbe un traguardo eccezionale onestamente”.

