Eberardo Pavesi e il brigante gentile - QdS

Eberardo Pavesi e il brigante gentile

redazione

Eberardo Pavesi e il brigante gentile

giovedì 27 Maggio 2021

I ricordi del Pavesi di questa Sicilia selvaggia, agreste e contadina

di Maria Lombardo

E ricordando che sarà proprio un mulo a procurare guai seri ad uno dei ciclisti in corsa, a Jacobini, per le strada che conduce a Taormina, Pavesi non può dimenticare quello che a lui capitò sempre a causa di ‘un mulo impazzito’, nel tentativo di schivarlo: ‘dovetti saltare di macchina e ruzzolare per salvarmi. Un’unghia dell’animale ruppe netto il telaio: così gli altri squagliarono ed io, largamente primo degli isolati, ero costretto a piedi, ferito male per giunta. Tenevo il quadro in spalla e la ruota anteriore in mano: dal gomito sinistro mi usciva sangue, la ferita era larga e profonda. Avanzavo nella polvere, e il sole, ancorché d’autunno, mi intronava’.

I ricordi del Pavesi di questa Sicilia selvaggia, agreste e contadina. Il lombardo lascia però una testimonianza più viva, lungo una via di campagna, gli apparve all’improvviso uno a cavallo che gli fece esclamare: ‘come è vero Dio, quello è un brigante’.

Infatti ‘l’omaccione era avvolto in un mantello sotto quel sole, e aveva la schioppa a tracolla. I suoi occhi neri’ – dice Pavesi – ‘mi guardavano senza cattiveria ma il volto serio e direi cupo allarmava’. Però preso un po’ di coraggio, salutato lo sconosciuto siciliano e spiegatogli cosa gli era successo, Pavesi si sentì rivolgere un invito piuttosto cortese a seguirlo. Passando per un sentiero fatto di ‘forre selvagge intorno, radi alberi scheletriti dal sole, petraie riarse e qualche gran cespo di fichi d’India’, preso da una ‘cupa apprensione’, temendo per la propria vita, Pavesi va con la mente alle storie che raccontavano in quegli anni i giornali sui briganti siciliani e sui loro misfatti, su come ‘appendevano per la gola i bersaglieri’: finché, i due arrivano ‘in un’ombrosa spianata’ dove stava un piccolo edificio a metà tra ‘un trullo e un tukul’, ma dal quale, scostata appena una tenda che chiudeva l’ingresso, con grande meraviglia, Pavesi, vede affacciarsi un ‘bel viso di donna’.

‘Era una stupenda creatura di pelle quasi nera’ rievoca il ciclista a Brera, ‘gli occhi grandi e le ciglia vellutate, i capelli ben ravvivati e lucidi’. L a donna lo ospita mentre “il brigante” porta con sé la bici del ciclista per sistemarla. Ritorna al più presto e Pavesi riparte per raggiungere il resto dei ciclisti e per farsi medicare la ferita, ma solo dopo essere giunto a Trapani.

A Palermo, Pavesi, ci arriverà, per tagliare il traguardo, con un braccio appeso al collo e apprenderà però che per i primi dodici arrivati era stato un tripudio di folla e di feste rese. Insomma era andato male quel Giro di Sicilia ad uno dei campioni del ciclismo italiano una storia curiosa di galantonaggine brigantesca e di epica sportiva di oltre cento anni fa.

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