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Draghi: ribaltare organizzazione Pa

Programmazione, esecuzione, controllo

Non so chi abbia fatto attenzione al discorso del Presidente del Consiglio, letto alla Camera dei deputati lunedì 26 aprile, quando ha puntualizzato una questione di metodo, che nessun altro in precedenza aveva mai posto all’attenzione dei parlamentari. Si tratta di un riferimento alla riforma della Pubblica ammministrazione, inserendo il principale elemento: l’organizzazione.
Sì, perché i circa quattro milioni di dipendenti e paradipendenti pubblici non sanno cosa sia e non hanno alcun modello organizzativo su base digitale, per programmazione, esecuzione e controllo senza sbavature.
Draghi ha, inoltre, dedicato ben quaranta pagine del Pnrr alle riforme: semplificazione, giustizia, Pa e fisco. Ricordiamo che il precedente Governo Conte II, nella sua incompetenza, aveva dedicato a queste riforme sapete quante pagine? Una. Evidentemente quel Presidente del Consiglio non aveva capito la questione di fondo: senza una Pa che funzioni al meglio, i 248 miliardi di risorse disponibili non saranno spesi.

Veniamo alle riforme elencate da Draghi.
Semplificazione delle norme. Innanzitutto bisognerebbe evitare quel perverso meccanismo di approvare una legge cornice o delega, la cui esecuzione è poi affidata a una serie di decreti (legislativi, del Presidente del Consiglio, ministeriali, interministeriali), i quali di fatto comportano l’applicazione delle leggi. Ma siccome questi decreti hanno tempi biblici per essere emessi, le leggi vengono eseguite molti mesi (e in qualche caso molti anni) dopo la loro approvazione. In atto ne risultano 646 da attuare.
La seconda questione che riguarda la semplificazione è la materiale scrittura delle leggi, che di solito viene effettuata dagli uffici preposti, i quali sono diretti da burocrati.
Nel nostro Paese è invalsa l’abitudine di scrivere i testi normativi con richiami ad altre leggi (articoli, commi e subcommi) per cui di fatto esse sono illeggibili ed incomprensibili. Occorrerà che Draghi emetta una direttiva secondo la quale le leggi vanno scritte in italiano e devono comprendere tutte le altre della stessa materia.
Organizzazione. Come si scriveva, è il titolo principale del modo di funzionare della Pa, cui segue la Programmazione, mediante la quale vengono stabiliti gli obiettivi, i tempi di realizzazione e, soprattutto, le sanzioni o i premi ai dirigenti responsabili dei procedimenti.
Esecuzione. Deve rispettare quanto programmato. Controllo. Possibilmente digitale, che confronti giorno per giorno risultati ed obiettivi. Un controllo trasparente messo sulle piattaforme cui possano accedere tutti i cittadini in qualunque momento.
Quanto precede vale per la realizzazione delle opere pubbliche e per la produzione di indispensabili servizi di cui cittadini e imprese hanno bisogno tutti i giorni, anche per verificarne la qualità degli stessi con i totem delle tre faccette (verde, gialla e rossa).

Nel nostro Paese, lo Stato non si fida dei cittadini, ben ricambiato, perché i cittadini non si fidano dello Stato. Cosicché il primo mette regole asfissianti che di fatto bloccano le attività di tutta la Pubblica amministrazione, e i secondi cercano in ogni modo di eludere le leggi, se non di evaderle, in modo da trarne benefici illeciti e non compatibili col bene civico.
La soluzione c’è ed è semplice. Basterebbe che lo Stato mettesse in funzione un meccanismo di controlli tassativi e rigorosi ex post e non preventivi, da farsi in tempo reale, e non dopo anni. Nel caso che prenda in castagna evasori o elusori, applichi severamente e immediatamente pesanti sanzioni economiche e restrizioni personali.
Ma qui casca l’asino. Affinché questa soluzione semplice funzionasse, occorrerebbe che il sistema giudiziario diventasse efficiente, vale a dire che riuscisse nel giro di mesi (e non di molti anni) a processare i cittadini: se innocenti, assolverli; se colpevoli, condannarli.
In questo versante, sarà determinante la riforma della Giustizia, con il taglio dei tempi dei processi, civili e penali.