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Disinteressati alla cultura e alla politica. I siciliani sono sempre più manipolabili

Disinteressati alla cultura e alla politica. I siciliani sono sempre più manipolabili

Istat: l’Isola tra le regioni in cui i cittadini si informano meno e di conseguenza si allontanano dalla Cosa pubblica

ROMA – Se libertà è partecipazione, come cantava Giorgio Gaber, allora vuol dire che la Sicilia è rimasta “schiava”. E che, al momento, non ha nemmeno intenzione di liberarsi. Secondo il recente studio “La partecipazione politica in Italia” dell’Istat, infatti, il popolo siciliano ha dominato nel 2024 la classifica delle regioni per il distacco dai temi politici. A precedere l’Isola solo la dirimpettaia Calabria.

L’andamento dell’interesse per la politica

Uno degli indici con cui misurare la qualità di una democrazia è rappresentato da quella che i politologi Ekman e Amna hanno definito come “partecipazione invisibile alla vita politica”. In poche parole, quanto il popolo si informa e discute della gestione della Cosa pubblica. Grazie all’indagine “Aspetti della vita quotidiana”, l’Istituto nazionale di statistica ha analizzato l’andamento dell’interesse per la politica in tutta Italia attraverso il monitoraggio di due indicatori (informarsi di politica e discuterne). La rilevazione dei dati è stata condotta su un campione di circa 24 mila famiglie e si è svolta nel primo trimestre del 2024.

Solo il 23,2% si informa quotidianamente di politica

I risultati sono evidenti: in Italia lo scorso anno solo il 23,2% di donne e uomini ha dichiarato di informarsi quotidianamente di politica; il 20,5% ha detto di farlo solo qualche volta a settimana; il 4,5% una volta a settimana. Di contro, il 29,4% ha affermato di non informarsi mai, il 9,7% di farlo qualche volta l’anno, il 10,9% qualche volta al mese. Le percentuali in positivo crollano sul fronte dell’abitualità a discutere di politica: il 6,3% degli italiani lo fa ogni giorno, il 17,9% più volte a settimana, il 4,7% una volta a settimana. Quasi specularmente, il 36,9% degli italiani non discute mai di politica, il 16% lo fa qualche volta l’anno o qualche volta al mese.

I valori più bassi di partecipazione politica invisibile riguardino i giovani fino a 24 anni

Preoccupante la constatazione per cui i valori più bassi di partecipazione politica invisibile riguardino i giovani fino a 24 anni e, in particolare, i giovanissimi: se per la fascia 14-17 anni solo il 16,3% dei ragazzi si informa almeno una volta a settimana, a fronte del 60,2% che non lo fa mai, poco più di un terzo dei ragazzi dai 18 ai 24 anni, invece, è solito informarsi ogni settimana, mentre “solo” il 35,4% di loro hanno dichiarato di non farlo mai. Altrettanto allarmante il divario, che in termini percentuali si è assestato all’11,6%, tra uomini, che si informano in misura maggiore, e donne.

Calo generalizzato della fetta di cittadini informati

Questi dati si inseriscono in un quadro di calo generalizzato della fetta di cittadini informati, voragine che si è ampliata sempre di più, anno dopo anno. Se, infatti, in generale, si era registrato un trend della curva orientativamente crescente fino al 2013, a partire da quel momento la tendenza è andata in senso contrario, verso una più o meno costante e inesorabile decrescita. Questo basterebbe per ritenere ragionevole credere che il contributo apportato dal Movimento 5 stelle non sia stato così determinante per rinvigorire un popolo sopito, colpevolmente o no. I grillini, infatti, che della partecipazione attiva alla vita pubblica avevano fatto il proprio stendardo, avevano raggiunto in tutto il territorio nazionale il migliore risultato elettorale nel 2018, quando il cambio di rotta della curva, in termini negativi, si era già consolidato.

Aumenta sempre più l’astensionismo alle elezioni

Nell’impossibilità di ancorare saldamente il fenomeno alla vita e allo stato di salute di un movimento o partito politico specifico, perché, dati alla mano, è altamente improbabile che qualcuno di questi possa intestarsi il merito di aver aumentato significativamente e in maniera strutturale la partecipazione dei cittadini alla politica, non resta che guardare in parallelo la crescita della disaffezione alla politica con l’aumento del “partito” che ha, in effetti, la maggioranza reale nel paese: l’astensionismo. Non è un caso, infatti, che alle elezioni politiche del 2022 abbia partecipato il 63,91% degli aventi diritto, mentre alle europee del 2024 solo il 48,31%. Al netto della differenza strutturale del tipo di consultazione elettorale, sembra essere indissolubile il legame di causa-effetto tra la riluttanza, endogena o esogena, degli italiani a informarsi e discutere di politica e le urne vuote.

La situazione nel Meridione

A rendere ancora “più fosche le tinte” è la situazione nel Meridione e, in particolare, in Sicilia. La distanza tra l’Isola e il Nord Italia sembra non essere solo geografica: più della metà dei friulani è solita informarsi almeno una volta a settimana, in Sicilia, invece, i valori si arrestano rispettivamente al 34,6%. Non è tutto: se a discutere di politica abitualmente sono quattro altoatesini su dieci, nell’Isola ci si ferma al 21,6%. Al contrario, sembra inossidabile e sempre più corto il “Ponte sullo stretto”. Se la Calabria detiene il primato assoluto di cittadini che non si informano (42,4%) né si confrontano (48,3%) su temi pubblici, i siciliani consegnano alla propria terra in entrambi i casi la medaglia d’argento. In Sicilia il 41,3% delle persone con età maggiore a 14 anni non fa uso dei canali di informazione politica, mentre il 45,6% non è mai propenso a parlare delle scelte pubbliche.

Solo il 34,6% dei siciliani ha l’abitudine di sfogliare un giornale

Come se non bastasse, la Sicilia è il fanalino di cosa rispetto al numero di persone che almeno una volta a settimana si informano o discutono di politica. Nel primo caso solo il 34,6% dei siciliani ha l’abitudine di sfogliare un giornale, seguire un dibattito televisivo o scrollare i social alla ricerca di notizie sul governo della cosa pubblica; nel secondo i siciliani più virtuosi sono solo il 21,6%. In particolare, sono le donne siciliane a essersi posizionate al fondo della classifica: solo il 27,8% di loro ha dichiarato di interessarsi di politica una volta a settimana, mentre solo il 15,8% condivide le proprie idee. Sul fronte opposto, invece, il 47,7% delle sicule non si informa mai, precedute solo per 1,5% in più dalle cugine calabresi. Distanza simile e analoghe posizioni anche per quanto riguarda l’assenza di confronto sui temi politici: il 54% delle siciliane non ne parla mai, mentre il gradino più alto del podio spetta alla Calabria, con il 56,1%. In posizione “migliore” gli uomini, che, quanto all’informarsi una volta a settimana, precedono solo i calabresi di 0,3 punti percentuali, fermandosi al 41,9%. Il 34,4%, invece, non lo fa mai, superati anche in questo caso di poco dagli stessi “competitors”. Medaglia di bronzo meritano i siculi che non dibattono mai di politica: con il 36,6% vengono sorpassati da campani e calabresi. Ultimi in classifica quelli che lo fanno una volta a settimana (27,9%).

Anche il confronto con il “gemello” (per numero di abitanti) Veneto non dà rassicurazioni: basti pensare che lo scarto, in meglio o in peggio a seconda del carattere analizzato, è tra il 10 e il 20%. Come per il dato nazionale, questo tragico scenario trova riflesso nella (non) partecipazione al voto. Alle elezioni per il Senato del 2022 il 43,4% degli elettori siciliani non si è recato ai seggi, anche se contestualmente il 51,18% non ha espresso la propria preferenza per l’Ars e l’individuazione del nuovo presidente della Regione. Più recentemente, il 62% lo scorso anno ha scelto di non dire la sua sulla nuova configurazione del Parlamento europeo. Sembra, quindi, non essere particolarmente rilevante la prossimità rispetto al livello di governo che si vuole eleggere.

Disaffezione alla politica e alla cosa pubblica

I risultati dei referendum del giugno di quest’anno sembrano non smentire quanto detto né il trend messo in luce dai dati Istat relativi al 2024: il popolo siciliano, infatti, ha disertato le urne. Il 23,10% di affluenza è un dato troppo basso per poter attribuire le colpe solo all’attuale classe dirigente e al suo scollamento rispetto al territorio rappresentato. Insomma, la causa non è rinvenibile soltanto nella crisi dei partiti politici, ma anche nella più generale disaffezione alla politica e alla cosa pubblica. In pericolo non c’è solo la democrazia rappresentativa, ma la democrazia tout court, inclusa quella diretta. Sembra quasi che la Sicilia non sia riuscita a scrollarsi di dosso lo stigma di terra di dominazione. Solo che stavolta è la stessa Isola ad avere la serpe in seno.

Le molteplici invasioni, dai Fenici ai Normanni, dai Greci agli Arabi e ai Borboni, infatti, non hanno mai visto il popolo siciliano completamente sottomesso, ma il pericolo cui questo si espone oggi lascia pensare che non è così scontato un epilogo analogo. La differenza, allora, tra il passato e il presente sta nel fatto che se prima la minaccia proveniva dall’esterno, oggi è insita nel tessuto sociale dell’Isola. Se prima il “nemico” era facilmente individuabile, per le differenze linguistiche ed etniche o genetiche e fisiche, oggi è indistinguibile, vago e si rintana negli anfratti della stessa collettività. Una collettività prigioniera dell’ignoranza, ma che, però, fortunatamente, è la sola a tenere le chiavi per sciogliere le sue catene. Chiavi che potrà utilizzare soltanto informandosi e accrescendo di conseguenza la propria cultura.