Primo giorno di lockdown sull’Italia a zone rosse, arancioni e gialle, in versione più mitigata rispetto alla chiusura totale dello scorso marzo ma pur sempre con forti restrizioni, eppure le città – anche quelle in zona rossa come Torino e Milano – non si sono arrese, le persone non si sono chiuse troppo in casa.
Insomma il deserto non c’è stato e in maniera soft, con qualche protesta antiserrata a Reggio Calabria e ad Alassio, si è cercato di tenere accesa la fiammella dei piccoli consumi, dei riti quotidiani.
Un salto in libreria, la passeggiata magari breve, il caffè nella formula d’asporto.
Uscire con i bambini gode di salvacondotto, e in giro nei parchi si è visto, così come la passeggiata con il cane, purché entro le 22.
E poi i mercati all’aperto sono stati una risorsa di normalità per molte persone che sono rimaste quasi stupite nel trovarli più ricchi di merci e bancarelle, gli uffici hanno avuto mano libera nel lasciare parte del lavoro in presenza e hanno partecipato a rallentare ma non a fermare del tutto le pulsazioni di vita urbana.
Sì, certo, i motori hanno girato piano, ma le città non sono diventate fantasma.
Hanno anche preso corpo forme personali di resistenza al virus che avanza, come quella di Anita, la dodicenne di Torino che si è seduta sulle scale della sua scuola, la media statale Calvino del complesso Tommaseo, ha tirato fuori dallo zaino tablet e libri e ha seguito “in presenza” la sua lezione a distanza.
Un modo per ricordare che lei, e tanti altri ragazze e ragazzi costretti a sperimentare metodi di istruzione “smaterializzata”, ancora non hanno intenzione di mollare il miraggio della ripresa della vita come prima, in classe.
Che dire poi del mandolino, cosa c’è di più resiliente della volontà della Fondazione Pietà dei Turchini di Napoli insieme all’Università Alma Mater di Bologna di mandare avanti – trasferito su You tube – il progetto internazionale di studio su questo strumento tipico del Settecento partenopeo.
Si comincia da oggi, alla faccia del covid.
Non ha funzionato l’appello alla disobbedienza a Reggio Calabria: solo qualche negozio si è ostinato ad aprire, ma, per paura delle multe, i clienti si sono tenuti alla larga.
In bar e pasticcerie si può ordinare l’asporto: “Certo, non è come nei giorni normali – dice un esercente – , ma è necessario farlo per il bene di tutti”.
Città a due volti, Torino, con il centro spopolato e la gente di sempre al mercato di Porta Palazzo, dove i banchi degli alimentari vendono regolarmente.
Sembra un giorno come gli altri e qualche negozio resta aperto sfruttando le eccezioni previste dal Dpcm, per esempio per “vendere le scarpe da ginnastica”, come consentito dalle nuove norme.
Milano si è svegliata in lockdown sì, ma non spettrale e deserta come la scorsa primavera.
Le librerie, i negozi di fiori, le profumerie, l’abbigliamento intimo o per bambini possono restare aperti, come le ferramenta, oltre agli alimentari, farmacie e negozi di tecnologia.
I bar – che possono fare asporto – in diversi casi hanno scelto di non tirare giù la saracinesca. Se il centro appare più vuoto, con piazza Duomo, corso Vittorio Emanuele e piazza San Babila attraversate dal via vai di poche persone, altre vie sono leggermente più popolate di gente che va al lavoro.
Molti uffici non hanno imposto lo smart working. Anche una delle principali vie dello shopping milanese, corso Buenos Aires, non ha di certo il pienone ma comunque non è vuota.
E ancora, ordinanze creative in campo contro la pandemia , come quelle del sindaco di San Felice a Cancello, nel Casertano, dove il contagio corre, 416 le persone positive su 17mila abitanti.
Allora il primo cittadino, Giovanni Ferrara, per evitare che il suo Comune, già osservato speciale, possa diventare zona rossa, ha vietato “ai minori di anni 16 di circolare dopo le ore 19, se non accompagnati da un familiare di maggiore età”; e per gli ultrasettantenni obbligo di restare a casa “dopo le ore 19 su tutto il territorio comunale, salvo per motivi di lavoro, salute e urgenza”.
Un colpo al cerchio e uno alla botte, e magari i contagi calano.
Con una spaghettata alle cinque del mattino contro la chiusura di bar e ristoranti alle 18, hanno protestato ad Alassio (Savona), nel quartiere di Borgo Barusso, una cinquantina tra ristoratori e negozianti che si sono ritrovati all’alba per una carbonara.
“Ci stanno rivoluzionando la vita e noi reagiamo con ironia – spiega uno degli organizzatori, Gigi Ciccione -. Si tratta come nel nostro stile di una protesta pacifica, per dimostrare che i commercianti sono attivi anche la mattina presto. Vorrà dire che alla mattina mangeremo spaghetti e la sera cappuccino e brioche: chissà, potrebbe diventare una moda”.
“Resistenza” italica anche questa.
Nel segno dello spaghetto.

