Il lavoro nero ha raggiunto un “peso” a livello nazionale molto significativo, in Sicilia il terzo dato più alto d’Italia.
L’economia in Sicilia continua ad arrancare eppure, da buona abitudine isolana, il lavoro sommerso e tutto ciò che è collegato e ne consegue continua a prosperare. Secondo i dati forniti dall’Istat nel report dei conti economici territoriali degli anni che vanno dal 2020 al 2022.
Relativamente al 2021, la regione si trova al terzo nella classifica delle regioni per peso del sommerso sul valore aggiunto totale. In Sicilia il lavoro irregolare rappresenta il 6,4% del totale del settore, mentre il 3,4% viene da attività illegali, mance, fitti in nero e integrazione domanda-offerta, mentre il 7,5% rappresenta la rivalutazione della sotto-dichiarazione dei risultati economici delle imprese. In pratica è stata effettuata la correzione al valore aggiunto, per tenere conto dell’ammontare occultato dalle imprese attraverso dichiarazioni volutamente errate del fatturato o dei costi.
Economia sommersa, la Sicilia terza per lavoro irregolare
In termini di lavoro irregolare, fanno peggio della Sicilia soltanto la Calabria, con l’8% del valore aggiunto, e la Campania, al 7%. All’altro capo della lista, la Lombardia, al 3%, il Veneto, al 3,1%, e il Friuli-Venezia Giulia e la provincia autonoma di Bolzano, entrambe al 3,2%. La situazione peggiora ulteriormente se ci si focalizza sull’economia illegale e le altre componenti dell’economia non osservata: su questo fronte la Sicilia raggiunge il posto più alto del podio, superando la Calabria e la Campania, che prendono l’argento e il bronzo.
I numeri più bassi, invece, in Lombardia, che arriva appena all’1,4%, seguita a stretto giro da Veneto e Friuli Venezia Giulia, all’1,5%. In totale, ben il 17,3% del complesso del valore aggiunto siciliano è riconducibile ad economia sommersa.
Nell’Isola ci sono oltre 250mila lavoratori in nero
In numeri assoluti, le varie percentuali si traducono in oltre 250mila lavoratori in nero in Sicilia. Un numero enorme, segno di un circolo vizioso alimentato da chi si ritrova costretto a ricorrere al lavoro sommerso pur di sbarcare il lunario e chi ne approfitta per defraudare lo Stato e la comunità. In Italia si stima una evasione fiscale di quasi 100 miliardi di euro l’anno. Nonostante le azioni di recupero effettuate da Agenzia delle entrate e Guardia di finanza. Perché oltre all’irregolarità, chi è completamente sconosciuto al fisco continua imperterrito a farla franca, così come le organizzazioni criminali di stampo mafioso che sempre con maggior dedizione seguitano a coltivare i propri traffici illegali.
I valori peggiori registrati in Calabria
A livello nazionale, il peso dell’economia non osservata è massimo in Calabria, con il 19,2% del valore aggiunto complessivo, e minimo nella provincia autonoma di Bolzano, all’8,1%. Puglia (8,4%), Molise, Calabria e Campania (7,9% per le tre regioni) presentano la quota più alta di rivalutazione del valore aggiunto sotto-dichiarato; l’incidenza più bassa si registra, invece, nella provincia autonoma di Bolzano (2,9%) e, a seguire, nella provincia autonoma di Trento (3,5%). Tale percentuale supera di poco il valore registrato per l’intero Mezzogiorno, che si ferma al 17,2%. A seguire il Centro, al 12,3%. Sensibilmente più limitata è l’incidenza nel Nord-Est, al 9,7%, e nel Nord Ovest, al 9,2%. La media nazionale si attesta quindi all’11,7%, con il valore isolano che la supera, quindi, di quasi 6 punti percentuali.
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