Mercoledì scorso abbiamo parlato di economia a somma zero e di economia imprenditoriale.
La prima, la visione dell’economia a somma zero, rimarrà nei secoli futuri, in pratica per l’intero millennio, il paradigma culturale dominante nella Chiesa cattolica (intesa come struttura gerarchica e non come popolo di Dio).
Si tratta di una visione che è stata lentamente e faticosamente superata, in parte, solo nella moderna dottrina sociale della Chiesa, ma essa è ancora oggi ben radicata se non dominante in molte gerarchie ecclesiastiche.
La seconda è la visione dell’economia imprenditoriale e dello sviluppo che, iniziata nei Comuni italiani e interpretata per la prima volta da Albertano da Brescia e da pochi altri coevi, caratterizza l’azione e il pensiero economico dell’intero millennio, e che troverà la sua conferma nei grandi cantori fiorentini come Coluccio Salutati e nel grande sistematore dell’attività mercantile matura quale è Cotrugli.
In Albertano sono già impostati tutti i grandi temi che verranno sviluppati nei secoli seguenti. Vi è il tema della liceità e utilità dell’accumulazione e quindi della piena legittimazione del profitto; la distinzione fondamentale tra la ricchezza frutto di rapina, che quindi danneggia gli altri, e quella che è frutto del proprio valore aggiunto; vi è il tema del dovere, anche teologico, della vita activa et negociosa; vi è il tema dell’agire economico che deve svilupparsi nel rispetto del grande principio romano del neminem laedere; vi è il tema del valore del tempo (time is money, ripeterà cinque secoli dopo Franklin); vi sono i fondamentali della razionalità economica con una continua ricerca del rapporto fra mezzi e fini; vi sono il valore del risparmio e l’incitazione al suo uso, al suo buon uso; c’è il valore anche religioso della buona gestione («ma pochi sono quegli, che le sue cose sappiano con consiglio direttamente ordinare»); il grande valore della conoscenza e dell’apprendimento permanente («la tua dottrina abbia cominciamento, ma alla tua vita, acciocché la mente tua si nutrischi, non deve aver fine; perciocché la mente dell’huomo apprendendo si nutrisca e conducesi per ragion di vedere e d’udire: fine non deve avere […] Non verrai meno d’apprendere, perciocché uno medesimo debba essere lo fine di imprendere e di vivere»); il principio, assolutamente rivoluzionario per il tempo, che la conoscenza e la cultura devono essere diffuse («la scienza è nobile possesso che distribuita tra molti riceve incremento e disprezza l’avaro proprietario, e se non divulgata ben presto svanisce e si dilegua […] [perciò essa va] resa di pubblico dominio ed essere oggetto di disputa affinché sia promossa ed accresciuta»); il valore dell’addestrarsi all’esercizio della ragione, della prudenza, della capacità di ragionare, di calcolare, di prevedere.