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Parità di genere, Donatella Sciuto: “La visione femminile è il quid per le sfide complesse nelle Università”

Parità di genere, Donatella Sciuto: “La visione femminile è il quid per le sfide complesse nelle Università”
Donatella Sciuto rettrice Politecnico Milano

Intervista esclusiva del QdS a Donatella Sciuto, rettrice del Politecnico di Milano: “C’è ancora molto da fare”

MILANO – La parità di genere resta ancora oggi un obiettivo da raggiungere, nonostante si tratti di un principio fondamentale dell’Unione europea, tutelato anche dalla legge italiana. Nei fatti, però, le disuguaglianze persistono. Secondo l’indagine Global gender gap index 2024 del World economic forum, l’Italia ha colmato il 70,3% del divario, piazzandosi all’87° posto nella classifica globale.

Il nostro Paese fatica soprattutto in ambito economico-lavorativo: il tasso di occupazione femminile è il più basso in Europa e la presenza delle donne scarseggia soprattutto nei ruoli apicali. Il 2024 ha registrato comunque un dato positivo nell’ambito della sanità e dell’istruzione. In particolare, per quanto riguarda le carriere universitarie, lo scorso anno ha visto un aumento del numero delle iscritte ai corsi universitari e delle laureate, ma la carriera accademica resta difficile e docenti e rettrici sono ancora poche.

Sull’argomento, dopo aver intervistato la presidente della Crui Giovanna Iannantuoni, rettrice della Bicocca di Milano, il QdS ha sentito, per questo secondo appuntamento dedicato al lato femminile dei principali Atenei nazionali, la rettrice del Politecnico di Milano, Donatella Sciuto.

Un dato in particolare rende evidente la disparità di genere nel mondo accademico: su 85 partecipanti alla Conferenza dei rettori delle università italiane (Crui) le donne sono solo 17. L’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) sottolinea che i maggiori ostacoli si incontrano nei ruoli apicali. Quanto si parla di questo fenomeno in Università?
“La disparità di genere è un tema molto discusso. Una delle prime mosse da rettrice è stata proprio quella di nominare, per la prima volta, una delegata sul tema, a dimostrazione che la tematica di genere è, a tutti gli effetti, una componente strategica. Io, poi, ribadisco sempre che in Università, a differenza delle grandi imprese, non esistono quote rosa e arrivare al vertice è spesso un triplo salto carpiato. Ma esempi positivi ce ne sono. Milano, la mia città, per esempio, ha ben cinque donne rettrici alla guida dei più importanti atenei. Siamo in netta maggioranza. Direi quindi che si può fare, se si parte dal presupposto che a vincere sia il merito”.

Il cosiddetto “tetto di cristallo” è l’insieme degli ostacoli che si incontrano nella fase di avanzamento della carriera. Ha trovato questi impedimenti durante il suo percorso accademico?
“Sì, ho incontrato qualche ostacolo nel mio percorso, ma fortunatamente nessuno legato al genere. I risultati della mia elezione a rettrice ne sono un esempio. Sono stata scelta al secondo turno con un numero di voti che non lasciava dubbi o spazio a contestazioni. Nel mio percorso mi sono sentita dire più spesso di aver pazienza perché troppo giovane, non perché donna. Mi sono laureata a 22 anni in Ingegneria al Politecnico di Milano e la mia carriera è iniziata in modo precoce rispetto alla media. Per questa ragione il commento di tutti era: ‘C’è tempo…’”

In dieci anni la percentuale di rettrici è aumentata del 4,6%. Ritiene sia abbastanza? Si può fare di più?
“Sebbene l’aumento sia un segnale positivo, c’è ancora molto da fare. Incrementare la rappresentanza femminile nelle posizioni di leadership può portare nuove idee e un nuovo concetto di guida. Questo non tanto perché le donne siano migliori o peggiori di molti uomini, ma perché rappresentano una deviazione alla ‘norma’ e questa è la prima condizione per innovare. La seconda è che le donne hanno un trascorso storico e culturale che le ha portate a impegnarsi su più fronti contemporaneamente e a renderle più versatili nel modo di pensare. Un bene rispetto a sfide che si fanno sempre più articolate”

Questo gap aumenta nell’ambito delle discipline Stem, da tempo quasi esclusivamente appannaggio maschile. Lei è un’ingegnera, come pensa si potrebbe intervenire per aumentare la partecipazione di studentesse e ricercatrici nel settore Stem?
“Da un lato, promuovendo modelli di ruolo femminili, come stiamo facendo ora. Spesso le donne tendono a sottostimarsi, quando, al contrario, dovrebbero imparare a essere più sicure di sé e a mostrarsi. Dall’altro, offrendo degli aiuti concreti, come percorsi di mentoring e borse di studio. Al Politecnico, infatti, abbiamo un programma chiamato Girls@Polimi, nato nel 2019, e pensato per le studentesse che stanno frequentando il quarto e il quinto anno delle scuole superiori e stanno pensando al loro futuro universitario. Per l’anno accademico 2025/2026 le borse di studio disponibili, ciascuna del valore di 24.000 euro, 8.000 euro l’anno, raggiungono quota 30 e sono riservate a studentesse che intendono immatricolarsi a corsi di Laurea in ingegneria con bassa presenza femminile: Ingegneria elettronica, Ingegneria informatica, Ingegneria meccanica, Ingegneria elettrica, Ingegneria dell’automazione, Ingegneria fisica. Inoltre, è importante incoraggiare le ragazze fin dalla scuola a intraprendere studi scientifici e tecnologici in modo divertente, come un gioco. Guai se questo diventasse un’imposizione. Le materie Stem, se ben insegnate e ben comunicate, sono tutt’altro che aride o noiose. Non ultimo, serve l’apporto delle famiglie che sono il primissimo contatto tra i ragazzi e il mondo esterno”.

Più in generale, ritiene che le difficoltà per una donna siano diretta conseguenza della mancanza di politiche adeguate, per esempio i pochi asili nido pubblici a disposizione, che agevolino lo sviluppo di un maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata e familiare, essendo ancora quest’ultima troppo spesso relegata alle sole cure femminili?
“Sì, certamente. La mancanza di politiche adeguate è un fattore che contribuisce alle difficoltà delle donne nel bilanciare lavoro e vita privata. È essenziale implementare politiche che supportino la conciliazione tra lavoro e famiglia, come appunto l’aumento degli asili nido pubblici e la flessibilità lavorativa. Al Politecnico abbiamo attivato asili nido in campus per le giovani famiglie e convenzioni con strutture esterne. Abbiamo messo a disposizione fondi di ricerca per il rientro delle ricercatrici post maternità. Il tema del welfare è decisivo in un contesto, come quello italiano, dove i salari sono mediamente bassi e dove il privato e il volontariato spesso tamponano a mancanze strutturali”.

Nelle Isole il divario cresce. Secondo lei, e in base alla sua esperienza, il fattore geografico acuisce le differenze?
“Il fattore geografico può sicuramente accentuare le differenze. Le regioni insulari spesso affrontano sfide aggiuntive, come l’accesso limitato alle risorse. Trasferirsi altrove è spesso troppo costoso e il diritto allo studio è un tema delicatissimo. Il fenomeno degli idonei senza borsa è un ossimoro. Un indicatore per tutti è proprio il livello di scolarizzazione e il numero dei laureati che nel Meridione è meno della metà rispetto al numero dei diplomati. È importante adottare misure specifiche per affrontare queste disparità e garantire pari opportunità a tutti. Il Pnrr, per esempio, è un tentativo di rilancio che non deve andare perduto”.

Gli studi di genere, sempre più presenti nei programmi didattici, possono invertire la rotta?
“Gli studi di genere sono fondamentali per sensibilizzare ed educare le nuove generazioni sulle questioni di uguaglianza. Integrarli nei programmi didattici può contribuire a cambiare le percezioni e promuovere una cultura più inclusiva e paritaria. Direi che oggi sono imprescindibili”.