PALERMO – Rosa Balistreri nel biopic “L’amore che ho”, cattivissima suocera nella serie “I leoni di Sicilia”, battagliera sindaca nel film “Paradiso in vendita”. Donatella Finocchiaro è un’attrice che esprime, già a primo impatto, un approccio viscerale verso la propria professione. Una sensazione confermata anche sul palcoscenico, dove continuano con successo le repliche di “Taddrarite” insieme con Giovanna Mangiù e Luana Rondinelli, penna brillante e drammaticamente ironica che cura anche la regia.
Prodotto dal Teatro della Città – Centro di produzione teatrale, lo spettacolo fa tappa giovedì 24 aprile al “Neglia” di Enna e domenica 27 aprile al “Vittoria Colonna” di Vittoria (Rg).
Una storia “focosa”, crudele come la terra di Sicilia.
“Focosa mi piace come espressione. È una storia che racconta delle violenze domestiche che noi donne da sempre siamo abituate a subire. Lo fa, però, in maniera leggera, ironica, nel tipico modo siciliano. Lo straordinario paradosso di uno spettacolo in cui si ride in certi punti, alternati a dei momenti altamente drammatici dove invece si piange”.
Il suo personaggio sembra sia stato salvato dalla risata, che smorza persino il dramma della violenza. Non trova?
“Volevamo evitare che si stesse troppo in superficie, quindi siamo andate a scavare nel dramma insito nella vicenda. Credo che questa donna sia stata salvata dal suo atteggiamento nei confronti della vita perché, nonostante il dolore e la sofferenza, una bella risata ci salva tutti”.
Più che di vicende appartenenti a un certo tipo di società, si tratta di continui episodi di dipendenza psicologica.
“Una volta finito lo spettacolo, tante donne con le lacrime agli occhi ci dicono che si sono riviste, riconosciute. Sicuramente il disagio sociale ed economico aumenta la sofferenza, però non è la causa principale. Non si tratta di Sud e Nord o di classe sociale, riguarda piuttosto una questione psicologica di dipendenza della donna dall’uomo. Un amore tossico che ti fa pensare che sei innamorata e perdoni uno schiaffo o un pugno fino a rimanerci vittima”.
“Taddrarite”, in tal senso, è anche un messaggio di grande incoraggiamento ‘per le donne che urlano in silenzio’. È capitato anche a lei di gridare sottovoce?
“Il meccanismo è veramente subdolo. Io, per fortuna, l’ho capito presto, quando ho subito una violenza fisica, e non solo psicologica, da un mio fidanzato geloso che mi spingeva, mi urlava contro… giustificando la sua rabbia e dicendo di amarmi e che non lo avrebbe fatto più. Invece, puntualmente, le stesse dinamiche si ripetevano. Ancora e ancora. Bisogna allora rendersi conto che certi uomini non cambiano e andarsene. Come ho fatto io a venticinque anni”.
Per iniziare una nuova vita, bisogna prima affrontare i propri fantasmi. Si può davvero riuscire a voltare pagina?
“I nostri fantasmi stanno lì, ma non ci possono condizionare per tutta la vita. Anche i nostri traumi, quello che abbiamo subito da bambini, i genitori che non sono stati comprensivi o che lo sono stati fin troppo… Insomma, chi non ha problemi legati all’infanzia! Ma che facciamo? Restiamo legati a un passato che non c’è più? Dobbiamo vivere oggi, nel presente”.
Ecco allora la funzione terapeutica dell’arte.
“Per me è un dovere sociale parlare di violenza su un palcoscenico con uno spettacolo come ‘Taddarite’. È giusto che il nostro mestiere possa avere anche questo valore aggiunto”.
Crede, dunque, che il palcoscenico possa diventare scuola di civiltà e valori per attuare un cambiamento concreto nella nostra quotidianità e in quella dei nostri figli?
“Ritengo che il punto cruciale sia la gestione delle emozioni, l’educazione sentimentale. Lo schiaffo, la sculacciata, l’alzare la voce sono tutte dinamiche violente con cui non si devono più educare i nostri figli, e questo è un problema generazionale”.
Ancora di donne si parla nel nuovo film di Paolo Licata “L’amore che ho”. Insieme a Martina Ziami, Anita Pomario e Lucia Sardo è Rosa Balistreri. Cosa ha significato per lei, catanese, interpretare un personaggio così vicino alle sue origini?
“È stato bellissimo interpretarla nel suo periodo d’oro, perché è un’icona, un personaggio che è entrato nel Dna dei siciliani. Io cantavo le canzoni di Rosa Balistreri quando avevo diciotto anni, ai falò. In quei canti popolari c’è dentro la memoria, la storia del nostro Paese. Con quella voce graffiata che racconta il mondo dei diseredati, degli emarginati. Una fervente attivista, una femminista ante litteram che ha incarnato l’urlo di quelle donne che imparavano a dire no anche nella sua epoca”.
Teatro, cinema e tivù sempre di ottimo livello. Cosa c’è voluto per lavorare oltre vent’anni così?
“Ci sono tanti no che ho dovuto dire per restare più vicina a quello che è il mio gusto estetico, il mio senso di bellezza. Una carriera viene fondata sui sì e sui no, bisogna saperli usare con discernimento”.
Ha mai dubitato del suo mestiere?
“Qualcuno ogni tanto mi ci ha fatto pensare: ‘Madonna mia, che vita quella dell’attrice! Sempre in giro, a ripetere le battute milioni di volte sul set o a teatro’ e, nel frattempo, ti perdi anche gli affetti, un fidanzato o un marito, lì a casa ad aspettarti”.
A proposito di compagni, era in cerca di un maschio “illuminato”. L’ha trovato?
“Non ancora. Anche per colpa mia, fuor di dubbio, perché stando poco a casa non ho possibilità di frequentare a lungo delle persone. Però sono fiduciosa che, prima o poi, lo troverò uno che stia alle mie condizioni”.

