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La drammatizzazione dell’informazione

La drammatizzazione dell’informazione
giornali stampa

Il giornalismo nasce nel 1963

L’articolo 21 della Costituzione ci ricorda: “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure…”.
I nostri Padri costituenti, quando scrissero questa norma, non pensarono che l’informazione dovesse essere fatta dai/dalle giornalisti/e, ma da chiunque avesse capacità di usare i propri neuroni e il proprio intelletto per valutare fatti e circostanze di ordine generale e locale.

Prima nel 1948 la legge sulla stampa (n. 47), poi nel 1963, con la legge n.69, fu istituito l’Ordine nazionale dei giornalisti e i Consigli regionali. Inoltre fu istituito l’Albo dei giornalisti che volevano esercitare questa professione.
Solo a valle e in via subordinata la legge istituì due elenchi ove pariteticamente si iscrivono i giornalisti che fanno gli esami di Stato e perciò chiamati professionisti e i giornalisti che conseguono il diritto d’iscrizione all’Albo mediante l’esercizio dell’attività da effettuarsi su un giornale o in radio e televisione per almeno due anni.
Questo è il quadro dell’informazione nel nostro Paese.

Perché l’abbiamo riportato, anche in un certo dettaglio? Perché l’informazione è fondamentale per l’esercizio della Democrazia, in quanto fornisce a cittadine e cittadini elementi di valutazione dei fatti e degli accadimenti, elementi che gli stessi avrebbero difficoltà a reperire individualmente.
I giornalisti iscritti all’Albo – indifferentemente che poi siano registrati nell’elenco dei pubblicisti o in quello dei professionisti – hanno l’obbligo di rispettare il Testo unico dei doveri del giornalista, in vigore dal 1° giugno 2025, ove sono elencati con puntualità i comportamenti che debbono essere tenuti nel fare informazione.
Tale Testo è fondamentale perché risulta vietato fare catastrofismo o drammatizzazione dei fatti, che devono essere riportati tali e quali, senza diminuirne o aumentarne la portata, in modo che le notizie arrivino, dopo essere state controllate, obiettive e concrete.

Ritorniamo spesso su questo tasto proprio perché l’informazione ha un’altra funzione fondamentale per l’esercizio della Democrazia e riguarda il sostegno che si dà al Popolo per evitare che lo si possa ingannare.
Ed è proprio questo il pilastro che dovrebbero sostenere giornaliste e giornalisti: fornire alla gente le informazioni complete, come prima si scriveva, in modo che essa possa farsi un’opinione corretta e non distorta.

Tuttavia, dobbiamo evidenziare il vizietto che hanno molti professionisti dell’informazione consistente nella drammatizzazione e nell’esagerazione delle notizie, in modo da generare clamori e sorprese utili a valorizzare le informazioni stesse, a prescindere dalla loro verità.
È difficile da parte dell’Ordine nazionale o dei Consigli regionali sanzionare questi comportamenti, in quanto è opinabile la valutazione dei fatti da parte di chi li riporta ed è difficile collegare il merito alle opinioni. Ma il Testo unico dei doveri del giornalista costituisce un binario certo sul quale l’informatore deve correre senza sbandamenti.

Le informazioni che si trasmettono nelle reti radio-televisive, nei giornali di carta e digitali, nei siti o dalle agenzie di stampa dovrebbero essere sempre verificate da almeno due fonti ed essere riportate in perfetta buona fede, senza divagazioni o lasciarsi prendere dalla smania dell’apparire, anziché restare nella concretezza dell’essere. Si tratta di un vecchio dilemma che però è opportuno, di volta in volta, portare all’attenzione dell’opinione pubblica.

Non sembri quest’editoriale teorico perché vuole ricordare ancora una volta la necessità di stare con i piedi a terra e ragionare concretamente sulle notizie che ci vengono date attraverso tutti mezzi prima elencati.
Una buona, corretta e obiettiva informazione aiuta poi a fare scelte politiche che si esprimono col voto, il quale, se ben esercitato, fa funzionare bene la Democrazia e realizza il principio generale secondo cui è il Popolo che indirizza i responsabili delle istituzioni.
Invece, attualmente – non solo nel nostro Paese – la Democrazia è ammalata perché le maggioranze che scaturiscono dalle elezioni rappresentano minoranze e non il Popolo stesso.