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Economia di sviluppo economia assistenziale

Urge imboccare la via della crescita

Qui bisogna mettersi d’accordo sulla questione di fondo: l’Italia vuole andare avanti su una strada poggiata sull’economia di sviluppo oppure sull’economia assistenziale?
Non si tratta di un bivio da poco perché comporta una scelta politica di fondo in quanto, se si vuole proseguire sulla strada dell’economia assistenziale, si accontentano tanti subito, ma si danneggiano le future generazioni; al contrario, se si sceglie la strada dell’economia di sviluppo, si lavora per un futuro migliore da dare ai giovani quando diventeranno classe dirigente, ma si scontentano milioni di cittadini che non possono avere assegni, prebende, sussidi, nella maggior parte dei casi non meritati.
L’epidemia diffusa ha creato una situazione di enorme difficoltà sul piano economico del Paese per la perdita di quasi nove punti di Pil (160 miliardi circa) e un indebitamento fino a oggi, intorno ai 170 miliardi, con la gioia del populista Salvini che continua a chiedere di più, appunto con lo scopo di accontentare il maggior numero di cittadini, a prescindere…

L’economia assistenziale è stata una costante di tutto il dopoguerra, soprattutto per il Mezzogiorno. Essa ha avuto la conseguenza sempre di più l’abisso fra il Sud e il Nord in termini di Pil pro capite e di reddito pro capite, di tasso infrastrutturale e di tanti altri parametri che fanno comprendere come il Paese sia spaccato a metà.
La causa di questo modello assistenziale è la debolezza della classe politica che non avendo la forza istituzionale di elaborare e realizzare progetti poliennali, vive giorno per giorno con l’orecchio attaccato a ciò che dice la gente, rilevato attraverso i sondaggi.
Ma una politica seria e di prospettiva non può dipendere dai sondaggi giornalieri. Solo persone di scarso peso e di modesta competenza continuano a voler accontentare tutti con il risultato prospettico di far arrivare molta parte dei cittadini sulla soglia della povertà.
I meridionalisti di tutti i tempi hanno evidenziato quanto prima descritto, con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Solo i ciechi non vedono perché non vogliono vedere.
L’economia di sviluppo è la faccia buona del sistema perché è basata sugli investimenti pubblici e privati, sull’utilizzazione di tutti i fondi europei, su una efficienza moderna di tutta la Pubblica amministrazione, la quale, da zavorra dell’economia, dovrebbe trasformarsi in locomotiva.
Abbiamo letto, come è nostro costume, centinaia di pagine contenute nel Contratto collettivo nazionale di lavoro di dirigenti e pubblici dipendenti. Ebbene, non vi è traccia di una moderna organizzazione basata sui carichi di lavoro, sul numero dei fascicoli che ogni dipendente deve esitare ogni giorno, sull’intersezione fra i diversi servizi, sulla digitalizzazione di tutta la struttura fatta di tanti punti che sono le scrivanie di ogni dipendente o dirigente.
Non vogliamo fare nichilismo, la digitalizzazione nel settore pubblico comincia a espandersi, ma il suo allargamento è modesto e lento, mentre c’è assoluto bisogno di correre e di completare l’intero sistema entro uno o due anni.

Economia di sviluppo significa impostare progetti a dieci anni, interpretando il senso dell’intera umanità e verso quali obbiettivi corre. La Cina ha fissato nel 2040 la pulizia del proprio ambiente; in Europa, ottimisticamente, si sono accorciati tali termini al 2030/2035. Non vogliamo essere pessimisti, ma riteniamo che le date indicate non saranno rispettate e lo deduciamo da questa situazione e cioé dalla lentezza con cui i governi prendono iniziative che dovrebbero portarci a quei risultati.
Non sappiamo se il nostro Paese a trazione Draghi comincerà a prendere un minimo di velocità. Ma sappiamo che se non lo facesse, l’enorme debito pubblico accumulato, lo scarso recupero in termini di Pil nazionale e la situazione disastrosa del Sud, ancora più colpito dalla chiusura dell’attività turistica, porteranno a un futuro incerto e oscuro.
Tuttavia, questa è l’occasione per rimettere in moto la ruota economica. Dobbiamo confidare che l’eterogenea maggioranza, quasi totale, riesca nell’improbo compito sotto la guida maestra di Mario Draghi.