È vero i medici sono eroi, ma il coronavirus non c’entra - QdS

È vero i medici sono eroi, ma il coronavirus non c’entra

redazione

È vero i medici sono eroi, ma il coronavirus non c’entra

giovedì 31 Dicembre 2020

Gli operatori della sanità pubblica lottano contro una medicina burocratizzata, dove la salute ha lasciato il posto all’economicità

Il nuovo Coronavirus ha acceso i riflettori sulla sanità pubblica e posto finalmente sotto gli occhi di tutti i problemi che la attanagliano, quei problemi che da anni, forse addirittura da alcuni decenni, Cimo ha provato a porre all’attenzione della politica e della pubblica opinione, dovendosi fino ad oggi arrendere alla triste evidenza di rimanere inascoltata dall’una e dall’altra parte. A nulla sono valse le grida d’allarme lanciate nel corso del tempo per denunciare i guasti fatti dalla politica che hanno reso la sanità pubblica una malata grave. Le azioni della politica nazionale e regionale ne hanno progressivamente ed inesorabilmente provocato il lento declino, in alcuni casi in favore di un settore privato che non può però vicariare l’assistenza pubblica soprattutto nello spirito di universalità e di equità, come si è dimostrato all’esplodere della pandemia Covid 19.

I temi sollevati in passato dal Sindacato dei Medici sono molteplici, frutto dell’attenta analisi di chi, la sanità la viva e nel suo contesto opera quotidianamente, andando dallo scellerato e reiterato definanziamento del settore, all’imbuto formativo con il mancato adeguamento delle borse di studio delle Scuole di Specializzazione, dal blocco del turn over del personale negli Ospedali pubblici con l’esplosione del precariato, alla riduzione dei posti letto ospedalieri, in primis quelli di terapia intensiva, ben al di sotto di qualsiasi altra realtà sanitaria europea, dall’incapacità di una programmazione attenta ai bisogni di una popolazione tra le più anziane al mondo, al mancato investimento sulla quasi inesistente medicina territoriale, al perseverare sul modello ospedalo-centrico col rischio di implosione degli ospedali, alla disomogeneità dell’offerta sanitaria sul territorio nazionale con 20 sistemi sanitari differenti con l’acuirsi del cronico gap tra nord e sud d’Italia.

Ma le grida d’allarme di chi si era da tempo reso conto che la sanità pubblica italiana era già sull’orlo del baratro non sono valse a nulla, con una politica di governo che ha puntualmente disatteso, anno dopo anno, le richieste delle organizzazioni sindacali e di Cimo in testa, spesso rimasta isolata nella battaglia contro lo sfacelo di un sistema sanitario che in molti ci invidiano per come è stato concepito ma che non si è stati in grado di preservare per le future generazioni. Allo scoppio della pandemia abbiamo assistito al grottesco spettacolo dello stupore generale per l’impreparazione del sistema, alle corse a rincorrere il virus e i posti letto mancanti, alcune volte inventati di sana pianta, ai mea culpa di tanti politici, gli stessi che si erano girati dall’altra parte rispetto ai nostri appelli accorati, gli stessi che negli anni sono stati gli artefici della dissoluzione del nostro sistema sanitario nazionale e di quelli regionali e che oggi sgranano gli occhi come improvvisamente ridestati da un lungo sonno, da un torpore mentale che non gli aveva consentito di ascoltare, di capire, di ravvedersi.

E così, sono partiti i proclami e le attestazioni di stima nei confronti di un personale sanitario deficitario nei numeri, mai nell’impegno professionale e nello spendersi per assistere i propri pazienti, e per questo indebitamente etichettato come “eroico” sol perché anche in un periodo di estrema difficoltà e a rischio della propria vita non si è tirato indietro, continuando ad operare come e più di prima, al meglio delle proprie capacità e delle risorse a disposizione, spesso insufficienti.

In tanti, a cominciare da chi ci governa, non se l’aspettavano, ma quel personale sanitario è ben abituato a lottare, perché da anni è impegnato in una guerra senza quartiere, nello sforzo immane di sostenere quel sistema che altri stanno provando a distruggere, senza finora riuscirci proprio grazie all’impegno e all’abnegazione di chi massimamente ha subito l’assalto alla sanità pubblica, il tentativo di annientarla. Stavolta però in tanti sono caduti, medici e infermieri, impegnati all’inizio di questa tragedia planetaria in una lotta contro un nemico sconosciuto e spesso senza le adeguate protezioni individuali, senza un piano pandemico aggiornato, senza che quello vecchio fosse mai stato applicato e reso operativo.

Se per eroi si intende dover morire per le inefficienze e le altrui incapacità, allora si, sono morti degli eroi. E a questi eroi dovrebbero essere tributati tutti gli onori e, quando la pandemia riuscirà ad essere solo un brutto ricordo, non sarebbe una cattiva idea istituire una Giornata della Memoria dedicata a chi non si è mai tirato indietro nella salvaguardia del prossimo, anche a mani nude. Oggi gli elargitori di appellativi gratuiti si ritrovano a pontificare sulla necessità di rilancio di una sanità malata, riempendosi la bocca con promesse che, alla prima prova dei fatti (la ripartizione delle risorse economiche del Pnrr), vengono puntualmente smentite, oggi come in passato.

Ma, gli stessi, non disdegnano di chiamare in trincea e di mandare allo sbaraglio giovani medici non ancora specializzati, come si faceva alla fine di una guerra in cui le prime linee erano cadute al fronte e non restava che il disperato tentativo di resistere, sacrificando anche le generazioni da salvaguardare ad ogni costo perché rappresentano la continuità, la sopravvivenza, il futuro di una Nazione. E non provano vergogna nemmeno a richiamare in servizio il personale già in pensione, settantenni già spremuti come limoni e che, facendo leva su di un’etica professionale da tanti altri dimenticata o sconosciuta, hanno spolverato il logoro camice bianco per indossarlo ancora una volta, ben sapendo cosa rischiano.

Oggi, medici, infermieri, biologi, tecnici e tutto il restante personale del complesso e variegato pianeta sanità vengono invitati alla resilienza senza che ce ne sia bisogno perché in loro è innata la capacità di reazione agli eventi avversi, di andare avanti nonostante i momenti di crisi, uomini e donne non invincibili ma comunque in grado di riorganizzarsi per superare le difficoltà.

Gli operatori della sanità pubblica sono in effetti degli Eroi, ma non perché stanno facendo il proprio dovere durante la pandemia attuale, assai di più perché da troppo tempo combattono contro una schiera di altri nemici, perché lottano contro una medicina amministrata e burocratizzata fino all’inverosimile, perché resistono contro una aziendalizzazione della sanità che ha portato a mettere in cima a tutto l’economicità del sistema piuttosto che la sua efficienza ed efficacia, perché si adoperano con ogni mezzo contro il depauperarsi di risorse umane che li ha costretti a raddoppiare o triplicare gli sforzi pur di fornire risposte alle richieste di salute, perché non sono più disposti a tollerare una violenza verbale e fisica nei loro confronti indegna di un Paese civile, perché subiscono le continue denunce troppo spesso immotivate che hanno fatto salire esponenzialmente il ricorso alla medicina difensiva. Per tutte queste ragioni e per altre ancora, medici e infermieri accetteranno di essere chiamati Eroi, non certo per aver fatto il proprio lavoro contro un’altra malattia, per quanto terribile e devastante possa essere.

Giuseppe Bonsignore
Cimo Sicilia

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